- Parchi delle Marche
-
- Parco Nazionale dei Monti Sibillini
Dati
Data: 18/03/2012
Regione e provincia: Marche - Macerata
Località di partenza: Pintura di Bolognola
Località di arrivo: Pintura di Bolognola
Tempo di percorrenza: 5h
Chilometri: 8.81
Grado di difficoltà: PD-
Descrizione delle difficoltà: pendi di neve 45°
Periodo consigliato: inverno-primavera
Dislivello in salita: tot. 550 canale 180-200
Dislivello in discesa: 550
Quota massima: 1875
Accesso stradale: Pintura di Bolognola
Descrizione
Finalmente riesco ad andare al Monte Acuto, una parete nord che, almeno per il sottoscritto, si presenta dal vivo decisamente severa e, come si dice, "in ambiente".
La situazione è fantastica, a Pintura ci sono almeno 50 cm di neve, la temperatura alle 7.00, quando arriviamo, è poco sopra lo zero e andrà sensibilmente aumentando durante la gioranata. Il parcheggio è zeppo di camper e l'albergo è aperto. Approfittiamo per una caffè, sistemiamo gli zaini e si part lungo la carrozzabile che d'estate permette di arrivare al rifugio del Fargno (l'accesso è bloccato da una sbarra e quest'estate farò un trekking dormendo al Fargno per concatenare una serie di cime dei sibillini che mi mancano all'appello).
La bellezza dalla vetta è talmente tanta che ne resto sopraffatto: comincio a sentire quel timore reverenziale che successivamente sarà l'unico e vero motivo della rinuncia a completare l'ascesa.
Dopo poco più di un'oretta arriviamo in prossimità del canalone che incide il lato destro (guardando la vetta) fino alla cresta NE.
Qui commetto il primo di una serie di errori che ci costeranno l'impresa. Guardando il canalone decido di intraprendere una linea che scavalchi il lato destro e ci porti in piena parete per poter, sfruttando una salita piegata lievemente sempre verso destra, arrivare ad attraversare dei risalti di roccia che presentano neve, sperando che non siano tecnicamente troppo complessi, oppure fare dei zig-zag per evitarli.
Infatti il secondo errore, anche se primo in ordine cronologico, è quello di essere andato con un compagno pratico di arrampicata ma digiuno di esperienze alpinistiche.
Mi preparo e attacco a salire legato. Arrivo al di sotto della rampa di roccia misto erba che mi porterà in pieno pendio nord.
Mi muovo con tranquillità ma mi rendo conto che come primo passaggio non è affatto banale: una scivolata comporterebbe per il mio compagno un pendolo, senza conseguenze, vista l'assenza di rocce sulla linea di caduta, ma sicuramente agghiacciante.
Ad un tratto sento chiamare gli ultimi 5 m di corda e cerco di attrezzare un ancoraggio per poter far sicura. E qui si consuma il terzo errore che, anche se non facilmente ponderabile, si somma agli altri già descritti.
Pianto forte le piccozze, passo il moschettone e con la daisy lentamente carico l'ancoraggio: ad un tratto una piccozza cede e scivolo per una metro prima di fermarmi.
Mi interrogo su cosa succederebbe se il mio compagno scivolasse in quel punto e facesse pendolo. Lungo il tiro non ho potuto posizionare protezioni, la pendenza della rampetta è intorno ai 50° e non conosco le sue possibili reazioni alle difficoltà, inoltre, se uscisse fuori via, non sarei in grado di vedere dove poterlo calare. Soprattutto non saprei che effetto avrebbe su di me una sua scivolata.
Che fare?
Provo a risistemare l'ancoraggio, ma nulla, la neve è troppo poco consistente, la linea di sallita non è da lui affrontabile senza sicura e io non posso e non voglio assumermi la responsabilità di farlo salire.
Urlo di sciogliersi, recupero la corda e compiendo un lungo traverso verso sud e poi disarrampicando per 50-60 metri ridiscendo sul sentiero.
Quando sono giù mi prende un pò di sconforto. Mi sono sopravvalutato, forse ho preteso troppo da me stesso e ho rischiato di mettermi e mettere qualcun altro in una situazione pericolosa: se fosse successo più in alto, dove magari non avrei potuto creare ancoraggi per una doppia?
Mi rendo conto che ho fatto anche un quarto errore: ho supposto che la parete fosse facile. Nel senso che ho supposto che non dovesse essere affrontata con tutte le cautele e le attenzioni del caso, che necessitasse di una attenta valutazione.
Mi sento un pò sconfitto. Per la testa mi è pure passato il pensiero che l'alpinismo non è cosa per me.
Riprendo fiato perchè la discesa non è stata cosa banalissima.
Quando sono pronto decidiamo cosa fare e optiamo per il canalone, con pendenze stimabili intorno ai 35°-40°, non di più, forse meno.
