La gabbia tecnologica

Segnalo questo articolo, come spunto di riflessione, è tratto dal sito "Osservatorio della libertà in montagna"

La gabbia tecnologica 1di Giuseppe Popi Miotti


Ricordo d’aver letto, su La Stampa, un articolo che magnificava la messa a punto di una sorta di “scatola nera” per le attrezzature alpinistiche, tramite la quale si avrebbe un costante monitoraggio dell’usura e quindi del grado di affidabilità dei materiali. Credo sia stata questa notizia a stimolare le considerazioni che leggerete di seguito circa il nostro rapporto con la tecnologia applicata alle attività sportive outdoor, alpinismo ed escursionismo in primo luogo.

GPS
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Indiscutibilmente viviamo in una società in cui, pur di stimolare i consumi, tutto è lecito, compreso un certo sottile terrorismo che, se si guarda con attenzione, è percepibile ovunque e a volte raggiunge livelli notevole comicità. Basta accendere la TV per scoprire che non avere i denti bianchi è un problema: occorrerebbero una decina di spazzolini e altrettanti dentifrici. Lo stesso vale per il bucato o le piastrelle di casa che vanno “igienizzati” con inutili prodotti sterminanti e sterilizzanti, pena chissà quali malattie: ma noi stessi siamo cosparsi di miliardi di acari che lasciamo a destra e a sinistra, e che dire dei batteri? L’unica sarebbe una bella bomba atomica.

Sempre di più ci troviamo imprigionati nella gabbia dorata di una finta sicurezza che ci viene paternamente “consigliata” dall’alto, dallo Stato, dalle multinazionali, dalla pubblicità; e sempre più facilmente, per spirito di disciplina o pigrizia mentale, ci facciamo prendere da questa logica, dimenticando che uno degli ingredienti principali della vita è dato proprio dall’incertezza.

Il campo delle attività all’aria aperta non sfugge a queste dinamiche, anzi, proprio perché ha per teatro luoghi al di fuori della rassicurante cerchia della casa o della città, ancor più si presta al gioco. Così, oggi, chi si cimenta con l’ambiente naturale ha a disposizione una notevole scelta di apparati che, per come se ne parla, e per come sono presentati, sono in grado di azzerare o quasi tutti i rischi. Il GPS, l’ARTVA, il telefono cellulare, l’APP del Soccorso alpino che permette di rilevare la tua posizione, e adesso magari la Scatola nera…

Non voglio demonizzare a tutti i costi queste meraviglie tecnologiche di cui riconosco a volte l’utilità, ma avendo avuto la fortuna di fare alpinismo quando ancora non c’era neppure l’elicottero per il soccorso e le previsioni del tempo erano un optional, mi rendo conto che se da un lato abbiamo guadagnato qualcosa in termini di sicurezza, dall’altro abbiamo perso quasi del tutto alcuni degli aspetti più caratterizzanti di questa attività: l’incontro con l’ignoto e quindi con l’avventura e il senso di libertà che deriva dall’essere noi stessi responsabili fino in fondo di ogni nostra azione, di ogni nostro passo. Senza contare che la cieca fiducia in questi strumenti ha fatto venire meno un’altra importante qualità, forse la più importante: la capacità di studiare e valutare il terreno con umiltà, mettendo in conto anche la possibilità di una rinuncia.

Purtroppo, la facile disponibilità dei mezzi tecnologici fa credere a molti che basta averli con sé per potere affrontare imprese anche di un certo impegno, magari superiori alle loro reali capacità. Si tralasciano, quindi, l’allenamento e la consultazione delle carte geografiche (che magari non si sanno neppure orientare), si perde l’abilità di agire in maniera flessibile ed elastica adattandosi all’imprevisto. L’idea diffusa, almeno fra i meno esperti, è che il GPS non può sbagliare, che l’ARTVA ti protegge sempre dal morire sotto una slavina, che col telefonino si è sempre in grado di chiedere aiuto. Ecco il lato oscuro di questi aggeggi: instillano un falso senso di sicurezza che spinge ad andare spesso oltre i propri limiti con conseguenze potenzialmente pericolose. Basta che la batteria si scarichi, che per qualsiasi motivo un urto danneggi l’apparecchio ed ecco che improvvisamente ci si trova soli con la Natura “ostile”, e privati di quei semplici strumenti che sono la saggezza ed il buon senso derivati dall’esperienza.

