Escursione "Rinuncia o saggia decisione?" Il Vallone della Meta innevato

Parchi del Lazio
  1. Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise
Dati

Data: 24 marzo 2016
Regione e provincia: Lazio / Frosinone
Località di partenza: Prati di Mezzo
Località di arrivo: idem
Tempo di percorrenza: più o meno 3 ore
Chilometri: 4 o 5
Grado di difficoltà: EE
Descrizione delle difficoltà: suolo coperto da neve molto alta e pesante, grandi accumuli eolici, vento molto forte, visibilità molto bassa.
Periodo consigliato: sempre, a patto di verificare le condimeteo e l'innevamento.
Segnaletica: buona all'interno del bosco; all'esterno invisibile (neve)
Dislivello in salita: 400 m "netti", con i saliscendi circa 500.
Dislivello in discesa: idem
Quota massima: 1850
Accesso stradale: dalla superstrada Cassino - Avezzano, si esce ad Atina e si prosegue per Picinisco, poi si seguono le indicazioni per Prati di Mezzo
Descrizione

Ciao a tutti. Riporto l'esperienza della mia ultima escursione, della quale alcuni fattori hanno condizionato lo sviluppo.
L'idea era quella di risalire il Vallone della Meta da Prati di Mezzo (1450 m.) per raggiungere il Passo dei Monaci (1980 m. circa) e da lì la cima di Monte La Meta (2242 m.).
1° Fattore - Condimeteo: la previsione era di cielo coperto e possibili precipitazioni dopo le 14.00. In realtà, già a Prati di mezzo nevicava leggermente (sarebbe aumentata di lì a poco) e più avanti sarà molto peggio.
2° Fattore - Condizioni del manto nevoso: Meteomont dava 12 cm di neve (Stazione di rilevamento di Prati di Mezzo) e pericolo "2-moderato" causato da manto bagnato e pesante per le recenti piogge (sabbiose) e temperature che favoriscono la fusione. In realtà lungo il vallone si sprofondava mediamente a tre quarti di polpaccio e, in alcuni punti, ben oltre il ginocchio.
3° Fattore - vento molto forte: il vento, oltre a sferzare violento, aveva provocato numerosi accumuli di neve.

