Salvati in pantaloncini con nebbia, grandine, vento a 100km/h.

Un pò si e un pò no.
Poi mi piacerebbe che intervenissero utenti che sono Capi in servizio, per dare un contributo più attuale, se questo è il perno della discussione. Senza considerare che il progetto Educativo che viene preso dai Regolamenti associativi può poi essere diverso da associazione ad associazione.
Io posso parlare solo per l'AGESCI e parzialmente per il CNGEI, avendo anche lì molti amici e avendo collaborato in diverse attività.
Un pò sì perchè perchè è corretto dire che se "scout" è il nome (che per inciso nel 1975 per l'AGESCI è stato trasfomato/italianizzato in "Esploratore") non ha niente a che fare con il tab Ranger o Scout che viene rilasciato al termine di appositi corsi, soprattutto in ambiente militare.
E' fuorviante partire dal nome per cercare un "nomen omen", e quindi oggi puntualizzare che tali caratteristiche di capacità e perizia in certi argomenti nei ragazzi non ci sono. BP copiò il nome dai suoi scout quando era nel Trasvaal per conto dell'esercito britannico, e tale deve rimanere in ossequio e rispetto alla tradizione.
Un pò no, oltre che per quello che ho già detto, per cui è anche vero che mai Baden Powell ha voluto puntare sulla sopravvivenza in senso stretto nel suo programma educativo, espresso nel libro Scoutismo per ragazzi, che invito tutti a leggere, dove si chiarisce molto bene che si parte dalla semplice vita all'aria aperta per trarne utili insegnamenti atti a trasformare un ragazzo in bravo cittadino.
Non esperto di sopravvivenza o soldato di ventura.
Semmai i punti focali dello scoutismo mondiale (per l'età dagli 11 ai 16 anni) oggi sono il trapperismo e camperismo, come nel libro del buon Mercanti, e la parola d'ordine è AVVENTURA..
E' vero che possiamo affidarci ad uno scout perchè sappiamo che può meritare fiducia, per la sua formazione ed il suo percorso, però non possiamo pretendere che sia un soggetto addestrato e competente in tutto. Sappiamo solo che in ogni cosa che farà ci metterà sempre il "proprio meglio" e cercherà di lasciare il mondo "migliore di come lo ha trovato", con le proprie competenze e le proprie capacità.
Questo è il principio educativo degli scout, il resto - purtroppo - è frutto di luoghi comuni dettati dall'ignoranza (nel senso di non conoscere il mondo scout).
Vi devo dire una cosa, in termini di spirito scout e di formazione, e di quanto sia impressionante quello che rimane dopo essere stato scout.
Ho viaggiato (e tutt'ora viaggio) molto e con gruppi, dovunque nel mondo: quando arrivo all'areoporto e incontro i miei nuovi compagni di viaggio, se ci sono ex scout sono molto pù rilassato e consapevole che avrò un aiuto in più, per qualunque cosa, anche solo morale, per effetto dello "spirito di corpo" che ci segue anche dopo aver terminato il cammino. E questo regolarmente succede.
E' una cosa che non ho mai trovato da nessuna altra parte, sodalizio o associazione che sia.

Grazie @GiulioSherpa per questo nuovo intervento che ha contribuito a migliorare ed approfondire le mie conoscenze sullo scoutismo (non sono stato Scout):
  • "scout" è il nome che non ha niente a che fare con il tab Ranger o Scout che viene rilasciato al termine di appositi corsi, soprattutto in ambiente militare
  • si parte dalla semplice vita all'aria aperta per trarne utili insegnamenti atti a trasformare un ragazzo in bravo cittadino
  • non possiamo pretendere che sia un soggetto addestrato e competente in tutto
  • se ci sono ex scout sono molto pù rilassato e consapevole che avrò un aiuto in più, per qualunque cosa, anche solo morale, per effetto dello "spirito di corpo" che ci segue anche dopo aver terminato il cammino. E questo regolarmente succede

che effettivamente, da esterno, non sapevo.
Il mio concetto di Scout era farcito di convinzioni errate.
 
