Questo forum, dopo essere stato per anni presenza quotidiana si è poi via via rarefatto.
Anche se sono convinto che ciò sarebbe stato comunque ineluttabile - come impone la traiettoria ortodossa di ogni parabola - in realtà ciò che ha scatenato ed accelerato il processo è stata la progressiva migrazione su Facebook di tante delle persone con cui interloquivo (o forse sarebbe meglio dire che sono state "fagocitate" da FB): sicchè io stesso dopo lunga resistenza mi sono ritrovato a "dovermi" accodare, pena perdere i contatti.
Guardando ora in retrospettiva, tanto più alla luce delle ultime disavventure di FB, mi viene un po' da sorridere, sebbene con un retrogusto amaro : proprio io che per anni ho ripudiato i social network, ho sperimentato il lato perverso di questi ultimi, che di fatto creano un effetto-gregge di massa titillando e mettendo a nudo tutte le venature di vanità, esibizionismo, che sia pur in misura molto diversa albergano nella grande maggioranza delle persone : paradossalmente, i mezzi "social" esalta proprio quanto di più egocentrico c'è nell'animo umano. Sembrano concepiti per aprire diaframmi e spaccare i gruppi preesistenti proprio facendo leva su questi grimaldelli psicologici, una sorta di piede di porco con il quale finiscono per ottenere trasferimenti di massa, ancor più incredibili per la naturalezza e la docilità con le quali vengono ottenuti anche da chi ne farebbe volentieri a meno (e appunto io stesso ne sono l'esempio). Perché in realtà per i renitenti a quelle lusinghe c'è un'implicita punizione : restare isolati, perdere i famigerati "contatti".
A poco vale essere amanti della solitudine, ossia del saper stare da soli "cercato" e "voluto" ; perché il solitario non è uno snob, nè necessariamente un eremita, ma come dice Fabrizio De Andrè nel suo "Elogio" (che riporto in calce), anche "l'uomo che frequenta la Solitudine, sa quanto importanti sono i suoi simili per lui e quanto smisuratamente ne ha bisogno". In altri termini, amare la solitudine non implica saper sopportare l'isolamento (che è invece lo star da soli "passivo", ossia subìto).
Tutto questo per dire come, in realtà, io sui social mi sia sempre sentito nel mio intimo come un pesce fuor d'acqua. La sottile sensazione di essere trattato come una merce, una pedina utile ad alimentare involontariamente catene di Sant'Antonio, come del resto i noti fatti ultimi hanno dimostrato.
E viceversa, un forum come questo - seppure in apparenza tradito e frequentato sempre meno - sia in realtà sempre rimasto in fondo al cuore un po' come il tetto di una capanna, o come la sorgente del fiume a cui ho sempre avuto la sensazione di risalire come un salmone dopo aver appunto nuotato nel grande mare di FB. Pesce fuor d'acqua, in tutti i sensi.
E così, data appunto la saltuarietà della frequenza, accade di notare soltanto dopo settimane o addirittura mesi thread come questo (o come quello di Montinvisibili sul trekking del Nuria) che in un attimo mi riportano alla mia dimensione originaria, come se non me ne fossi mai allontanato. Come tornare nel liquido amniotico della placenta dove si è stati concepiti.
Ogni volta, in occasioni come questa, il forum mi appare come un giacimento creduto esaurito troppo in fretta, e che invece rivela sempre un'infinità di falde e filoni inesplorati, vivi più che mai. Persino in molti scritti lasciati disseminati da me stesso anni prima, quasi "un altro me", che non di rado risvegliano vibrazioni e frequenze altrimenti irreplicabili, doppiamente sorprendenti appunto perché mi sembra di leggere un'altra persona.
Se c'è qualcosa di più inadatto a esibire erudizione oppure rambismi prestazionali in un racconto, questo è sicuramente il Gennaro. L'hanno fatto tutti, è alla portata di tutti.
Ma proprio qui sta il punto. Questa descrizione del Monte Gennaro, del "proprio" Gennaro, dove il monte si trasforma da un semplice toponimo a un "luogo" (ossia diviene il teatro di una storia personale, un intreccio di obiettivi, incontri, sensazioni, ricordi), è la quintessenza di una delle cose che più mi piacciono : la condivisione in senso vero.