Dopo aver sbrigato le solite faccende classiche delle escursioni infrasettimanali, mi dirigo a Prati di Mezzo dove parcheggio. Ci sono zero gradi ed un vento teso e freddo che rende obliqua la neve che già scende. Ultima sistemata allo zaino, fisso la picca all'esterno e mi inerpico sul sentiero che risale la piccola costa ovest del pianori di Prati di Mezzo per condurre al Vallone della meta. La neve, nel primo tratto, ricopre il sentiero con uno strato di 5-6 cm, che aumenta però rapidamente fino ad una quindicina. La progressione nel bosco è più difficoltosa di quanto si spererebbe. Quando, a tratti, si apre il bosco e si devono superare pianori scoperti, il piede affonda fino a 25-30 cm ed il vento picchia violento. Camminare diventa allora faticoso, anche a causa della neve in pessimo stato. Dopo poco il bosco termina e mi fermo un attimo a guardare i pendii ai lati del sentiero, oramai reso invisibile dalla neve che ricopre tutti i segnavia: il manto è dovunque sporco, macchiato di grandi aree marroni, segno delle recenti piogge sabbiose che hanno interessato la regione, assieme al rialzo termico. La differenza di colore rende ancor più evidente l'appesantimento del manto. Già dai primi passi fuori dal bosco capisco che non sarà una passeggiata. Si sprofonda fino quasi al ginocchio, la neve è marcia, pesante e rende difficile avanzare. Inoltre, il vento fortissimo che proviene da Nord mi scarica sul viso mille spilli gelati. I fiocchi di neve sono piccoli, quasi come fosse nevischio, e provengono da un enorme nuvola grigia che pare intrappolata attorno al Monte La Meta, ricoprendo tutto fino al Passo dei Monaci ed ancora più in basso.
Ripenso alla maschera salewa comperata in saldo ed usata solo due volte (comprimendo il naso, mi pare renda più difficile respirare in affanno, ma forse è un problema mio): che sollievo per naso, zigomi e guance sarebbe indossarla e quanto insignificante sembrerebbe lo scotto da pagare (respirare peggio) rispetto alla protezione che potrebbe darmi. Su questi pensieri proseguo a testa bassa, alzandola di tanto in tanto per studiare la traccia da seguire ricalcando idealmente l'invisibile sentiero già percorso in passato.
A tratti, il vento impietoso si ferma di colpo, rendendo ancora più irreale l'improvviso silenzio. In quei momenti la neve, che ancora turbina, rallenta ed accenna una discesa più calma. Il battito del cuore, accelerato dalla fatica, diventa allora fortissimo nelle orecchie. Ma sono 7, 8, 10 battiti al massimo poi, senza preavviso, il vento mi lancia di nuovo sul viso mille gocce di ghiaccio, costringendomi ad infilare il mento nel bavero. Stringo tutti i cordini del cappuccio e proseguo. Intorno ai 1700 m. metto i ramponi, sperando nell'indurimento del manto causato dal vento forte e dalla temperatura più rigida in quota. Purtroppo c'è un po' di crosta ma non tiene. Si sprofonda sempre di più.
Intanto compaiono gli accumuli di neve creati dal vento. Sono ampi e disposti in maniera irregolare. La lettura è difficile, sembrano non rispondere a logiche definbite, forse a causa della mutevolezza della direzione del vento negli ultimi giorni. Non saprei. Li evito, finchè non sono costretto ad attraversarne uno. E' piccolo, su un tratto di pendio meno inclinato, forse formatosi per una contropendenza del costone est del vallone. Non vi sono salti di roccia a valle, né rocce sporgenti o pericoli evidenti. Forse rischio un po', ma decido di attraversarlo. Ne esco a fatica: la neve è incredibilmente bianca e farinosa ed è una cosa che non capisco. Si affonda quasi fino a metà coscia. Mi dico "strano, tutto intorno è sporco e marrone mentre qui la neve è candida e morbidissima". Non so perché, non mi intendo molto di neve, ma mi è sembrato strano.
Superato l'accumulo mi fermo un attimo. Sono affaticato ma, sopratutto, sono turbato. L'attraversamento mi ha dato una sensazione di precarietà, di instabilità. Racconti, letture, esperienze (poche) tornano prepotenti alla mente. Cervello (e un po' di istinto) mi dicono che quel giorno non si arriverà sul Monte la Meta, e neanche al passo dei monaci. Mi struggo, ma è chiaro: bisogna tornare indietro. Il vento fortissimo, la nuvola ormai nera che copre tutto, la neve gelata, gli accumuli sparsi sui pendii ma sopratutto la solitudine che acuisce le sensazioni mi fanno tornare sui miei passi.
Attraverso di nuovo l'accumulo da poco superato e, ora spalle al vento, mi guardo intorno: il cuore mi spinge a cercare prima un'altra via per la cima, ma non ce ne sono, poi almeno un'altra cima da salire. Intravedo, sul versante opposto, una stretta via di salita rocciosa meno coperta dalla neve. Dovrebbe portare verso la Torretta Paradiso o giù di lì, ma il vento non mi permette di consultare la carta. Riscendo allora nel canalone che è sul fondo del vallone della meta per guadagnare il versante ovest, più scosceso, e punto dritto verso quella linea di salita che si dimostra subito più complicata di quanto non sembrasse all'inizio. La neve non è poca e nasconde rocce e buchi tra queste profondi anche fino alla coscia.
A malincuore, questa volta definitivamente, decido di tornare indietro. La discesa, a parte le difficoltà date dalla neve, non presenta elementi degni di nota. Appena rientrato nel bosco, mi attrezzo per accendere un fuoco e mangiare qualcosa. Nonostante la presenza quasi esclusiva di legna marcia anziché secca, riesco ad accendere il fuoco abbastanza facilmente posizionando il tutto su una roccia (una tavoletta di esbit aiuta...). Dopo una minestra ed un té, gironzolo un po' in zona per sfruttare le ultime ore a disposizione.
Probabilmente avrei potuto proseguire e guadagnare la cima. Remissività o saggia decisione? Me lo sono dimandato mille volte nel viaggio di ritorno e, non sapendomi dare una risposta soddisfacente, mi è rimasto un po' d'amaro in bocca.
Domani ci torno.
Ciao e scusate la prolissità.
P.S. le poche foto che ho avuto il coraggio di fare con il cell. nel vento e nella neve sono pessime, lo so
 
solo tu puoi sapere e valutare cosa hai visto.
alle volte si è troppo prudenti alle volte troppo poco...dipende anche dalla giornata.
io penso sia importante fidarsi dell'istinto, specie mano a mano che si acquisisce esperienza.
 
in verità è il contrario, le occasioni vanno sfruttate perché non si ripresentano.
ma se non siamo tranquilli, ci si può fermare a riflettere, pensare in termini razionali e capire se ciò che stiamo facendo ha un senso o meno.
alcune volte si decide di rischiare e mano a mano che si prosegue si capisce che erano solo paure psicologiche, altre volte si torna a casa... spesso perché essere lì è solo un modo di affrontare certe nostre paure e si decide di farlo in altro modo o in altri tempi perché non è ancora il momento giusto.
non c'è una regola, l'importante è non nascondersi dietro a scuse.
 
