Devo essere sincero.
Sento le notizie, guardo le immagini del TG, vedo srotolarsi il nastro degli eventi quotidiani, ed è come se mi sentissi sempre più coperto da una sottile pellicola, un film trasparente: composto da un misto di disagio, inquietudine, malinconia, senso di incertezza.
Mai avrei pensato che quanto osservai a proposito della "paura nucleare", quando rievocai le sensazioni vissute con Chernobyl, si sarebbe potuto riproporre in modo identico ma in tutt'altra forma.
L'atomo sembrava l'unica possibile fonte di quella forma di paura, non replicabile. In particolare quella forma un po' tentacolare, nello spazio e nel tempo: la consapevolezza di poter essere "inseguiti" dal pericolo senza poter sapere con sicurezza fino a dove e fino a quando.
Ma per paradosso perfino la parabola dell'atomo aveva pur sempre un recondito barlume di speranza finale: il classico stereotipo dell'uomo che "se la va a cercare" facendo i passi più lunghi delle gambe, sfidando i limiti, riserva sempre la possibile via d'uscita della "volontà". Ovvero: basta redimersi, cioè smettere, tornare sui propri passi. In fondo quello è un pericolo oscuro, inquietante, ma pur sempre soggetto al forma più rudimentale e basilare di controllo: la VOLONTA'. Un po' come cessare di farsi del male fumando: basta smettere. Nessun destino lo impedisce.
E invece oggi questa striscia di terremoti, questo "sciame sismico" che hai voglia a cercare di sezionare in tanti episodi ma in realtà, almeno dall'Aquila in poi, ti scorre mentalmente davanti come un film senza soluzione di continuità, sembra travalicare perfino le gelide sensazioni provocate dall'atomo.
E' proprio la continuità di questi episodi, di cui non abbiamo memoria, a instillare l'idea che non ci possa essere un limite nel tempo.
Così come è proprio il loro verificarsi ormai ovunque, anche in terre da sempre giudicate "al riparo" dai più autorevoli e consolidati studi accademici e specialistici, ad instillare l'altra idea - terribilmente complementare - che non ci possa essere neppure un limite nello spazio. E che anche gli scienziati che hanno dedicato intere vite a osservare e studiare, siano in realtà immersi in una coltre di imponderabile e insospettabile ignoranza. Anche le sicurezze della scienza si sgretolano.
E così torniamo appunto a quello stesso tipo di paura: non sentirsi al sicuro in nessun momento e in nessun luogo. Percepire la propria vulnerabilità sempre e ovunque.
Forse è adesso che ci rendiamo conto di quanto un vero pilastro della nostra vita sia -psicologicamente - la sensazione di SICUREZZA. Che spesso si materializza in una casa che ci aspetta. L'avventura è bella, avvincente, ma solo perchè SAPPIAMO che resta comunque per così dire "fuori", esterna. Ci piace CONTRAPPOSTA alla sicurezza, ma in fondo il nostro inconfessato ovile è sempre quest'ultima.
Nulla è più psicologicamente devastante rispetto all'immagine di una casa crollata. Immagino che sia come perdere una parte di se stessi, come sentirsi sospesi nel vuoto. Lo immagino non avendolo vissuto, ma allo stesso tempo in modo diverso rispetto a prima, ossia con la strana consapevolezza che POSSA succedere anche a me. Il terremoto non sembra più l'evento straordinario, ma è proprio la sua pervasività nel quotidiano ad aver(me)lo reso così ferocemente vicino.
Sembra esserci una sorta di regia occulta nel vederlo colpire con una tale sistematicità periodica; nel vederlo colpire proprio le città, le fabbriche, i capannoni, insomma il cuore pulsante della nostra società anzichè lande spesso del tutto decentrate e semideserte o al massimo sperduti paesini come accadeva "prima". Sembra quasi che la natura nelle sue viscere abbia sviluppato un cervello, una mente perversa in grado di pianificare uno stillicidio distruttivo, facendosi beffe dell'uomo e costringendolo a tessere una tela di Penelope, o a riempire d'acqua un secchio sfondato, a nno dargli più il tempo (e le risorse) materiali della ricostruzione prima di una nuova distruzione. Come se i tempi geologici fossero diventati tempi "umani".
I tempi geologici: in fondo era lì la nostra sicurezza ora incrinata...;
le famose probabilità: capita UNA volta ogni tot MILA anni. E allora un terremoto diventava quasi una liberazione, via il dente via il dolore.
Invece ora sembra non essere più così.
E se questa paura interviene come un cerino acceso sulla benzina dell'altra paura - quella di una crisi economica anch'essa mai prima vissuta in queste forme e con questa profondità - allora davvero viene da domandarsi se non ci è toccato di vivere in un momento eccezionale.