Gamma di ARTVA
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La domanda non facile da farsi è: questi strumenti, come del resto i bivacchi sulle vette delle montagne, hanno migliorato il bilancio degli incidenti in montagna o l’hanno peggiorato? Avere la certezza che sulla vetta troverò un bivacco, credere che con una telefonata mi verranno a prendere o che con l’ARTVA in pochi minuti mi troveranno sotto la slavina, sono considerazioni che subdolamente portano ad osare di più, aumentando inevitabilmente l’esposizione diretta al fattore di rischio: alcuni tragici episodi accaduti negli ultimi anni sembrano avvalorare questa mia ipotesi.

Ad esempio, ho il forte sospetto che il gran numero di incidenti scialpinistici sia dovuto più alla leggerezza con cui, grazie alla predetta finta sicurezza, si affronta la montagna invernale piuttosto che all’aumento degli appassionati. Un tempo lo scialpinismo aveva la “sua” stagione che andava da marzo a maggio, periodo in cui i pendii sono percentualmente più stabili e assestati; oggi questa stagione si è estesa a tutto l’inverno e ormai, dopo un’abbondante nevicata, neppure si prende in considerazione l’antica sapienza di lasciare che per qualche giorno i pendii si consolidino almeno un poco.

Tutto ciò non aumenta la nostra sintonia con gli elementi naturali, ma ci allontana da essi, rendendoci passanti distratti, anziché elementi stessi del contesto in cui ci troviamo; soggetti che non dovrebbero mai perdere quel senso di rispetto e timore che, contrariamente a quanto vorrebbe insegnare una certa informazione, sono una parte non secondaria del piacere di affrontare una gita o un’ascensione.

Lungi dal propugnare teorie radicali e oscurantiste, quanto scritto in questo breve spazio, vorrebbe suggerire un modo diverso di rapportarsi con l’ambiente. Un modo certamente più lento, fatto di silenzio, di partecipazione vera, dove sensibilità, esperienza, intuizione, timore, diventano i nostri strumenti principali e quelli fornitici dalla modernità, tutt’al più degli optional.

Se poi vi sentite disposti a sperimentare fino in fondo questo modo “diverso” e antico di percorrere valli e montagne o altri spazi d’avventura, vi invito a fare una prova. Affrontate una gita che già ben conoscete, magari anche facile e breve, lasciando a casa la “tecnologia”; se d’inverno provate a fare lo stesso, seguendo con ancora maggiore attenzione i ritmi della stagione, gli eventi metereologici, la morfologia del terreno e siate disposti, già a casa, a rinunciare a un’uscita. Una volta in azione vi accorgerete immediatamente che il vostro atteggiamento sarà completamente diverso e un volta tornati, anche l’escursione più banale vi avrà lasciato impressioni fortissime; ricordatevi che raggiungere una cima o la fine di un percorso sono sicuramente elementi di soddisfazione, ma non sono essenziali, perché «il viaggio è la meta».

Invece di affidarci comodamente a falsi idoli, forse dovremmo puntare ad assumere maggiormente la responsabilità delle nostre azioni nella consapevolezza che ogni attività comprende un rischio che non si può azzerare. Conoscere il “dilettevole orrore del camminare sull’orlo dell’abisso”, aiuta invece a gestire il rischio residuo e valutarne l’accettabilità o meno. Ma quel che più inquieta è che, dolcemente, e senza accorgercene, stiamo perdendo la capacità di essere liberi.
 
A mio parere questi apparecchi possono essere utili se si considerano come la ruota di scorta dell'auto. Averla può essere utile in caso di emergenza, ma non si deve cambiare il modo di guidare pensando che "tanto se si buca la sostituisco".

Io il GPS l'ho preso l'anno scorso e qualche volta mi è servito più che altro perché ho i tempi contingentati (usando i mezzi pubblici) e quindi il calcolo di distanze e velocità mi fa molto comodo, inoltre mi piace rivedere poi il percorso che ho fatto, ma visto che un paio di volte ha deciso di andare per i fatti suoi, non ci faccio molto affidamento per le situazioni di emergenza.

D'altra parte sono i produttori che spingono a far credere che con GPS e attrezzature varie si diventa escursionisti provetti per promuovere vendite e incassi. E scambiare un ausilio ad affrontare i problemi con la risoluzione stessa dei problemi, porta poi agli effetti collaterali che si vedono con gli incidenti, anche mortali.

