Oggi leggendo un libro ho incontrato la pagina che metto qui, non il libro voglio segnalarvi ma solo questo breve momento di riflessione altrui (da "Diari" - Sylvia Plath, una ragazza del secolo scorso), perché penso meriti veramente d'esser letta.
E mentre leggevo pensavo a quante sensazioni simili sono passate tra occhi e teste diverse, in diversi luoghi e tempi eppure metterle così chiaramente sulla carta non è impresa facile.
L'autrice aveva circa 19 anni quando le ha annotate sul suo diario.
Su una spiaggia sassosa, relativamente poco frequentata, c'è un enorme scoglio che si protende sul mare. Dopo un'arrampicata, un'ascesa da un appiglio dentato all'altro, si raggiunge una sporgenza naturale dove una persona, una sola, può sdraiarsi comodamente a guardare giù la marea che sale e scende, oppure al di là dell'insenatura, dove le vele catturano la luce e poi l'ombra, bordeggiando lontane verso l'orizzonte. Il sole ha calcinato questi scogli e l'enorme, ininterrotto movimento della marea, abbattendosi sui massi, li ha frantumati e ridotti a lisci ciottoli ardenti di sole che crepitano e scivolano sotto i piedi di chi cammina sulla spiaggia. Mi pervade il sereno senso della lenta, graduale inesorabilità dei mutamenti della crosta terrestre. Un amore struggente, non per un dio ma per la nitida, assoluta sensazione che le pietre senza nome trovino una definizione passeggera attraverso la coscienza dell'essere che le osserva. Insieme al sole che arroventa gli scogli e la carne, e al vento che scompiglia l'erba e i capelli, c'è la consapevolezza che le forze cieche immense inconsce impersonali e neutrali resisteranno e che il fragile organismo miracolosamente tessuto che le interpreta e le investe di significato si muoverà per un poco, poi si indebolirà, verrà meno e infine si decomporrà sotto l'anonima terra, senza più voce, senza più volto, senza più identità.
E mentre leggevo pensavo a quante sensazioni simili sono passate tra occhi e teste diverse, in diversi luoghi e tempi eppure metterle così chiaramente sulla carta non è impresa facile.
L'autrice aveva circa 19 anni quando le ha annotate sul suo diario.
Su una spiaggia sassosa, relativamente poco frequentata, c'è un enorme scoglio che si protende sul mare. Dopo un'arrampicata, un'ascesa da un appiglio dentato all'altro, si raggiunge una sporgenza naturale dove una persona, una sola, può sdraiarsi comodamente a guardare giù la marea che sale e scende, oppure al di là dell'insenatura, dove le vele catturano la luce e poi l'ombra, bordeggiando lontane verso l'orizzonte. Il sole ha calcinato questi scogli e l'enorme, ininterrotto movimento della marea, abbattendosi sui massi, li ha frantumati e ridotti a lisci ciottoli ardenti di sole che crepitano e scivolano sotto i piedi di chi cammina sulla spiaggia. Mi pervade il sereno senso della lenta, graduale inesorabilità dei mutamenti della crosta terrestre. Un amore struggente, non per un dio ma per la nitida, assoluta sensazione che le pietre senza nome trovino una definizione passeggera attraverso la coscienza dell'essere che le osserva. Insieme al sole che arroventa gli scogli e la carne, e al vento che scompiglia l'erba e i capelli, c'è la consapevolezza che le forze cieche immense inconsce impersonali e neutrali resisteranno e che il fragile organismo miracolosamente tessuto che le interpreta e le investe di significato si muoverà per un poco, poi si indebolirà, verrà meno e infine si decomporrà sotto l'anonima terra, senza più voce, senza più volto, senza più identità.