Quante volte sono uscito di casa per divertirmi e dopo una manciata di ore mi trovavo nella condizione che l'unico obiettivo rimasto era che nessuno si facesse male?

La natura non va "domata" va "accarezzata con un sussurro" la mentalità del "compiere l'impresa" al livello medio degli escursionisti domenicali (salvo rarissime eccezioni) è patetica.

Insomma capisco un professionista (perché a certi livelli questo sei) che si prende dei rischi ma prendersi dei rischi per conquistare il Passo dei Monaci francamente no.
 
Quante volte sono uscito di casa per divertirmi e dopo una manciata di ore mi trovavo nella condizione che l'unico obiettivo rimasto era che nessuno si facesse male?

La natura non va "domata" va "accarezzata con un sussurro" la mentalità del "compiere l'impresa" al livello medio degli escursionisti domenicali (salvo rarissime eccezioni) è patetica.

Insomma capisco un professionista (perché a certi livelli questo sei) che si prende dei rischi ma prendersi dei rischi per conquistare il Passo dei Monaci francamente no.
Concordo in pieno!
 
ma non diciamo stupidaggini.
ognuno nella vita è libero di prendersi i rischi che vuole per la meta che si prefigge.
quando rischi e metti in gioco la vita o la salute non c'è differenza tra un 8000 o la collina dietro casa, sei sempre tu che decidi per te stesso cosa vale la pena.
se stiamo ancora a parlare di impresa in montagna stiamo messi proprio male!
 
ah libero sei libero. Come noi siam liberi di considerarti patetico.
Impresa e montagna io direi che stanno ancora insieme, poi dipende sempre dalle definizioni personali che si dà alla parola "impresa".
Io la interpreto col classico "azione umana di difficile esecuzione o di una certa importanza"
fare il K2 rimane un impresa, certo non storica, ma difficile sì.
 
cioè se rischio la vita per una cosiddetta impresa in montagna riconosciuta dagli altri va bene?
io se rischio la vita è per me stesso, per la mia vita, non per dimostrare agli altri qualcosa...che poi morire in montagna per dimostrare qualcosa agli altri è proprio da pirla!
 
hai presente il concetto rischio-premio?
se rischio la vita tentando di fare una curva in pista sono un professionista che spera di ricevere premio, se lo faccio su una strada deserta con spazi di fuga e nessun rischio di fare male ad altri, ma solo a me stesso, come mi definisci?
 
non lo so, non lo conosco.
se è una cosa che gli piace fare lo definisco appassionato, esattamente come definisco me stesso in montagna.
altrimenti tutti quelli che muoiono in montagna, che siamo alpinisti escursionisti ecc ecc sono dei pirla, esattamente come in qualsiasi altra passione, che riguardi il mare, l'aria, il ciclismo ecc ecc, perché qualsiasi attività comporta un rischio.
per me la possibilità di rischiare la vita è in relazione a ciò che voglio io, non alle aspettative degli altri e torno a dire, se lo faccio per gli altri allora si che sono un pirla.
 
altrimenti tutti quelli che muoiono in montagna, che siamo alpinisti escursionisti ecc ecc sono dei pirla, esattamente come in qualsiasi
esiste anche la "fatalità" eh?
cioè la causa di incidente a bassissimo valore statistico.
Se casco sui "ghiaccioni" xkè non ho i ramponi e mi devo far venire a soccorrere sono un pirla
se mi spacco una gamba xkè un capriolo sbuca dal bosco e mi centra in pieno è una fatalità.

Entrambe le situazioni mi sono quasi capitate. Mi son preso il rischio di passare senza i ramponi, ma se mi fossi fatto male sarei stato un gran pirla (così come lo è invece il "capo gita" che ci ha condotti là senza far portare i ramponi)
 
Quante volte sono uscito di casa per divertirmi e dopo una manciata di ore mi trovavo nella condizione che l'unico obiettivo rimasto era che nessuno si facesse male?

La natura non va "domata" va "accarezzata con un sussurro" la mentalità del "compiere l'impresa" al livello medio degli escursionisti domenicali (salvo rarissime eccezioni) è patetica.

Insomma capisco un professionista (perché a certi livelli questo sei) che si prende dei rischi ma prendersi dei rischi per conquistare il Passo dei Monaci francamente no.
Ciao
In effetti forse ho posto male la questione. Il dubbio non è se valeva la pena prendersi dei rischi o no, quanto capire se la percezione dei rischi fosse reale/realistica (e allora tornare è stata la scelta giusta) o esagerata (e allora sarebbe buono capire perché, fermo restando che tornare è, nel dubbio, comunque la scelta giusta).
Però mi sento di aggiungere due cose:
1) prendersi dei rischi non è solo "giustificato" dal fatto di essere professionisti, altrimenti nessuno dovrebbe fare più nulla...
2) a volte non conta il luogo; a volte anche raggiungere passo dei monaci può avere lo stesso significato di salire il Sasso lungo; dipende dalle condizioni e dal perché stai salendo.
Per il resto concordo
 
No, non hai posto male la questione, sono io ad aver voluto esprimere un mio punto di vista ben sapendo che la motivazione del "mi sono assunto un rischio e ce l'ho fatta" è più o meno istintiva, c'é che la accetta, chi la cerca, chi (io) la considera illusoria ed a volte tendente ad una sproporzione tra i rischi e gli obiettivi.