In fondo è lo stesso principio per cui persone che conosco pensano che prendendo la pillola contro il colesterolo si può poi mangiare come si vuole, mentre in realtà quel medicinale - con tutti i suoi pesanti effetti collaterali - dovrebbe essere usato per rimettere a posto una situazione di emergenza, che poi va stabilizzata facendo attenzione a quel che si mangia. Ma evidentemente quella pillola fa bene soprattutto a chi la produce e quindi la spinta è proprio quella di far credere che rimuove il problema. E a chi la prende fa comodo crederlo, finché poi non si accorge - ormai troppo tardi - delle nefaste conseguenze a lungo termine.

Ciao
Roberto
 
S

Speleoalp

Guest
Io il GPS l'ho preso come regalo alla mia compagna, in quanto psicologicamente (facendosi condizionare parecchio, si sente più sicura).
A me non piace assolutamente, ma questo non toglie che si possa rivelare comodo, utile e soprattutto veloce.

Io organizzo ancora tutto al tavolino, su carta, bussola, righello.... scrivendo a mano punti specifici, coordinate, km, quote, informazioni generali, ecc.....

Trovo anche che la questione commerciale... spesso inizi da delle persone molto attente al guadagno che ne faranno e magari anche senza scrupoli,... ma alla fine sono "colpevoli" come tutti quelli che poi comprano determinati oggetti facendogli fare soldi e motivando la loro continua ricerca nel rinnovo degli articoli.
Senza contare che anche gli utenti delle diverse discipline, spesso, continuano la ricerca in qualcosa di più tecnologico, completo, ecc...
Per esempio i Cellulari, un cellulare che fà solo chiamate viene snobbato e ritenuto "inutile", la gente vuole un Cellulare che fa tutto... a parte telefonare (anche se ovviamente può).... poi però ogni anno la gente fa le solite battute (vedi I-Phone, Samsung), rivolto alle case produttrici e non alla popolazione che non aspetta che l'oggetto si guasti per sostituirlo... ma vuole il modello nuovo e più completo. Come con le auto, Televisori, ecc...

Secondo me è tutto accettabile, perché ormai che vogliamo ammetterlo oppure no... chiunque di noi è condizionato almeno un pochino da queste cose e ne vuole fare parte alla sua maniera.

Quello che per me diventa un problema è il sentire il bisogno di queste cose, assolutamente, vederle come vitali, importanti e necessarie per poter vivere.
Mentre non vedo problemi se uno vive con queste cose, perché comunque alla fine ci dobbiamo vivere in mezzo,... ma che prenderebbe tutto e lo sbatterebbe via...sia problemi senza avere la sensazione di perdere una parte di sé.
 
G

grrr

Guest
Conosco Popi di fama e so che è una persona limpida coerente e con solide opinioni. Bisogna stare attenti nel generalizzare: l'attività in montagna è individuale, non va mai assoggettata a ricerche statistiche globali e tantomeno a giudizi d'insieme (il classico un'erba un fascio). La lettura di questo articolo pone l'accento sulla libertà e mi chiedo: ai tempi dell'Alpinismo senza tecnologie si era più liberi? Chiedo a Popi: ma arrampicare con ausili tecnici (corda, chiodi ...) è libertà? Sembra che Popi faccia uso di un luogo comune, esaltando i tempi andati (si stava meglio quando...), tipico di chi è avanti con l'età e logicamente gli anni più belli li ha alle spalle. Attenzione! Non sto difendendo le tecnologie, anzi ne sono un fustigatore (vedi), ma non sono d'accordo con chi (in questo caso Miotti) si scaglia contro queste, opponendovi un modo di andare in montagna opinabile. I giovani (molti sono qui che leggono) non sanno quello che gli stiamo vendendo e se Popi mette sotto inchiesta la "gabbia tecnologica" io metto in dubbio che la sua attività sia la massima espressione di libertà. Rafforzo la mia affermazione con questi scritti.
 