Che non è affatto quella dell'accezione usurpata proprio dai social, bensì appunto una sorta di "dividere se stessi con" gli altri. Un 'escursione non è solo squadernare foto, ma donare il risultato di un'introspezione.
Per realizzare la quale non basta un comodo clic, e tantomeno per spiegarla a parole. Non tanto perché ne servano di complicate, anzi spesso il segreto è nelle parole semplici; quanto perché nell'infinità di parole semplici-ma-banali si tratta di trovare quelle semplici-ma-profonde, che è come identificare la giusta combinazione d'una cassaforte tra milioni possibili.
Eppure, se si lascia parlare il cuore senza il filtro della mente, diventa molto più facile.
In questo caso specifico, a me è bastato questo passaggio per capire tutto, per farmi già "intuire" cosa potesse essere tutto il resto : "In quei sentieri ho diversi amici che ritrovo sempre: il grande faggio, che saluto sempre con un abbraccio e un bacio, il grande acero montano e il grande agrifoglio.
Poi c’è la vetta, mi piacciono quei 15 minuti di sosta in silenzio, dopo la fatica della salita. Sento il mio cuore che rallenta i battiti, mi siedo e do uno sguardo intorno, (...)".
Non credo di essere stucchevole o retorico se dico che, proprio nella loro semplicità, queste parole hanno l'effetto di una rugiada : idratano l'animo con la dolcezza di un'endovena.
Diciamo la verità : nell'abbracciare e baciare un albero, tantopiù "un" albero preciso - quasi che un uomo moderno avesse un rigurgito di tribalismo di millenni prima - c'è qualcosa di meravigliosamente matto, così come un po' nelle mille salite sul Velino di Enza e del marito, che sono di fatto anche quelle altrettanti abbracci e baci alla montagna. Del resto l'hai detto tu : "Siamo un gruppo di pazzi".
E tuttavia un condensato di pazzia se visto con gli occhi dei milioni di persone che stanno laggiù, in quel mondo che appare come un informe gigantesco formicolio e che, come dice Bonatti, si crede vivo solo perché caotico e rumoroso, mentre invece è proprio esso - visto da lassù - a sembrare folle.
Dunque il paradosso di due follie dirimpettaie, a confronto : ma una gioiosa, e un'altra "grigia e racchiusa in se stessa". Qual è la vera follia ? Chi è l'uomo che sta andando "contromano" sulla strada, e chi nel verso giusto?
In realtà questo ritorno al Gennaro, al Velino, o al Bianco (quello che faceva Bonatti, per il quale il Bianco era "un grande padre a cui sentiva il bisogno di tornare"), o a qualunque altro "luogo personale", altro non è che l'obbedienza a un istinto ancestrale che solo in pochi, purtroppo, sono rimasti a non soffocare immersi in questa dittatura della cieca unidirezionalità in avanti, fosse anche dritti verso un burrone
Leggendo questi post mi sento come un lupo che annusa il branco, i suoi simili, pochi ma buoni, certo bersagli in un mondo sempre più inospitale per loro, ma che bene o male riescono ancora a non darsi pace.
Caro Sandro, in uno dei tuoi futuri (e a quanto pare numerosi) ritorni sul Gennaro, mi farebbe davvero piacere rivederti e accompagnarti.
Chiudo riportando un brano che trovo molto bello scritto, ai tempi, da Fabrizio De Andrè e Ivano Fossati.
L' "elogio della solitudine". Proprio perché, in fondo, mi sembra contenere almeno un frammento di spiegazione all'istinto di questi ritorni reiterati e solitari nello stesso luogo.
In fondo, è proprio sapendo star soli che si riesce a saper essere "compagni" per gli altri.
"C’è un UOMO che non disdegna la Solitudine, non la teme, non la disprezza, non la considera una sventura, anzi spesso la ricerca per farsi compagnia.
In sua compagnia quell’UOMO può guardare dentro se stesso pur sapendo che scorgerà sempre e solo un tenue raggio di luce, mai il chiarore completo del giorno.
Dentro l’apparente abisso della Solitudine quell’UOMO ama sprofondare. Dentro quell’abisso infatti egli raggiunge la sommità del cielo ed ammira l’infinito tutt’intorno.