Io ho una visione positiva dell'associazionismo scout, perchè nel complesso ritengo che sia una valida forma di aggregazione, sana e costruttiva, spesso anche stimolante per i ragazzi e quindi utile alla società.
Però quello che secondo me è il problema è proprio questo:
i punti focali dello scoutismo mondiale (per l'età dagli 11 ai 16 anni) oggi sono il trapperismo e camperismo, come nel libro del buon Mercanti, e la parola d'ordine è AVVENTURA..
Se questo davvero diventa il cuore dell'attività, allora divento davvero molto critico perchè nella quasi totalità del mondo scout, sia quello attuale, sia quello che ho conosciuto sin da ragazzino, mancano totalmente sia le vere competenze necessarie, sia le occasioni di esercitazione.
Quanto a queste ultime, prova a pensare a molte sezioni di grandi città (e gli scout sono molto più numerosi nelle grandi città): per offrire l'occasione di vivere all'aperto una avventura in posti scarsamente antropizzati hanno sia una difficoltà logistica (devono allontanarsi molto dalla città), sia una difficoltà economica (più ci si allontana, più serve tempo e denaro). Giustamente, gli Scout sono e vogliono restare accessibili a tutti e quindi anche il contenimento delle spese è importante.
Però se mancano da un lato le competenze e dall'altro anche le occasioni vere di esercitazione costante, come si fa a sviluppare questa attività fondamentale? Il trapperismo in fondo è simile al bushcraft oggi molto di moda e l'apprendimento della vita nella natura passa necessariamente per una costante frequentazione della stessa, tanto maggiore quanto più si punta sul concetto di autonomia e di essenzialità.
Per questo, di fatto, il grosso dell'attività degli scout è sognare la natura e l'avventura, raccontarsela e imparare un paio di nodi col cordino; per il resto però, oltre a fare semplici passeggiate ogni tanto, la dominante attività è invece molto sano volontariato, vita sociale ed attività di gruppo. Inoltre, gli scout vogliono essere inclusivi anche da un punto di vista fisico: non sono selettivi come può esserlo uno sport agonistico, non se ne fa una questione di prestanza fisica, quindi includono tutti e non è un problema se uno è cicciottello, goffo e imbranato, magro sfinito, etc. Ci sono anche capi così.
E va bene, sia chiaro! Perchè non stiamo parlando di HitlerJugend, Marines, Berretti Verdi o simili, nè di un gruppo di atletica del Coni, nè infine di un gruppo di alpinismo giovanile del CAI.
Ma se le cose stanno così, il punto focale non può davvero essere una reale formazione all'avventura ed a cavarsela nella natura ed infatti il tipo e l'entità degli incidenti lo testimoniano.
Non per nulla, l'immagine dello scout è quella del bimbo cicciottello ed imbranato del film UP.
 
Non per nulla, l'immagine dello scout è quella del bimbo cicciottello ed imbranato del film UP.

:biggrin: :lol: :rofl:

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Sono state fatte molte giuste considerazioni che è quasi inutile aggiungere altro (tra l'altro mi sono meravigliato positivamente della civiltà della discussione, temevo uscisse fuori qualche polemica, chiedo scusa per aver dubitato :) ).
Aggiungo solo che chi è genitore quando manda a scuola i figli si preoccupa soprattutto di quali saranno gli insegnanti, perché sa che faranno la differenza, eppure l'istituzione scuola dovrebbe garantire uno uguale insegnamento.
Per lo scautismo è la stessa cosa, in Italia ci sono migliaia di "capi" scout (volontari educatori) e in un paese "creativo" come il nostro si incontrano le situazioni più diversificate.
Difficilissimo poter esprimere un giudizio.
 
Quindi davvero qualcuno fa confusione tra questo:
scout.jpg

e questo:
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Battute a parte... credo che in relazione alle competenze in montagna e alla possibilità di portare sul campo determinate attività, molto dipenda dal territorio su cui opera il gruppo e la vicinanza a determinati ambienti montani dove poter andare con frequenza.

