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Era da ormai quasi due anni che non vedevo le vette dei monti pallidi. Il desiderio di tornare in Dolomiti per avventurarmi su alcune vie classiche non si è mai modificato da quando, nel 2006, ebbi l’occasione di scalare per la prima volta itinerari lunghi tra il Piccolo Lagazuoi, il Piz Ciavazes, le Cinque Torri e la Torre piccola di Falzarego.
Il 9 agosto, in compagnia di Alessia, ci muoviamo da Roma alla volta di Caviola, un paesino non distante dal gruppo del Civetta. Alloggiamo in una casa confortevole e questo ci offre l’occasione di ristorarci e prendere i giusti momenti di riposo tra un’uscita e l’altra. Alcuni amici si trovano in un campeggio a Falcade, un centro a pochi chilometri di distanza. Sarà con uno di loro che riuscirò a fare alcune belle salite nell’arco di pochi giorni. E’ venerdì e l’indomani sarà il primo giorno nel viaggio attraverso le rocce della montagna.
La mattina di sabato 10 agosto mi muovo con Carlo verso lo spigolo Abram a Piz Ciavazes, una via di 372 metri di sviluppo con esposizione sud-est. All’attacco incontriamo un amico abruzzese che seguirà le nostre tracce, dopo aver rinunciato alla via Schubert per il gran numero di cordate. La via scorre abbastanza velocemente e, in circa quattro ore, ci ritroviamo sulla cengia dei camosci.
Per il giorno dopo decidiamo di affrontare una via più impegnativa, aperta nel 1950 da Hermann Buhl, l’uomo che salì per primo e da solo il Nanga Parbat. Ci troviamo sempre al Ciavazes per salire il diedro Buhl, una variante aperta dal forte alpinista che si stacca dalla via Micheluzzi per affrontare lo splendido diedro sovrastante
Qui il gioco richiede maggiore impegno e concentrazione. Il primo tiro della via, dopo aver lasciato la parte in comune con la Micheluzzi, è una fessura verticale che si supera con difficoltà per poi entrare in placca e aggirare uno strapiombo con passaggi delicati.
Quando si è sotto il diedro si ha la sensazione di una forte verticalità.
Ci vorranno circa 5 ore e mezzo per terminare la via e giungere alla cengia dalla quale si affronta la discesa.
Il giorno successivo mi prendo un’involontaria giornata di riposo perché, nei pressi della prima Torre del Sella, non trovo l’attacco della via non avendo stampato la relazione. Avrei dovuto far salire la prima via di roccia ad Alessia. Vorrà dire che il battesimo è soltanto rimandato. Il mio socio, al contrario, parte con un altro compagno di cordata alla volta della Torre Valgrande nel gruppo del Civetta.
Ci ritroveremo il martedì per affrontare una via breve, sia per il tempo incerto nel pomeriggio sia per la stanchezza che il socio aveva accumulato il giorno prima in parete. Decidiamo per una-due vie sul gruppo del Nuvolau, dove non avevo mai scalato prima di allora.
La prima via è la Ghedina, sulla Torre Luisa, con appena 113 metri di sviluppo e un paio di ore previste per salirla.
Terminata la via rientriamo al Passo Giau e ci concediamo un panino e una birra. Giusto il tempo per rifocillarci e per decidere il da farsi. Scegliamo di fare una via veloce che non richieda un lungo avvicinamento. La scelta cade sulla via del camino a Torre Anna, 150 metri di sviluppo e 1,30-2 ore previste per salirla.
Abbiamo voglia di andare veloci e di proteggere poco, dato che la difficoltà non supera il IV. Alla fine scaliamo rapidi e decidiamo di non abbondare con le protezioni, anche per testarci su questi aspetti in vista di vie più lunghe.
Il giorno dopo mi concedo un riposo.
Riccardo, un amico toscano con il quale avevo scalato due anni fa, mi chiama al telefono preannunciandomi che sarebbe salito per ferragosto con un amico. Lo convinco a fare una gran via, una di quelle che non ti scorderai per tutta la vita. Alla fine accetta anche se si trattava per lui di una via già salita diversi anni fa. E’ tempo della Costantini-Apollonio alla Tofana di Rozes.