Diciamo che l'alpinismo da sempre si dibatte frainnovazione e tradizione; ai tempi Paul Preuss si opponeva anche all'uso dei chiodi, quindi...detto ciò il fulcro non credo sia il gps in sé o l'antitecnologismo, ma come certi ausili possano in alcuni far venire meno la conoscenza di sé e dell'ambiente nel quale ci si muove. Basta leggere anche qui su avventurosamente per rendersi conto che ci sono persone che più che alla formazione personale sul campo pensano all'attrezzatura più moderna e performante, come se questa supplisse alle proprie carenze tecniche. Il nodo sta qui, credo, la trasformazione del selvaggio in luogo da addomesticare e pronto per essere fruito da chiunque...mentre non dovrebbe e nella pratica non è così, perché c'è chi si perde e si fa male oggi come ieri, oggi più di ieri anzi, visto il maggior affluso di persone nei boschi e sui monti. Un mio conoscente è morto qualche anno fa scivolando su delle foglie e cadendo in un dirupo, aveva il suo cel figo in mano quando lo hanno trovato. Non era un esperto di boschi ma andava sempre solo, quando gli veniva fatto notare diceva che preferiva la solitudine -ed in questo siamo uguali, anche io faccio spesso solitarie- e che comunque aveva con sé il cel che prende ovunque. Ecco questo mi pare un esempio di sottovalutazione del rischio anche a causa dei mezzi tecnologici a disposizione...gli mancavano le competenze, ha sottovalutato, non c'è più.
 
PS: Miotti per protestare contro l'uso smodato dell'eliski ha restituito il titolo di guida alpina, tanto per far comprendere il personaggio
 
S

Speleoalp

Guest
... una piccola parentesi, basandomi sul tuo conoscente. Anche il discorso del "sottovalutare" è molto variabile come l'attrezzatura.
Per esempio... lo ha sottovalutato se in vita diceva determinate cose... ma se diceva "io preferisco andare da solo, senza competenze, ecc... e preferisco morire così e facendo quello..." allora per come la vedo io è più responsabile di altri esperti e super attrezzati che dicono "non voglio assolutamente affrontare rischi, poi tanto ho esperienza e materiale"...

Tutto dipende da come uno affronta la vita.
 
Beh non credo si ponesse il problema delle competenze, che di fatto non aveva, andava e basta, il che se devo dirlo mi piace anche, star a pesare troppo ogni minima evenienza toglie il gusto dell'avventura...però appunto l'esempio serviva a mettere in risalto l'affidamento fatto sul telefono come mezzo per togliersi di impiccio e la sottovalutazione dell'ambiente nel quale si andava a muovere
 
Perchè le ferrate?
Perchè le ciaspole?
Perchè i rifugi?
Perchè il gps?

Forza e coraggio, avanti il prossimo!

Ma ora c'è l'evoluzione: perchè il telefono? Perchè l'artva?
Un po' come i motociclisti anni 90 che si chiedevano: perchè il casco obbligatorio? La frase fatta era: "uccide la libertà" e poi chi sa davvero andare in moto va piano e gli incidenti li evita!
Come no!

A me quelli riportati sembrano discorsi da vecchi impauriti dal tempo che passa e li sorpassa come lo tsunami.
Andare in montagna per me non è godere dei rischi ancorché "calcolati", è godere appunto della montagna con tutto ciò che la tecnologia e la tecnica mi mette a disposizione per non farmi male.
E ricordate che, grazie alle moderne sicurezze, per ogni persona che si è avventurata senza avere i requisiti ce ne sono dieci che, pur avendoli, sono tornate a casa.
 
L'articolo è interessante, confesso che questo è un ambito che conosco poco perché da poco ho iniziato a fare qualche giretto escursionistico più che semplice, "calibrandolo" sulle mie capacità. Inizialmente fisiche, quando ero molto fuori allenamento era il fattore predominante per porre un limite a cosa "puntare", cercando di studiare preventivamente percorso, tempo, difficoltà, parallelamente alle capacità diciamo "tecniche" (se non ho mai fatto una "normale" io non parto in quarta cimentandomi, spompato e sovrappeso, in una ferrata). Poi mano a mano la distanza si allunga, il dislivello aumenta, chiedendo anche uno sforzo d'orgoglio alle proprie possibilità, come quando ci si allena fisicamente e si fa quel passo in più, quel metro in più, che ci costa fatica ma che dobbiamo fare per progredire e per il quale abbiamo gettato le basi con la preparazione.. Altrimenti poi si resta fermi, anche se (considerazione generale) alla fine non è un delitto fermarsi ad un certo livello.. Chi fa o ha fatto sport agonistici sa che conoscere i propri limiti è importante quanto l'allenamento ;)

E se da un lato questo ha una base soggettiva, perché l'asticella al netto di tutte le considerazioni preventive, ognuno la pone anche in base al suo carattere, è altrettanto vero che una certa dose di buon senso - in tutte le umane faccende - non ha mai fatto male.. Non parlo di paura paralizzante, di demonizzazione dei rischi, ma in un ambiente che conosco meglio che è quello marino/subacqueo, capire quando bisogna fare un passo in meno o addirittura indietro è vitale ed a mio avviso per la montagna funziona allo stesso modo.