Parlavo con un rifugista della Val Codera (chi è scout dovrebbe sapere) che mi raccontava delle vicissitudini tragicomiche di un gruppo in trasferta dalle loro parti, evidentemente poco pratico di montagna.
 
@Herr, hai centrato il problema, per cui non c'è soluzione, solo un'evoluzione: da una parte i passaggi generazionali dei Capi, dove ad ogni passaggio qualcosa un pò si perde anche dal punto di vista tecnico (vuoi per i cambiamenti della società ma vuoi anche per i cambiamenti voluti all'interno dell'Associazione) e dall'altra la stessa cosa per i ragazzi, che sono frutto della nostra realtà sociale e ambientale.
Il messaggio mondiale dello scoutismo è ancora valido, la realizzazione pratica è tutt'altra cosa.
Le stesse associazioni lo interpretano in modo molto diverso, anche come cambiano i tempi.
Le competenze che si vogliono trasmettere ai ragazzi rappresentano in tutto e per tutto le competenze oggi richieste dalla nostra società. Quindi perchè stupirsi, in fondo, se sanno fare solo qualche nodo e stanno nei boschi solo di striscio? Già quando ero Capo io negli anno 80/90 si parlava addirittura della specialità di "informatico", che io ai miei tempi scout manco mi sarei sognato e per me la più ambita era boscaiolo o carpentiere.
Se date un occhiata su scoutWiki, https://it.scoutwiki.org/Scautismo_...zazioni_ed_associazioni_italiane_indipendenti, scoprite che in Italia ci sono oltre 100 (cento!) associazioni scout.
Si va dalla realtà maggiore, cattolica, "contemplativa", e forse troppo "sociale" (nel senso descritto da @Herr) dell'AGESCI ai Ranger d'Italia, che fanno gli alzabandiera con i guanti bianchi ed hanno il basco nero al posto del cappellone.
Spesso, se partecipi ad un evento di Capi/Educatori in un'associazione, ti viene voglia di scappare per la burocrazia, la terminologia e la progettualità solo relazionale/sociale che sembra andare in direzione opposta alla vita all'aria aperta teorizzata da BP.
Qualcuno anche dei Capi di oggi ti potrà rispondere che è pure anacronistico andare per i boschi, oggi, è che serve educare i ragazzi ad altro. E in alcune zone ci sono state forti reazioni e ribellioni.
Non a caso delle famose 100 realtà di cui sopra, moltissime sono nate dopo il 1975 come reazione e rifiuto alla fusione ASCI-AGI e quindi come opposizione alle modifiche apportate al metodo scout da questa nuova associazione. Qui da noi il CNGEI ha goduto di un buon raccolto di esuli dall'AGESCI proprio perchè girava voce che erano più amanti dell'outdoor che dei locali parrocchiali, e a volte è stato vero.
Ma c'è una speranza, e quella speranza è in mano a tutti noi.
Oggi quando mi confronto con i Capi dei miei figli, vedo molto entusiasmo e tanta difficoltà a realizzare i loro progetti, sia per le mutate condizioni della realtà giovanile sia anche per le diverse condizioni sociali (senza affrontare il problema della responsabilità degli educatori, che richiede un altro thread apposito).
Ci sono genitori che svengono quando sanno che i loro figli non avranno un vero bagno a disposizione per una settimana oppure non potranno parlare al cellulare con loro ogni sera dal campo. Ci sono genitori che di nascosto vanno in uscita a seguire i figli.
Ci sono genitori che contestano i menu ai cambusieri. Ci sono genitori che imbottiscono gli zaini di schifezze alimentari per paura che muoiano di fame. E mi fermo qui.
Ed ha ragione ancora @Herr quando dice che non si può essere selettivi: non esiste un "concorso" o una selezione psicofisica e attitudinale per entrare negli scout, si prendono tutti. Anche i disabili. E' un segno del cambiamento, e BP non poteva immaginarlo, ovviamente.
Lui aveva creato gli scout per ragazzi sani e robusti, in un certo senso è stato molto più discriminatorio che noi oggi.
Eppure quando qualcuno di noi propone loro attività outdoor, anche spinte (come il nostro "bushcraft" oppure arrampicata o escursionismo "serio") ci stanno e ci danno carta bianca. e i ragazzi partecipano con piacere, perchè, come sapete meglio di me, la natura ce l'abbiamo comunque dentro e per fortuna a volte viene fuori e ci fa piacere ritornarci, anche perchè nella natura non ci sono scappatoei ed ognuno deve tirare fuori il meglio di sè (un pò come il mito del buon selvaggio di Rousseau).
Quindi non nascondiamo le nostre competenze e magari mettiamole al servizio di chi ne ha bisogno, che è esattamente il messaggio socut più importante.
 