Si tratta di una via che avevo sempre temuto per la sua difficoltà e per l’ingaggio complessivo. Ma ora, dopo il faticoso rodaggio sul Gran Sasso, è arrivato il momento per affrontare una classica di alto livello. Cinquecentottantuno metri di sviluppo ai quali aggiungerne altri cento di canalini per raggiungere la forcella. Tempo previsto dalle 8 alle 10 ore per salirla. L’ideale sarebbe dormire comodamente al Rifugio Dibona per trovarsi, in meno di un’ora, all’attacco. Ma questo non è per noi possibile perché il socio aveva già prenotato il pernotto in un rifugio al Passo Duran. Non mi resta che raggiungerli per partire insieme l’indomani.
A cena sfogliamo le diverse relazioni che abbiamo con noi e, dopo un rapido confronto, optiamo per quella di Mauro Bernardi, a nostro parere più precisa e dettagliata rispetto alle altre in nostro possesso. La sveglia è per le 4.30, visto che dovremo fare almeno un’ora di strada prima di raggiungere il rifugio. Quando arriviamo lì, non c’è ancora nessuno in giro. Entro breve tempo, però, alcuni alpinisti assonnati escono dalle loro auto dove avevano passato la notte in sacco a pelo. Cominciamo a prepararci e a dirigerci verso il Pilastro della Tofana di Rozes, quando la luce dell’alba illumina la roccia di un colore dorato.
Attacchiamo la via poco dopo le 7 della domenica di ferragosto.
Concordo con il socio per salire da capocordata la prima parte della via in modo da scorrere velocemente senza dover fare cambi di corda, dato che siamo in tre.
Già il primo tiro richiede un certo impegno e il freddo alle mani comincia a farsi sentire. Il secondo tiro è un traverso in placca molto estetico che affronto con una nebbiolina poco rassicurante. Ma le difficoltà più grandi vengono dopo, quando si devono affrontare i tetti
o la famosa schiena di mulo, un camino spesso bagnato e faticoso che in genere si sale in artificiale, a meno di non possedere un livello tecnico elevato.
Impiegheremo 10 ore per scalare la via e la sensazione di profondo piacere per questa salita resterà intatta nei giorni a venire.
Il giorno successivo decido di riposare. Alessia è ancora a digiuno di roccia ed è arrivato il momento di salire insieme una via. Saluto il socio che rientra a Roma e scelgo con Alessia di andare l’indomani alle Cinque Torri. La scelta è guidata dal fatto che in quel gruppo è possibile fare vie non difficili con un breve avvicinamento; quel che serve per chi fa una via di montagna per la prima volta.
Ci muoviamo da Caviola il sabato alle 8 circa, in tempo per fare la strada che porta al rifugio delle cinque torri che chiude alle 9,30. Decidiamo per una via sulla Torre Latina che riusciamo a terminare in breve tempo. Dalla vetta si scorgono altre cordate in cima alle altre torri.
Per Alessia è la prima volta anche per le doppie ma, prima di effettuarle dalla cima della torre, ritengo opportuno farle fare una calata guidata dalla prima sosta.
Mentre rientriamo verso il rifugio, in un’area attrezzata a falesia incontro Clemente, un amico romano con cui ero andato ad arrampicare un paio di volte a Ferentillo. Ci accordiamo per salire insieme qualche via e così prende forma l’idea di tornare alla Tofana di Rozes, questa volta per affrontare il primo spigolo sulla linea aperta da Alverà e Pompanin.
Poco prima delle sei e mezzo del 18 agosto ci ritroviamo sul piazzale dietro il rifugio Dibona, e alle 7.15 siamo all’attacco della via
Sul sentiero i camosci ci scrutano da lontano
L’ambiente è impressionante e la via merita certamente una ripetizione
Il giorno seguente è Alessia che mi propone di fare un’altra scalata e, complice il bel tempo per metà giornata, saliamo la bella e facile via dei camini alla prima Torre del Sella.
La voglia di arrampicare resta sempre molto alta, nonostante la stanchezza che ogni tanto si fa sentire. Il 20 agosto salgo con Clemente la via Comici sulla Torre piccola di Falzarego. Si tratta di una bella via che, per la presenza di chiodi cementati sulle soste e di bolli rossi lungo l’itinerario (anche per segnalare le clessidre!), si presta certamente come percorso didattico per le scuole del Cai.
L’obiettivo più importante che mi pongo con Clemente è salire la via Demuth sulla cima Ovest alle Tre Cime di Lavaredo. Per poterlo fare senza levatacce, decido di pernottare al Rifugio Auronzo la sera stessa, in modo da trovarmi pronto di primo mattino per affrontare l’avvicinamento. La sera, dopo aver mangiato, non riesco a resistere alla tentazione di vedere le Tre cime dal versante nord.