Detto in soldoni che il rischio di farsi male fosse 1 su 1000 o 1 su 10000 [imho] non valeva comunque la pena. Il resto è già stato chiarito nei post precedenti.
 
esiste anche la "fatalità" eh?
cioè la causa di incidente a bassissimo valore statistico.
Se casco sui "ghiaccioni" xkè non ho i ramponi e mi devo far venire a soccorrere sono un pirla
se mi spacco una gamba xkè un capriolo sbuca dal bosco e mi centra in pieno è una fatalità.

Entrambe le situazioni mi sono quasi capitate. Mi son preso il rischio di passare senza i ramponi, ma se mi fossi fatto male sarei stato un gran pirla (così come lo è invece il "capo gita" che ci ha condotti là senza far portare i ramponi)
ok, quindi tutti gli altri sono dei pirla?
per me è un modo di pensare che non sta in piedi, l'alpinismo è una attività di per se stessa senza senso, con regole autoimposte.
ma anche nel semplice escursionismo la situazione è simile... con un tempo come quello indicato non c'era panorama da vedere, la motivazione è solo la passione, una necessità interiore di andare là.
se pensi che questa passione possa essere comprata, se pensi che un alpinista possa rischiare la propria vita per soldi e non per passione, inutile discutere allora, viviamo su due mondi diversi.
 
ok, quindi tutti gli altri sono dei pirla?
per me è un modo di pensare che non sta in piedi, l'alpinismo è una attività di per se stessa senza senso, con regole autoimposte.
ma anche nel semplice escursionismo la situazione è simile... con un tempo come quello indicato non c'era panorama da vedere, la motivazione è solo la passione, una necessità interiore di andare là.
se pensi che questa passione possa essere comprata, se pensi che un alpinista possa rischiare la propria vita per soldi e non per passione, inutile discutere allora, viviamo su due mondi diversi.
Non c'entra nulla. Non è x soldi che lo fa il professionista. Ma può essere indotto a prendere rischi che in altri contesti non si prenderebbe. Pensa alle tragedie delle commerciali, credi che Hall se fosse stato lassù solo x sé, sarebbe morto? Io dico di no. Quelli che continuano a salire a 8800m alle 16 da cosa sono spinti? Passione?
Ho rinunciato spesso a vette xké troppo rischioso, non mi mancava la passione, avevo solo la libertà di farlo. Completa libertà, nessun condizionamento. E la mia testa mi diceva "un altra volta dai, oggi è meglio di no "
 
allora tornando al discorso iniziale, trovo molto più patetico un 'professionista' che muore su un 8000 per soldi piuttosto che un dilettante sul monte Meta per passione.
ma in verità non trovo patetici nessuno dei due, li trovo uguali, penso che ognuno dei due avesse i suoi sogni da realizzare, non trovo che aver scalato un 8000 secondo certe regole (che gli alpinisti si danno ma alla fine non sono scritte da nessuna parte) rappresenti un valore sufficiente nei confronti degli altri a giustificare la propria vita.
io penso che anche Hall aveva un sogno, non ha venduto la propria vita per soldi ma per realizzare quel sogno.
e tra l'altro dovendolo giudicare con il vostro metodo, dovrei dire che era un pirla, lui e tutti quelli che continuano ad andare sull'Everest a morire, visto che mi sembra sia già stato scalato da più di qualche anno e da più di qualche persona.
 
...ognuno dei due avesse i suoi sogni da realizzare...

Che per realizzare un sogno valga sempre e comunque la pena di crepare è una di quelle cose che si dicono per parlar bene dei morti.
Quando ad un sogno si dedica la vita (e intendo viverla, non darla via) esiste una soglia al di sotto della quale si diventa patetici. Puoi dedicare la vita al bene dell'umanità come puoi dedicarla a costruire una statua di Michael Jackson con gli stuzzicadenti. Scusa se distinguo.

...tutti quelli che continuano ad andare sull'Everest a morire..

C'é una differenza enorme tra "patetico" e "pirla" (*), credo che sia opinione comune che no, non "tutti" quelli che si vanno ad ammazzare sull'Everest sono patetici ma "tanti" di loro sì.


(*) patetico implica tenerezza ed empatia, pirla ridicolo e disprezzo
 
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