Sento le notizie, guardo le immagini del TG, vedo srotolarsi il nastro degli eventi quotidiani, ed è come se mi sentissi sempre più coperto da una sottile pellicola, un film trasparente: composto da un misto di disagio, inquietudine, malinconia, senso di incertezza.
Mai avrei pensato che quanto osservai a proposito della "paura nucleare", quando rievocai le sensazioni vissute con Chernobyl, si sarebbe potuto riproporre in modo identico ma in tutt'altra forma.
L'atomo sembrava l'unica possibile fonte di quella forma di paura, non replicabile. In particolare quella forma un po' tentacolare, nello spazio e nel tempo: la consapevolezza di poter essere "inseguiti" dal pericolo senza poter sapere con sicurezza fino a dove e fino a quando.
Ma per paradosso perfino la parabola dell'atomo aveva pur sempre un recondito barlume di speranza finale: il classico stereotipo dell'uomo che "se la va a cercare" facendo i passi più lunghi delle gambe, sfidando i limiti, riserva sempre la possibile via d'uscita della "volontà". Ovvero: basta redimersi, cioè smettere, tornare sui propri passi. In fondo quello è un pericolo oscuro, inquietante, ma pur sempre soggetto al forma più rudimentale e basilare di controllo: la VOLONTA'. Un po' come cessare di farsi del male fumando: basta smettere. Nessun destino lo impedisce.
E invece oggi questa striscia di terremoti, questo "sciame sismico" che hai voglia a cercare di sezionare in tanti episodi ma in realtà, almeno dall'Aquila in poi, ti scorre mentalmente davanti come un film senza soluzione di continuità, sembra travalicare perfino le gelide sensazioni provocate dall'atomo.
E' proprio la continuità di questi episodi, di cui non abbiamo memoria, a instillare l'idea che non ci possa essere un limite nel tempo.
Così come è proprio il loro verificarsi ormai ovunque, anche in terre da sempre giudicate "al riparo" dai più autorevoli e consolidati studi accademici e specialistici, ad instillare l'altra idea - terribilmente complementare - che non ci possa essere neppure un limite nello spazio. E che anche gli scienziati che hanno dedicato intere vite a osservare e studiare, siano in realtà immersi in una coltre di imponderabile e insospettabile ignoranza. Anche le sicurezze della scienza si sgretolano.
E così torniamo appunto a quello stesso tipo di paura: non sentirsi al sicuro in nessun momento e in nessun luogo. Percepire la propria vulnerabilità sempre e ovunque.
Forse è adesso che ci rendiamo conto di quanto un vero pilastro della nostra vita sia -psicologicamente - la sensazione di SICUREZZA. Che spesso si materializza in una casa che ci aspetta. L'avventura è bella, avvincente, ma solo perchè SAPPIAMO che resta comunque per così dire "fuori", esterna. Ci piace CONTRAPPOSTA alla sicurezza, ma in fondo il nostro inconfessato ovile è sempre quest'ultima.
Nulla è più psicologicamente devastante rispetto all'immagine di una casa crollata. Immagino che sia come perdere una parte di se stessi, come sentirsi sospesi nel vuoto. Lo immagino non avendolo vissuto, ma allo stesso tempo in modo diverso rispetto a prima, ossia con la strana consapevolezza che POSSA succedere anche a me. Il terremoto non sembra più l'evento straordinario, ma è proprio la sua pervasività nel quotidiano ad aver(me)lo reso così ferocemente vicino.
Sembra esserci una sorta di regia occulta nel vederlo colpire con una tale sistematicità periodica; nel vederlo colpire proprio le città, le fabbriche, i capannoni, insomma il cuore pulsante della nostra società anzichè lande spesso del tutto decentrate e semideserte o al massimo sperduti paesini come accadeva "prima". Sembra quasi che la natura nelle sue viscere abbia sviluppato un cervello, una mente perversa in grado di pianificare uno stillicidio distruttivo, facendosi beffe dell'uomo e costringendolo a tessere una tela di Penelope, o a riempire d'acqua un secchio sfondato, a nno dargli più il tempo (e le risorse) materiali della ricostruzione prima di una nuova distruzione. Come se i tempi geologici fossero diventati tempi "umani".
I tempi geologici: in fondo era lì la nostra sicurezza ora incrinata...;
le famose probabilità: capita UNA volta ogni tot MILA anni. E allora un terremoto diventava quasi una liberazione, via il dente via il dolore.
Invece ora sembra non essere più così.
E se questa paura interviene come un cerino acceso sulla benzina dell'altra paura - quella di una crisi economica anch'essa mai prima vissuta in queste forme e con questa profondità - allora davvero viene da domandarsi se non ci è toccato di vivere in un momento eccezionale.