L’UOMO che frequenta la Solitudine, sa quanto importanti sono i suoi simili per lui e quanto smisuratamente ne ha bisogno.
L’UOMO la cui mano è stretta a quella della Solitudine ha imparato che molto più numerose sono le mani di quelli che cercano le sue.
L’UOMO che trova riparo all’ombra della Solitudine, sa quanto grande è lo smarrimento di chi, dentro a pareti di cemento armato, cerca rifugio senza mai trovarlo.
L’UOMO che siede stanco ai piedi della Solitudine, sa quanto affaticati e gonfi siano i piedi di coloro che senza mai fermarsi, corrono tutta la vita senza una meta.
L’UOMO che sa gustare il cibo invisibile che la Solitudine gli porge, sa quanto grande è la fame di coloro che pensano soltanto a riempire il carrello della spesa e i ripiani del frigo.
L’UOMO che si disseta dell’acqua che la Solitudine gli versa nel cavo delle mani, sa quanto inestinguibile è la sete di coloro che scambiano uno zampillo di sorgente, per un vuoto a perdere pieno di bollicine o alcol.
L’UOMO che ama ed è ricambiato dalla Solitudine, custodisce per se ogni cosa del passato, afferra con le braccia il presente e guarda lontano al domani.
Quell’UOMO è geloso della sua Solitudine, non la scambia perciò con quella di nessuno altro. E la difende a denti stretti e con le mani ferite, la sua Solitudine quando gli altri gliela vogliono rubare.
Quell’UOMO in compagnia della sua Solitudine non si sente mai solo, mai perde il coraggio e la forza.
Di quell’UOMO e della sua Solitudine nessuno potrà mai temere alcunchè.
==========================================
Si sa, non tutti se la possono permettere: non se la possono permettere i vecchi, non se la possono permettere i malati. Non se la può permettere il politico: il politico solitario è un politico fottuto di solito.
Però, sostanzialmente quando si può rimanere soli con sé stessi, io credo che si riesca ad avere più facilmente contatto con il circostante, e il circostante non è fatto soltanto di nostri simili, direi che è fatto di tutto l’universo: dalla foglia che spunta di notte in un campo fino alle stelle. E ci si riesce ad accordare meglio con questo circostante, si riesce a pensare meglio ai propri problemi, credo addittura che si riescano a trovare anche delle migliori soluzioni, e, siccome siamo simili ai nostri simili credo che si possano trovare soluzioni anche per gli altri.
Con questo non voglio fare nessun panegirico né dell’anacoretismo né dell’eremitaggio, non è che si debba fare gli eremiti, o gli anacoreti; è che ho constatato attraverso la mia esperienza di vita, ed è stata una vita (non è che dimostro di avere la mia età attraverso la carta d’identità), credo di averla vissuta; mi sono reso conto che un uomo solo non mi ha mai fatto paura, invece l’uomo organizzato mi ha sempre fatto molta paura".
Anche se sono convinto che ciò sarebbe stato comunque ineluttabile - come impone la traiettoria ortodossa di ogni parabola - in realtà ciò che ha scatenato ed accelerato il processo è stata la progressiva migrazione su Facebook di tante delle persone con cui interloquivo (o forse sarebbe meglio dire che sono state "fagocitate" da FB): sicchè io stesso dopo lunga resistenza mi sono ritrovato a "dovermi" accodare, pena perdere i contatti.
Guardando ora in retrospettiva, tanto più alla luce delle ultime disavventure di FB, mi viene un po' da sorridere, sebbene con un retrogusto amaro : proprio io che per anni ho ripudiato i social network, ho sperimentato il lato perverso di questi ultimi, che di fatto creano un effetto-gregge di massa titillando e mettendo a nudo tutte le venature di vanità, esibizionismo, che sia pur in misura molto diversa albergano nella grande maggioranza delle persone : paradossalmente, i mezzi "social" esalta proprio quanto di più egocentrico c'è nell'animo umano. Sembrano concepiti per aprire diaframmi e spaccare i gruppi preesistenti proprio facendo leva su questi grimaldelli psicologici, una sorta di piede di porco con il quale finiscono per ottenere trasferimenti di massa, ancor più incredibili per la naturalezza e la docilità con le quali vengono ottenuti anche da chi ne farebbe volentieri a meno (e appunto io stesso ne sono l'esempio). Perché in realtà per i renitenti a quelle lusinghe c'è un'implicita punizione : restare isolati, perdere i famigerati "contatti".