Lo risaliamo fino ad un palco roccioso imponente con delle fantastiche candele di ghiaccio vivo.
Punto un canalino con un albero alla fine che sarebbe un'eccezionale punto di sosta. Chiedo al socio se se la sente, mi dice si, ed io riprendo vigore e voglia. La pendenza del canalone si fa lievemente più importante, ma la neve e compatta e i gradini che si scavano sono belli stabili. Ad un tratto, una ventina di metri sotto l'attacco del canale, il compagno mi urla che inizia ad essere cotto. Guardo in alto, con grande desiderio il canalino, ma devo rinunciare, anche se ho la netta percezione, quasi profetica, che anche sciolto lo avrei potuto affrontare, superare ed arrivare in vetta seguendo una linea di salita che mi avesse portato verso la cresta opposta.
A quel punto traverso e punto alla cresta NE.
Un solo passaggio un pò delicato ci separa che è un traverso scivoloso su rocce ed erba.
Capisco chiaramente, guardando il timore con cui il mio compagno affronta il passaggio del traverso, che qualunque difficoltà avessimo incontrato avrei avuto grossi problemi.
Anche l'uscita in cresta gli crea difficoltà data la pendenza accentuata.
L'uscita ripaga con un panorama bellissimo, con sci-alpinisti che percorrono il versante sud alla ricerca di pendi e canali da scendere.
Mentre il mio compagno si riposa mi rendo conto che avrei le energie per salire in vetta, per continuare da solo, per affrontare questa parete che mi aveva spaventato.
Si perchè, e scrivendolo me ne rendo conto, è stata solo il mio timore ad impedirci di farcela. E' vero, ci sono stati degli errori oggettivi, ma l'ansia e la paura di riuscire mi avevano fatto distogliere l'attenzione dall'analisi e dalla valutazione che invece mi avrebbe permesso di scegliere linee di salita adatte, fattibili e proteggibili, almeno quelle più complesse dal punto di vista tecnico. Ci avremmo messo più tempo e il socio sarebbe potuto arrivare molto più stanco, ma avrei potuto affrontare il tutto con atteggiamento diverso e sarei riuscito, ne sono convinto, a creare le condizioni per una salita sicura.
In definitiva una salita da non farsi mancare, ambiente meraviglioso e aspro, difficoltà tecniche presenti e soddisfazione assicurata.
PS: presto aggiungo le foto!
Data: 18/03/2012
Regione e provincia: Marche - Macerata
Località di partenza: Pintura di Bolognola
Località di arrivo: Pintura di Bolognola
Tempo di percorrenza: 5h
Chilometri: 8.81
Grado di difficoltà: PD-
Descrizione delle difficoltà: pendi di neve 45°
Periodo consigliato: inverno-primavera
Dislivello in salita: tot. 550 canale 180-200
Dislivello in discesa: 550
Quota massima: 1875
Accesso stradale: Pintura di Bolognola
Descrizione
Finalmente riesco ad andare al Monte Acuto, una parete nord che, almeno per il sottoscritto, si presenta dal vivo decisamente severa e, come si dice, "in ambiente".
La situazione è fantastica, a Pintura ci sono almeno 50 cm di neve, la temperatura alle 7.00, quando arriviamo, è poco sopra lo zero e andrà sensibilmente aumentando durante la gioranata. Il parcheggio è zeppo di camper e l'albergo è aperto. Approfittiamo per una caffè, sistemiamo gli zaini e si part lungo la carrozzabile che d'estate permette di arrivare al rifugio del Fargno (l'accesso è bloccato da una sbarra e quest'estate farò un trekking dormendo al Fargno per concatenare una serie di cime dei sibillini che mi mancano all'appello).
La bellezza dalla vetta è talmente tanta che ne resto sopraffatto: comincio a sentire quel timore reverenziale che successivamente sarà l'unico e vero motivo della rinuncia a completare l'ascesa.
Dopo poco più di un'oretta arriviamo in prossimità del canalone che incide il lato destro (guardando la vetta) fino alla cresta NE.
Qui commetto il primo di una serie di errori che ci costeranno l'impresa. Guardando il canalone decido di intraprendere una linea che scavalchi il lato destro e ci porti in piena parete per poter, sfruttando una salita piegata lievemente sempre verso destra, arrivare ad attraversare dei risalti di roccia che presentano neve, sperando che non siano tecnicamente troppo complessi, oppure fare dei zig-zag per evitarli.
Infatti il secondo errore, anche se primo in ordine cronologico, è quello di essere andato con un compagno pratico di arrampicata ma digiuno di esperienze alpinistiche.
Mi preparo e attacco a salire legato. Arrivo al di sotto della rampa di roccia misto erba che mi porterà in pieno pendio nord.
