Faccio un pippone e poi non scrivo più su questo thread, promesso.
Secondo me, tutto questo (inteso come vicenda delle ragazze e come posizioni nella discussione) è emblematico della situazione attuale.
La vita della gente oggi è comoda: nella quotidianità non ha mai provato il freddo, la fame, la sete, l'isolamento in condizioni difficili; è abituata a pensare che c'è sempre qualcuno che ti può aiutare e che arriva subito, basta fare una telefonata.
Oggi la montagna è facilmente raggiungibile da tutti: con le auto arrivi ovunque, i rifugi sono numerosissimi ed a prezzi accessibili, dotarsi di abbigliamento e di un minimo di materiale tecnico (volendo, ricorrendo a materiali low cost, tipo decathlon) è alla portata di tutti, quindi andare in montagna a fare escursionismo diventa un'esperienza percepita come vicina e facile, banale, quasi scontata.
Aggiungiamo poi i condizionamenti sociali: la nostra è la società dei video, delle immagini, dell'esibizione sui social, dei reality dove viene venduta la favola che chiunque può diventare, in breve, un fenomeno o come minimo "uno che ne sa".
Questo condiziona la pecezione delle attività da parte della collettività, che è portata a perdere di vista il senso del tempo, dell'esperienza, dell'impegno, della fatica e del pericolo.
La quotidianità oggi sono i video di sci estremo, freeriding, gente che scia su valanghe, arrampicata in contesti sempre più duri, avventure varie e sempre estreme, tute alari, etc. etc. il tutto quasi sempre descritto non con piglio razionale e giudizioso, ma mettendo in risalto con enfasi sempre e solo (o quasi) l'aspetto ludico, da prestazione istintiva e travolgimento emotivo.
I morti, gli infortuni gravi, etc. etc. vengono accantonati, non hanno evidenza. La percezione del pericolo e del rischio viene ridimensionata ed il rischio stesso viene ridotto ad un aspetto spettacolare, senza presa di coscienza della sua portata e delle sue conseguenze.
Un po' come se si fosse dentro un videogioco, nel quale di vite se ne hanno molte e, in caso, si ricomincia da capo la partita.
Infine, viviamo nella società dell'egualitarsimo, dove tutto deve essere consentito a tutti, dove ci si racconta la favola che siamo tutti uguali, che tutti dobbiamo avere la possibilità di andare ovunque e fare qualsiasi cosa; l'importante è seguire le emozioni, l'istinto, la voglia del momento, senza farsi troppi pipponi, perchè tutti sbagliamo e nessuno ci può e ci deve giudicare... Viviamo nella società della sicurezza, che il sistema deve paternalisticamente garantire a tutti, limitando al minimo o annullando la responsabilità dell'individuo: se le previsioni meteo sono sbagliate, il previsore è responsabile; se uno si sporge e cade da un parapetto, questo doveva essere più alto; se uno entra in un cantiere e si ferisce, l'impresa doveva recintare meglio il cantiere per impedire ingressi; se uno entra in una casa abbandonata e crolla il tetto, il proprietario doveva demolire o recintare la struttura (vedi caso recente della ghiacciaia sui monti Lessini)... La colpa non è mai dell'individuo che deve pensare prima di agire; no, oggi la colpa è sempre di altri.
Conseguentemente, guai a chi critica, a chi richiama alla razionalità, alla disciplina (nel senso buono del concetto, non in quello da regime!), a chi fa notare che la situazione è frutto di un errore, di uno sbaglio, di un comportamento non responsabile... No, oggi non si può fare questo. Oggi siamo nella società delle emozioni, dove se non ti commuovi pubblicamente sei un misantropo, dove se punti alla razionalità sei un insensibile, un cinico; dove se non canti nel coro manchi di rispetto. etc.
Per carità, l'uomo ha sempre sbagliato e sempre sbaglierà e deve esserci la libertà di farlo.
Ma il clima di oggi aggiunge ampi margini di rischio a quelli connaturati all'esistenza ed all'agire umano, perchè vengono tolti o ridotti il senso di responsabilità ed il senso del limite, portando molta gente a percepire in modo distorto la realtà.