Lui aveva creato gli scout per ragazzi sani e robusti, in un certo senso è stato molto più discriminatorio che noi oggi.
Si, è vero, ma quel tipo di membri gli consentiva di fare cose che oggi, dato anche (ma non solo) il tipo di soci, diventa impossibile o molto fuori portata.
Vero tutto quello che ci siamo detti, allora secondo me dovrebbero di conseguenza rivedere i loro standard sia comunicativo e di immagine, sia organizzativo ed operativo, riposizionandoli correttamente ed evitando di giocare sulla questione del vita nella natura selvaggia e dell'avventura come se questo fosse il centro della loro attività. Perchè purtroppo non è vero o, almeno, non è più vero o, in ultima analisi, può essere vero per casi ben isolati.
In pratica, si veicola un messaggio ingannevole sia alla società (immagine esterna percepita), sia ai soci stessi (identità e coscenza di sè), che finisce per ritorcesi loro contro a vari livelli.
Io ad esempio non sono mai entrato negli scout proprio per questo: perchè "parlavano" tanto di natura ed avventura ma poi facevano praticamente niente, cioè già da bambino non li vedevo coerenti.
Poi, per carità, io so di avere sempre avuto una visione della vita un po' diversa, con poche mezze misure ed una forte deriva nel voler fare le cose in modo sportivo, inteso più come sfida a sè stessi, che come competizione con gli altri.
 

Riporto ulteriore news dalla rete, che sembra dare una informazione differente.​

https://www.montagna.tv/200236/scou...rsioni-dei-fatti-e-la-lezione-di-messner/amp/

Il racconto dei fatti​

Situazione imprevista. Eppure, il gruppo di scout era stato avvisato alla partenza dal rifugio Montanaro, in Toscana, da Alessandro Bini, presidente del Cai di Maresca, impegnato in un corso del club alpino effettuato proprio nelle primissime ore del mattino per anticipare il peggioramento di cui era stata diramata dalla protezione civile un’allerta arancione meteo con neve a 1.300 metri e vento a 100 chilometri orari sul passo. “Avevamo cercato di farli desistere perché sapevamo da quattro giorni che era prevista neve. Loro ci hanno risposto con leggerezza e sono partiti lo stesso: portavano la loro divisa con i pantaloni corti e la camicia, sulle spalle zaini molto pesanti” racconta al Corriere di Bologna. Dopo un’oretta, Bini decide per scrupolo di chiamare Antonio Tabanelli, gestore del Rifugio Del Lago Scaffaiolo, che il gruppo di ragazzi avrebbe dovuto raggiungere per pranzo, ma che quel giorno era però rimasto chiuso proprio per la prevista la bufera. Bini e Tabanelli decidono di preallertare il Soccorso Alpino. Nel frattempo, dopo vari giri di chiamate, il gestore e il presidente della sezione del Cai riescono a trovare un numero del gruppo e tentano di avvisarli che il rifugio di destinazione era chiuso e di tornare indietro, ma il telefono risultava irraggiungibile per mancanza di segnale.