La tecnologia dovrebbe aiutarci ma, è vero, sovente diventa marketing e l'accessorio diventa non più "accessorio" ma "necessità". Questo falsa il limite del buon senso, la percezione dei pericoli? In qualche misura direi di si, ma personalmente non do la colpa alla tecnologia o all'accessorio quanto alla cultura di chi li possiede e maneggia.. Questo è un discorso che si affronta spesso anche in un altra mia passione, la fotografia, dove pare che senza l'ultimo modello da milioni di meagapiZZel ed una raffica da fucile mitragliatore, non si possano fare foto decenti..

Faccio qui, per il discorso postato, la considerazione che faccio per la fotografia perché credo siano del tutto sovrapponibili (ed anche in altri ambiti): con una penna ci puoi scrivere la lista della spesa o la Divina Commedia, non è certo colpa o merito della penna.. Cultura, credo sia semplicemente un discorso di cultura e approcci ed essendo tutti sottoposti al medesimo innegabile "bombardamento mediatico" se ci sono (come oggettivamente esistono) approcci differenti, si può ragionevolmente desumere che atteggiamenti errati non son certo causati direttamente dalla tecnologia e che tornare indietro ad altri tempi e mezzi non è una soluzione fruttuosa.. ;)
 
S

Speleoalp

Guest
Il punto à che ognuno è libero di andare a fare quello che vuole, come lo vuole... senza fare nulla di sbagliato. Sempre che poi non reclami per qualcosa.

Ma la differenza tra "modalità" di gestione "vecchie" e quelle "nuove" non è basata sulla paura di vivere le cose nuove (sicuramente ci saranno anche quelli), ma volersi basare sulla conoscenza di quelle cose che possono essere fatte anche per conto proprio. Nel senso "si spacca il GPS e non si è mai guardato la bussola e la cartina... riparare un GPS in altra montagna la vedo dura".

Come chi si porta solo carta e bussola senza saperli usare....

Io trovo che siano tutte cose che si possono usare singolarmente o avendole entrambe,... nessun male per entrambe le scelte.

Trovo solo che avere le conoscenza base di ogni cosa che c'interessa sia positivo e più sicuro in caso che la tecnologia faccia "cilecca", visto che probabile e possibilissimo.

Faccio un esempio, và benissimo portarsi una maniglia Jumar, perché non farlo...è comoda, facile e veloce. Ma se si spacca e si rompe, non è facile ripararla... allora è meglio aver appreso per bene anche qualche nodo adatto ;))

Trovo anche io sbagliato sminuire e demonizzare le tecnologia... lodando le vecchia tecniche... perché ognuno è libero di fare quello che vuole, seguire la tecnologia e no... come trovo scorretto sminuire che la tecnologia non la preferisce all'antico.

,-)
 
Faccio qui, per il discorso postato, la considerazione che faccio per la fotografia perché credo siano del tutto sovrapponibili (ed anche in altri ambiti): con una penna ci puoi scrivere la lista della spesa o la Divina Commedia, non è certo colpa o merito della penna

Paragone azzeccato; i problemi arrivano quando il produttore per venderla riesce a far credere a qualcuno "con questa penna vedrai com'è facile scrivere la Divina Commedia". Finché è una penna, al massimo chi la usa malamente scrive delle boiate facendo ridere, ma se per marketing si fa passare il messaggio che è facile andare in montagna grazie a certe attrezzature, le conseguenze possono non essere comiche.

Ciao
Roberto
 
Ma infatti nessuno mette in discussione l'utilità di questi oggetti, credo che il punto, se si vuol capire -mi sembra che Luca l'abbia centrato- sia come la tecnologia, pur utile per chi ne sente la necessità- abbia anche un'alra faccia, che in alcuni ed in alcuni casi porta a sentirsi troppo sicuri e ha sottovalutare in parte i pericoli, tutto qui, non stiamo facendo una crociata antitecnologica, che poi per quanto mi riguarda ci può stare ma non su queste pagine.
 
In questo Forum ci sono circa un centinaio di discussioni simili a questa.

Che palle!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

PS

Ho letto appena l'inizio,poi ho capito dove andava a parare e mi sono detto:ancora...ma che palle!!!!
 