Con la luna piena il sentiero di ritorno verso l’Auronzo assume un alone di magia
La via è lunga, molto bella, con la roccia fredda durante la prima parte della salita e con un piccolo nevaio che abbiamo dovuto superare per raggiungere l’attacco.
Il giorno seguente, il 22 agosto, salita “plaisir” con Alessia sulla parete ovest della Torre grande di Falzarego.
Le ultime vie salite sono alle Pale di San Martino. In gran parte del gruppo montuoso la roccia è salda e appigliata, ed è un vero godimento scalarla.
Come prima via scegliamo di salire una via di Castiglioni Detassis sulla Pala del Rifugio, lo spigolo nord ovest
La via ha uno sviluppo di 700 metri e ha un tiro faticoso in camino. Per il resto l’arrampicata è sempre bella.
Nel pomeriggio del giorno seguente ci dirigiamo verso Malga Zivertàghe da dove prendiamo il sentiero che ci porta in un paio d’ore al Rifugio Velo della Madonna a 2.358 metri d’altezza. Per l’indomani il progetto è succulento: la via Messner alla Cima della Madonna, 300 metri di sviluppo su una placca compatta e lavorata con pochi chiodi in via ma diverse possibilità di proteggersi sulle numerose clessidre che si incontrano.
Ci svegliamo con molta comodità perché l’idea è di iniziare a salire tardi, visto che si tratta di una parete nord e la temperatura la mattina è di 4 gradi. Tergiversiamo leggendo le guide del rifugio, verificando l’eventuale rialzo della temperatura nel termometro esterno ed aspettando che il vento diminuisca e le nuvoli si diradino. Insomma, cerchiamo la condizione favorevole per affrontare questa via stupenda. Verso le 12 iniziamo l’avvicinamento e quando ci appare la nord abbiamo la sensazione di una lavagna levigata
L’arrampicata è entusiasmante e verrebbe voglia di continuare a scalare finché la corda non finisce. La via confluisce sugli ultimi tiri del classico Spigolo del velo.
Si arriva in vetta verso le 18.20. Ci muoviamo velocemente sul sentiero di discesa per cercare la prima sosta attrezzata per le doppie che si raggiunge con un traverso molto esposto. Scendiamo giù senza perder tempo e giungiamo al Rifugio al tramonto.
La mattina seguente ci godiamo la vista dell’alba sulle Pale prima di ridiscendere.
Il 9 agosto, in compagnia di Alessia, ci muoviamo da Roma alla volta di Caviola, un paesino non distante dal gruppo del Civetta. Alloggiamo in una casa confortevole e questo ci offre l’occasione di ristorarci e prendere i giusti momenti di riposo tra un’uscita e l’altra. Alcuni amici si trovano in un campeggio a Falcade, un centro a pochi chilometri di distanza. Sarà con uno di loro che riuscirò a fare alcune belle salite nell’arco di pochi giorni. E’ venerdì e l’indomani sarà il primo giorno nel viaggio attraverso le rocce della montagna.
La mattina di sabato 10 agosto mi muovo con Carlo verso lo spigolo Abram a Piz Ciavazes, una via di 372 metri di sviluppo con esposizione sud-est. All’attacco incontriamo un amico abruzzese che seguirà le nostre tracce, dopo aver rinunciato alla via Schubert per il gran numero di cordate. La via scorre abbastanza velocemente e, in circa quattro ore, ci ritroviamo sulla cengia dei camosci.
Per il giorno dopo decidiamo di affrontare una via più impegnativa, aperta nel 1950 da Hermann Buhl, l’uomo che salì per primo e da solo il Nanga Parbat. Ci troviamo sempre al Ciavazes per salire il diedro Buhl, una variante aperta dal forte alpinista che si stacca dalla via Micheluzzi per affrontare lo splendido diedro sovrastante
Qui il gioco richiede maggiore impegno e concentrazione. Il primo tiro della via, dopo aver lasciato la parte in comune con la Micheluzzi, è una fessura verticale che si supera con difficoltà per poi entrare in placca e aggirare uno strapiombo con passaggi delicati.
Quando si è sotto il diedro si ha la sensazione di una forte verticalità.
Ci vorranno circa 5 ore e mezzo per terminare la via e giungere alla cengia dalla quale si affronta la discesa.