Nonostante le inequivocabili pessime previsioni, hanno sfidato il crinale, male equipaggiati e sovraccaricati, nel bel mezzo di una bufera di neve con -2 e raffiche a più di 100. Stamattina il tentativo di dissuaderli dall’impresa da parte di un paio di persone al Rifugio del Montanaro non è stato colto e hanno proseguito fino a trovarsi in condizione di chiedere aiuto al Soccorso Alpino. L’epilogo non è stato tragico, solo tre ragazze portate in ospedale per conseguenze all’ipotermia. Che dire ai capi Scout di questa incosciente comitiva? Penso che l’esperieza vi abbia lasciato qualcosa, spero per voi che sia un balzetto verso la maturità e la coscienza e spero per noi che la prossima volta ci chiamiate per sapere se siamo aperti, per chiederci che clima c’è a 1800 metri, e se è il caso di mettere a rischio voi e chi vi viene a soccorrere” è lo sfogo sui social di Tabanelli.
 
Personalmente da capo scout attualmente in servizio e da praticante dell'alpinismo vorrei dire la mia:

Come già detto, ma è bene ribadirlo, lo scoutismo non ha come obiettivo la formazione di praticanti dell'outdoor né tantomeno la pratica di attività in montagna o all'aperto in genere. Tali attività (con finalità specifiche su cui non mi dilungo) sono solo uno strumento parte del metodo scout che ha come scopo la formazione di buoni cittadini e non è obbligatorio che vengano necessariamente praticate in alta montagna, ma possono benissimo essere praticate in campagna, in un parco appena fuori città ecc. Con ciò non voglio dire che gli scout non debbano andare in montagna, anzi questa può essere un'occasione utile per i ragazzi, ma ciò non implica che tutto si può fare sempre e in qualunque modo, ma anzi è compito e responsabilità di un buon capo essere in grado di rimettere le carte in tavola e di trasmettere ciò anche ai ragazzi.

Sul caso specifico di questo incidente mi sento di dire che per i capi (più che per i ragazzi) forse sarebbe stato saggio dare retta agli avvertimenti sulle previsioni meteo prima di partire e ancor più saggio sarebbe stato informarsi sullo stato di apertura del rifugio di destinazione. Sulla questione dei pantaloncini voglio dire che anche l'uniforme ha il suo perché, ma non bisogna comunque essere rigidi sulla questione: più di una volta ad esempio nel nostro gruppo siamo partiti per uscite invernali sulla neve dalla città in perfetta uniforme, ma arrivati al parcheggio o alla partenza dell'itinerario ci siamo cambiati e attrezzati a dovere. Così come è importante non esserlo nel perseguire un itinerario a tutti i costi (anche in questo caso ad esempio a noi è capitato di tagliare/modificare alcune tappe del percorso perché non in grado di affrontarle o banalmente per l'indisponibilità di acqua sul tragitto o perché il sentiero non era praticabile anche ad escursione iniziata).

Concludo dicendo che è stata certamente positiva la prontezza di capi nel valutare la situazione difficile sul momento e nel chiamare i soccorsi anche se credo che si sarebbe potuto evitare lo spiacevole inconveniente se si fosse prima riflettuto su quelle che sono le responsabilità (anche legali) di noi capi che a volte vengono trascurate (forse per il fatto che ciò che facciamo lo facciamo gratuitamente per il piacere di donare il nostro tempo al prossimo e non per trarne profitto)
 
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Personalmente da capo scout attualmente in servizio e da praticante dell'alpinismo vorrei dire la mia:

Come già detto, ma è bene ribadirlo, lo scoutismo non ha come obiettivo la formazione di praticanti dell'outdoor né tantomeno la pratica di attività in montagna o all'aperto in genere. Tali attività (con finalità specifiche su cui non mi dilungo) sono solo uno strumento parte del metodo scout che ha come scopo la formazione di buoni cittadini e non è obbligatorio che vengano necessariamente praticate in alta montagna, ma possono benissimo essere praticate in campagna, in un parco appena fuori città ecc. Con ciò non voglio dire che gli scout non debbano andare in montagna, anzi questa può essere un'occasione utile per i ragazzi, ma ciò non implica che tutto si può fare sempre e in qualunque modo, ma anzi è compito e responsabilità di un buon capo essere in grado di rimettere le carte in tavola e di trasmettere ciò anche ai ragazzi.