Ultima modifica:

Paragone azzeccato; i problemi arrivano quando il produttore per venderla riesce a far credere a qualcuno "con questa penna vedrai com'è facile scrivere la Divina Commedia". Finché è una penna, al massimo chi la usa malamente scrive delle boiate facendo ridere, ma se per marketing si fa passare il messaggio che è facile andare in montagna grazie a certe attrezzature, le conseguenze possono non essere comiche.

Ciao
Roberto

Roberto, concordo con te, ma senza voler difendere il marketing.. alla fine vendere è il loro mestiere. Potremmo anche parlare del l'eccesso di consumismo (ed un po' già se ne è parlato qui), ma purtroppo è la realtà in cui siamo immersi e gli anticorpi, l'antidoto, possono essere solo delle solide basi culturali.. Su questo, a mio avviso, bisogna lavorare :si:
 
Ma infatti nessuno mette in discussione l'utilità di questi oggetti, credo che il punto, se si vuol capire -mi sembra che Luca l'abbia centrato- sia come la tecnologia, pur utile per chi ne sente la necessità- abbia anche un'alra faccia, che in alcuni ed in alcuni casi porta a sentirsi troppo sicuri e ha sottovalutare in parte i pericoli, tutto qui, non stiamo facendo una crociata antitecnologica, che poi per quanto mi riguarda ci può stare ma non su queste pagine.

Marco, la mia non voleva essere una critica all'articolo perché al di là delle mie idee (seppur meditate, comunque soggettive) non ho strumenti critici degni di questo nome.. Semplicemente una riflessione, la mia, sul fatto che il problema non è l'oggetto, la sua esistenza o meno, la sua pubblicizzazione, quanto l'omarino che lo maneggia e che può sentirsi o meno onnipotente.. Cultura, solo questo dicevo.. La disponibilità maggiore di strumenti, la loro diffusione più capillare, un benessere più spalmato (in termini generali) hanno portato ad una maggiore compulsivitá nel fare le cose.. Ma la risposta (non che l'autore la suggerisse, è una mia riflessione) non è eliminare l'e-commerce ma "insegnare" sin da piccoli alla gente l'importanza della conoscenza, base poi per fare quello che si vuole - nel rispetto degli altri - ma con consapevolezza e senso critico.. Tutto qui ;)
 
ciao gongo
per quanto mi riguarda vedo nel gps un salto di livello rispetto una volta nella dipendenza dell'uomo dalla tecnologia.
quando vedo la gente che domanda le tracce mi chiedo perché?
possibile che uno non sia in grado di farsi il proprio itinerario?
che senso ha dipendere e in un certo senso restare prigionieri di una traccia di qualcun altro?
seguire una traccia a mio modo di vedere segna un distacco dal reale che mi impressiona, pensare a gente impegnata a guardare un display e non dove mette i piedi.
possiamo parlare di chiodi di attrezzatura tecnica anche di altimetri, ma ciò che sta portando il gps non è la stessa cosa, è un nuovo modo di andare in montagna e sinceramente lo trovo pericoloso e senza senso.
rimane comunque una mia riflessione privata...
 
Roberto, concordo con te, ma senza voler difendere il marketing.. alla fine vendere è il loro mestiere.

E' vero che vendere è il loro mestiere, ma per me la pubblicità ha un pesante influsso culturale, modificando il nostro comportamento (specie quando i messaggi sono realmente ben fatti e convincenti).

Non per niente nelle pubblicità dei medicinali il messaggio termina sempre con un "è un medicinale, leggere attentamente le istruzioni". Sebbene detta in fondo e velocemente, questa frase urta sempre pesantemente con il messaggio miracolistico che la precede ed è stata imposta proprio per gli effetti nefasti che genera un consumo di medicinali come toccasana. Idem per le avvertenze che vedo sugli integratori; per me anche questo è un modo per fare cultura.

Sicuramente oggi verrebbe considerato esagerato segnalare nella pubblicità che le attrezzature devono essere considerati semplici ausilii alle escursioni, perché si presume che sia ridottissimo il numero di persone che fa un'escursione più rischiosa solo perché crede che l'attrezzatura che ha preso sia sufficiente a proteggere da tutti i rischi; ma visto che nelle istruzioni degli apparecchi elettrici si mettono persino avvertenze di non tagliare con le forbici il cavo di collegamento :roll:, forse in futuro lo si riterrà opportuno.

Ciao
Roberto
 
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