Il giorno successivo mi prendo un’involontaria giornata di riposo perché, nei pressi della prima Torre del Sella, non trovo l’attacco della via non avendo stampato la relazione. Avrei dovuto far salire la prima via di roccia ad Alessia. Vorrà dire che il battesimo è soltanto rimandato. Il mio socio, al contrario, parte con un altro compagno di cordata alla volta della Torre Valgrande nel gruppo del Civetta.
Ci ritroveremo il martedì per affrontare una via breve, sia per il tempo incerto nel pomeriggio sia per la stanchezza che il socio aveva accumulato il giorno prima in parete. Decidiamo per una-due vie sul gruppo del Nuvolau, dove non avevo mai scalato prima di allora.
La prima via è la Ghedina, sulla Torre Luisa, con appena 113 metri di sviluppo e un paio di ore previste per salirla.
Terminata la via rientriamo al Passo Giau e ci concediamo un panino e una birra. Giusto il tempo per rifocillarci e per decidere il da farsi. Scegliamo di fare una via veloce che non richieda un lungo avvicinamento. La scelta cade sulla via del camino a Torre Anna, 150 metri di sviluppo e 1,30-2 ore previste per salirla.
Abbiamo voglia di andare veloci e di proteggere poco, dato che la difficoltà non supera il IV. Alla fine scaliamo rapidi e decidiamo di non abbondare con le protezioni, anche per testarci su questi aspetti in vista di vie più lunghe.
Il giorno dopo mi concedo un riposo.
Riccardo, un amico toscano con il quale avevo scalato due anni fa, mi chiama al telefono preannunciandomi che sarebbe salito per ferragosto con un amico. Lo convinco a fare una gran via, una di quelle che non ti scorderai per tutta la vita. Alla fine accetta anche se si trattava per lui di una via già salita diversi anni fa. E’ tempo della Costantini-Apollonio alla Tofana di Rozes.
Si tratta di una via che avevo sempre temuto per la sua difficoltà e per l’ingaggio complessivo. Ma ora, dopo il faticoso rodaggio sul Gran Sasso, è arrivato il momento per affrontare una classica di alto livello. Cinquecentottantuno metri di sviluppo ai quali aggiungerne altri cento di canalini per raggiungere la forcella. Tempo previsto dalle 8 alle 10 ore per salirla. L’ideale sarebbe dormire comodamente al Rifugio Dibona per trovarsi, in meno di un’ora, all’attacco. Ma questo non è per noi possibile perché il socio aveva già prenotato il pernotto in un rifugio al Passo Duran. Non mi resta che raggiungerli per partire insieme l’indomani.
A cena sfogliamo le diverse relazioni che abbiamo con noi e, dopo un rapido confronto, optiamo per quella di Mauro Bernardi, a nostro parere più precisa e dettagliata rispetto alle altre in nostro possesso. La sveglia è per le 4.30, visto che dovremo fare almeno un’ora di strada prima di raggiungere il rifugio. Quando arriviamo lì, non c’è ancora nessuno in giro. Entro breve tempo, però, alcuni alpinisti assonnati escono dalle loro auto dove avevano passato la notte in sacco a pelo. Cominciamo a prepararci e a dirigerci verso il Pilastro della Tofana di Rozes, quando la luce dell’alba illumina la roccia di un colore dorato.
Attacchiamo la via poco dopo le 7 della domenica di ferragosto.
Concordo con il socio per salire da capocordata la prima parte della via in modo da scorrere velocemente senza dover fare cambi di corda, dato che siamo in tre.
Già il primo tiro richiede un certo impegno e il freddo alle mani comincia a farsi sentire. Il secondo tiro è un traverso in placca molto estetico che affronto con una nebbiolina poco rassicurante. Ma le difficoltà più grandi vengono dopo, quando si devono affrontare i tetti
o la famosa schiena di mulo, un camino spesso bagnato e faticoso che in genere si sale in artificiale, a meno di non possedere un livello tecnico elevato.
Impiegheremo 10 ore per scalare la via e la sensazione di profondo piacere per questa salita resterà intatta nei giorni a venire.
Il giorno successivo decido di riposare. Alessia è ancora a digiuno di roccia ed è arrivato il momento di salire insieme una via. Saluto il socio che rientra a Roma e scelgo con Alessia di andare l’indomani alle Cinque Torri. La scelta è guidata dal fatto che in quel gruppo è possibile fare vie non difficili con un breve avvicinamento; quel che serve per chi fa una via di montagna per la prima volta.