Sul caso specifico di questo incidente mi sento di dire che per i capi (più che per i ragazzi) forse sarebbe stato saggio dare retta agli avvertimenti sulle previsioni meteo prima di partire e ancor più saggio sarebbe stato informarsi sullo stato di apertura del rifugio di destinazione. Sulla questione dei pantaloncini voglio dire che anche l'uniforme ha il suo perché non bisogna comunque essere rigidi sulla questione: più di una volta ad esempio nel nostro gruppo siamo partiti per uscite invernali sulla neve dalla città in perfetta uniforme, ma arrivati al parcheggio o alla partenza dell'itinerario ci siamo cambiati e attrezzati a dovere. Così come è importante non esserlo nel perseguire un itinerario a tutti i costi (anche in questo caso ad esempio a noi è capitato di tagliare/modificare alcune tappe del percorso perché non in grado di affrontarle o banalmente per l'indisponibilità di acqua sul tragitto o perché il sentiero non era praticabile anche ad escursione iniziata).

Concludo dicendo che è stata certamente positiva la prontezza di capi nel valutare la situazione difficile sul momento e nel chiamare i soccorsi anche se credo che si sarebbe potuto evitare lo spiacevole inconveniente se si fosse prima riflettuto su quelle che sono le responsabilità (anche legali) di noi capi che a volte vengono trascurate (forse per il fatto che ciò che facciamo lo facciamo gratuitamente per il piacere di donare il nostro tempo al prossimo e non per trarne profitto)
apprezzatissimo!!!
 
è stata certamente positiva la prontezza di capi nel valutare la situazione difficile sul momento e nel chiamare i soccorsi
beh insomma, questa è una valutazione davvero buonista e non condivisibile!
Capisco essere benevoli nelle valutazioni, ma davvero così si finisce nel ridicolo.
Ma quale positiva prontezza???
L'unica che dovevano avere era capire che non dovevano salire o, al più, avere la prontezza di girarsi e tornare indietro senza aspettare il definitivo peggioramento del tempo.
E per prendere in tempo queste decisioni non serve essere Messner vero, basta solo un po' di buon senso.
Quando invece uno è davvero nei guai, chiamare i soccorsi è il minimo che possa fare e debba fare, soprattutto quando sta conducendo un gruppo.
 
Si è posto l'accento sulla prontezza dei capi nel gestire la situazione e chiamare i soccorsi, onde evitare un ben più tragico epilogo, ma dall'articolo di montagna.tv sembrerebbe che il tutto si sia concluso per il meglio solo perché i soccorsi erano già stati pre-allertati da chi aveva cercato di dissuadere il gruppo... forse una richiesta di aiuto del tutto imprevista avrebbe richiesto più tempo per organizzare l'intervento, con altre conseguenze.
 
Su questo punto invece concordo con @LorenzCrz : se penso che ho davanti dei ragazzi e che a quanto riportato mancava solo 1km all'arrivo, ci sta che abbiano sbagliato pensando di arrivare.
Quello che invece per me continua a tornare è che:
a) nel gruppo nessuno era mai stato aiutato a immaginare una scena simile e a pensare "che faccio", sia di fronte alle allerte preventive sottovalutate che al rischio crescente lungo il percorso. Non sapevano cosa fare e si facevano forti di essere in gruppo.
b) se pure è vero che i ragazzi vanno e fanno esperienza e lì è il valore della cosa, dietro gli adulti verificano prima e chiedono conforto all'anziano del gruppo e ai titolari dei luoghi dove dormiranno, per essere certi che "la rete" ci sia. Questo mi hanno detto di fare diversi capi scout, questo sembra non essere successo in questo caso, questo temo non succeda in diversi altri casi.
non essendoci una formazione mirata all'outdoor, il ragazzo che stavolta se l'è cavata potrà diventare un capo scout che ha imparato che "se l'è cavata" e non "cosa avrebbe dovuto fare per non trovarsi in quella situazione"
 