Mi muovo con tranquillità ma mi rendo conto che come primo passaggio non è affatto banale: una scivolata comporterebbe per il mio compagno un pendolo, senza conseguenze, vista l'assenza di rocce sulla linea di caduta, ma sicuramente agghiacciante.
Ad un tratto sento chiamare gli ultimi 5 m di corda e cerco di attrezzare un ancoraggio per poter far sicura. E qui si consuma il terzo errore che, anche se non facilmente ponderabile, si somma agli altri già descritti.
Pianto forte le piccozze, passo il moschettone e con la daisy lentamente carico l'ancoraggio: ad un tratto una piccozza cede e scivolo per una metro prima di fermarmi.
Mi interrogo su cosa succederebbe se il mio compagno scivolasse in quel punto e facesse pendolo. Lungo il tiro non ho potuto posizionare protezioni, la pendenza della rampetta è intorno ai 50° e non conosco le sue possibili reazioni alle difficoltà, inoltre, se uscisse fuori via, non sarei in grado di vedere dove poterlo calare. Soprattutto non saprei che effetto avrebbe su di me una sua scivolata.
Che fare?
Provo a risistemare l'ancoraggio, ma nulla, la neve è troppo poco consistente, la linea di sallita non è da lui affrontabile senza sicura e io non posso e non voglio assumermi la responsabilità di farlo salire.
Urlo di sciogliersi, recupero la corda e compiendo un lungo traverso verso sud e poi disarrampicando per 50-60 metri ridiscendo sul sentiero.
Quando sono giù mi prende un pò di sconforto. Mi sono sopravvalutato, forse ho preteso troppo da me stesso e ho rischiato di mettermi e mettere qualcun altro in una situazione pericolosa: se fosse successo più in alto, dove magari non avrei potuto creare ancoraggi per una doppia?
Mi rendo conto che ho fatto anche un quarto errore: ho supposto che la parete fosse facile. Nel senso che ho supposto che non dovesse essere affrontata con tutte le cautele e le attenzioni del caso, che necessitasse di una attenta valutazione.
Mi sento un pò sconfitto. Per la testa mi è pure passato il pensiero che l'alpinismo non è cosa per me.
Riprendo fiato perchè la discesa non è stata cosa banalissima.
Quando sono pronto decidiamo cosa fare e optiamo per il canalone, con pendenze stimabili intorno ai 35°-40°, non di più, forse meno.
Lo risaliamo fino ad un palco roccioso imponente con delle fantastiche candele di ghiaccio vivo.
Punto un canalino con un albero alla fine che sarebbe un'eccezionale punto di sosta. Chiedo al socio se se la sente, mi dice si, ed io riprendo vigore e voglia. La pendenza del canalone si fa lievemente più importante, ma la neve e compatta e i gradini che si scavano sono belli stabili. Ad un tratto, una ventina di metri sotto l'attacco del canale, il compagno mi urla che inizia ad essere cotto. Guardo in alto, con grande desiderio il canalino, ma devo rinunciare, anche se ho la netta percezione, quasi profetica, che anche sciolto lo avrei potuto affrontare, superare ed arrivare in vetta seguendo una linea di salita che mi avesse portato verso la cresta opposta.
A quel punto traverso e punto alla cresta NE.
Un solo passaggio un pò delicato ci separa che è un traverso scivoloso su rocce ed erba.
Capisco chiaramente, guardando il timore con cui il mio compagno affronta il passaggio del traverso, che qualunque difficoltà avessimo incontrato avrei avuto grossi problemi.
Anche l'uscita in cresta gli crea difficoltà data la pendenza accentuata.
L'uscita ripaga con un panorama bellissimo, con sci-alpinisti che percorrono il versante sud alla ricerca di pendi e canali da scendere.
Mentre il mio compagno si riposa mi rendo conto che avrei le energie per salire in vetta, per continuare da solo, per affrontare questa parete che mi aveva spaventato.
Si perchè, e scrivendolo me ne rendo conto, è stata solo il mio timore ad impedirci di farcela. E' vero, ci sono stati degli errori oggettivi, ma l'ansia e la paura di riuscire mi avevano fatto distogliere l'attenzione dall'analisi e dalla valutazione che invece mi avrebbe permesso di scegliere linee di salita adatte, fattibili e proteggibili, almeno quelle più complesse dal punto di vista tecnico. Ci avremmo messo più tempo e il socio sarebbe potuto arrivare molto più stanco, ma avrei potuto affrontare il tutto con atteggiamento diverso e sarei riuscito, ne sono convinto, a creare le condizioni per una salita sicura.
In definitiva una salita da non farsi mancare, ambiente meraviglioso e aspro, difficoltà tecniche presenti e soddisfazione assicurata.
PS: presto aggiungo le foto!
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