Ci muoviamo da Caviola il sabato alle 8 circa, in tempo per fare la strada che porta al rifugio delle cinque torri che chiude alle 9,30. Decidiamo per una via sulla Torre Latina che riusciamo a terminare in breve tempo. Dalla vetta si scorgono altre cordate in cima alle altre torri.
Per Alessia è la prima volta anche per le doppie ma, prima di effettuarle dalla cima della torre, ritengo opportuno farle fare una calata guidata dalla prima sosta.
Mentre rientriamo verso il rifugio, in un’area attrezzata a falesia incontro Clemente, un amico romano con cui ero andato ad arrampicare un paio di volte a Ferentillo. Ci accordiamo per salire insieme qualche via e così prende forma l’idea di tornare alla Tofana di Rozes, questa volta per affrontare il primo spigolo sulla linea aperta da Alverà e Pompanin.
Poco prima delle sei e mezzo del 18 agosto ci ritroviamo sul piazzale dietro il rifugio Dibona, e alle 7.15 siamo all’attacco della via
Sul sentiero i camosci ci scrutano da lontano
L’ambiente è impressionante e la via merita certamente una ripetizione
Il giorno seguente è Alessia che mi propone di fare un’altra scalata e, complice il bel tempo per metà giornata, saliamo la bella e facile via dei camini alla prima Torre del Sella.
La voglia di arrampicare resta sempre molto alta, nonostante la stanchezza che ogni tanto si fa sentire. Il 20 agosto salgo con Clemente la via Comici sulla Torre piccola di Falzarego. Si tratta di una bella via che, per la presenza di chiodi cementati sulle soste e di bolli rossi lungo l’itinerario (anche per segnalare le clessidre!), si presta certamente come percorso didattico per le scuole del Cai.
L’obiettivo più importante che mi pongo con Clemente è salire la via Demuth sulla cima Ovest alle Tre Cime di Lavaredo. Per poterlo fare senza levatacce, decido di pernottare al Rifugio Auronzo la sera stessa, in modo da trovarmi pronto di primo mattino per affrontare l’avvicinamento. La sera, dopo aver mangiato, non riesco a resistere alla tentazione di vedere le Tre cime dal versante nord.
Con la luna piena il sentiero di ritorno verso l’Auronzo assume un alone di magia
La via è lunga, molto bella, con la roccia fredda durante la prima parte della salita e con un piccolo nevaio che abbiamo dovuto superare per raggiungere l’attacco.
Il giorno seguente, il 22 agosto, salita “plaisir” con Alessia sulla parete ovest della Torre grande di Falzarego.
Le ultime vie salite sono alle Pale di San Martino. In gran parte del gruppo montuoso la roccia è salda e appigliata, ed è un vero godimento scalarla.
Come prima via scegliamo di salire una via di Castiglioni Detassis sulla Pala del Rifugio, lo spigolo nord ovest
La via ha uno sviluppo di 700 metri e ha un tiro faticoso in camino. Per il resto l’arrampicata è sempre bella.
Nel pomeriggio del giorno seguente ci dirigiamo verso Malga Zivertàghe da dove prendiamo il sentiero che ci porta in un paio d’ore al Rifugio Velo della Madonna a 2.358 metri d’altezza. Per l’indomani il progetto è succulento: la via Messner alla Cima della Madonna, 300 metri di sviluppo su una placca compatta e lavorata con pochi chiodi in via ma diverse possibilità di proteggersi sulle numerose clessidre che si incontrano.
Ci svegliamo con molta comodità perché l’idea è di iniziare a salire tardi, visto che si tratta di una parete nord e la temperatura la mattina è di 4 gradi. Tergiversiamo leggendo le guide del rifugio, verificando l’eventuale rialzo della temperatura nel termometro esterno ed aspettando che il vento diminuisca e le nuvoli si diradino. Insomma, cerchiamo la condizione favorevole per affrontare questa via stupenda. Verso le 12 iniziamo l’avvicinamento e quando ci appare la nord abbiamo la sensazione di una lavagna levigata
L’arrampicata è entusiasmante e verrebbe voglia di continuare a scalare finché la corda non finisce. La via confluisce sugli ultimi tiri del classico Spigolo del velo.
Si arriva in vetta verso le 18.20. Ci muoviamo velocemente sul sentiero di discesa per cercare la prima sosta attrezzata per le doppie che si raggiunge con un traverso molto esposto. Scendiamo giù senza perder tempo e giungiamo al Rifugio al tramonto.
La mattina seguente ci godiamo la vista dell’alba sulle Pale prima di ridiscendere.