Io non mi metterò a parlare degli scout, mondo che non conosco abbastanza,
ma c'è una cosa che mi sembra da sottolineare,
leggendo i resoconti, e in particolare dalla nota ufficiale degli scout, mi sembra di percepire
che sia stata ottima cosa aver chiamato i soccorsi quando si son resi conto di non poter proseguire.

Il che ok.... ma se fossero stati in un luogo da cui era impossibile chiamare i soccorsi?
 
esprimere la propria opinione da lontano su un evento è corretto, ma si può sbagliare. Ma condivido la frase di wildwildcat "ma se fossero stati in un luogo da cui era impossibile chiamare i soccorsi?". ad esempio a casa mia (Appennino bolognese) il cellulare non prende e camminando nel giro di qualche chilometro ogni tanto prende, ogni tanto no. Penso che se si va in montagna, o in mare, si dovrebbe essere autonomi. La richiesta di soccorso può essere impossibile
 
L'unica che dovevano avere era capire che non dovevano salire o, al più, avere la prontezza di girarsi e tornare indietro senza aspettare il definitivo peggioramento del tempo.
E per prendere in tempo queste decisioni non serve essere Messner vero, basta solo un po' di buon senso.
Quando invece uno è davvero nei guai, chiamare i soccorsi è il minimo che possa fare e debba fare, soprattutto quando sta conducendo un gruppo.

Non so che età abbiate voi che parlate di buon senso e ragionevolezza ma queste sono cose a cui penso io ORA, che faccio escursioni da 40 anni...

Quando si è giovani ci si crede invincibili e si azzarda molto, almeno a me così succedeva, e poi con l'esperienza e l'età si diventa più responsabili.

Mi sembra che nel gruppo in questione il più grande avesse 19 anni: se penso a tutte le caxxate che ho fatto io in quegli anni e oltre, quello che ha fatto quel gruppo di scout è niente...
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Spero che almeno da questa esperienza abbiano imparato qualcosa.

Esatto, sbagliare ha proprio questa funzione: imparare dagli errori.
 
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Anche sul monte Baldo, la montagna per antonomasia dei Veronesi, nelle immediatissime vicinanze della città, pare incredibile, ma il cellulare prende zero o molto raramente!
Si tratta di un ambiente intensamente frequentato tutto l'anno e gli incidenti non mancano, talvolta anche molto gravi.
Il problema è vecchio e serio, tanto che è finito sul giornale anche di recente: https://www.larena.it/territori/gar...o-soluzioni-per-sicurezza-e-turismo-1.9347947

Secondo me proprio anche le giustificazioni addotte dagli scout sono esemplificative della scarsa coscenza dei problemi che hanno. In buona fede ovviamente, ma non si rendono conto ed è così da un lato perchè non sono formati e dall'altro lato perchè credono invece di essere competenti in argomento outdoor, visto che "è il punto focale e identitario" del loro scopo sociale.
Per questo dico che devono ripensare la loro identità, adeguandola non all'origine, ma alla realtà.
 
Anche sul monte Baldo, la montagna per antonomasia dei Veronesi, nelle immediatissime vicinanze della città, pare incredibile, ma il cellulare prende zero o molto raramente!
Si tratta di un ambiente intensamente frequentato tutto l'anno e gli incidenti non mancano, talvolta anche molto gravi.

Ah, dimenticavo un particolare non trascurabile: nelle nostre escursioni negli anni '80 non c'era il problema della copertura telefonica, non c'erano proprio i cellulari! :rofl:

Anzi, diciamo che per 20 anni abbondanti abbiamo girato per monti e foreste senza cellulari...
 
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