A poco vale essere amanti della solitudine, ossia del saper stare da soli "cercato" e "voluto" ; perché il solitario non è uno snob, nè necessariamente un eremita, ma come dice Fabrizio De Andrè nel suo "Elogio" (che riporto in calce), anche "l'uomo che frequenta la Solitudine, sa quanto importanti sono i suoi simili per lui e quanto smisuratamente ne ha bisogno". In altri termini, amare la solitudine non implica saper sopportare l'isolamento (che è invece lo star da soli "passivo", ossia subìto).
Tutto questo per dire come, in realtà, io sui social mi sia sempre sentito nel mio intimo come un pesce fuor d'acqua. La sottile sensazione di essere trattato come una merce, una pedina utile ad alimentare involontariamente catene di Sant'Antonio, come del resto i noti fatti ultimi hanno dimostrato.
E viceversa, un forum come questo - seppure in apparenza tradito e frequentato sempre meno - sia in realtà sempre rimasto in fondo al cuore un po' come il tetto di una capanna, o come la sorgente del fiume a cui ho sempre avuto la sensazione di risalire come un salmone dopo aver appunto nuotato nel grande mare di FB. Pesce fuor d'acqua, in tutti i sensi.
E così, data appunto la saltuarietà della frequenza, accade di notare soltanto dopo settimane o addirittura mesi thread come questo (o come quello di Montinvisibili sul trekking del Nuria) che in un attimo mi riportano alla mia dimensione originaria, come se non me ne fossi mai allontanato. Come tornare nel liquido amniotico della placenta dove si è stati concepiti.
Ogni volta, in occasioni come questa, il forum mi appare come un giacimento creduto esaurito troppo in fretta, e che invece rivela sempre un'infinità di falde e filoni inesplorati, vivi più che mai. Persino in molti scritti lasciati disseminati da me stesso anni prima, quasi "un altro me", che non di rado risvegliano vibrazioni e frequenze altrimenti irreplicabili, doppiamente sorprendenti appunto perché mi sembra di leggere un'altra persona.
Se c'è qualcosa di più inadatto a esibire erudizione oppure rambismi prestazionali in un racconto, questo è sicuramente il Gennaro. L'hanno fatto tutti, è alla portata di tutti.
Ma proprio qui sta il punto. Questa descrizione del Monte Gennaro, del "proprio" Gennaro, dove il monte si trasforma da un semplice toponimo a un "luogo" (ossia diviene il teatro di una storia personale, un intreccio di obiettivi, incontri, sensazioni, ricordi), è la quintessenza di una delle cose che più mi piacciono : la condivisione in senso vero.
Che non è affatto quella dell'accezione usurpata proprio dai social, bensì appunto una sorta di "dividere se stessi con" gli altri. Un 'escursione non è solo squadernare foto, ma donare il risultato di un'introspezione.
Per realizzare la quale non basta un comodo clic, e tantomeno per spiegarla a parole. Non tanto perché ne servano di complicate, anzi spesso il segreto è nelle parole semplici; quanto perché nell'infinità di parole semplici-ma-banali si tratta di trovare quelle semplici-ma-profonde, che è come identificare la giusta combinazione d'una cassaforte tra milioni possibili.
Eppure, se si lascia parlare il cuore senza il filtro della mente, diventa molto più facile.
In questo caso specifico, a me è bastato questo passaggio per capire tutto, per farmi già "intuire" cosa potesse essere tutto il resto : "In quei sentieri ho diversi amici che ritrovo sempre: il grande faggio, che saluto sempre con un abbraccio e un bacio, il grande acero montano e il grande agrifoglio.
Poi c’è la vetta, mi piacciono quei 15 minuti di sosta in silenzio, dopo la fatica della salita. Sento il mio cuore che rallenta i battiti, mi siedo e do uno sguardo intorno, (...)".
Non credo di essere stucchevole o retorico se dico che, proprio nella loro semplicità, queste parole hanno l'effetto di una rugiada : idratano l'animo con la dolcezza di un'endovena.
Diciamo la verità : nell'abbracciare e baciare un albero, tantopiù "un" albero preciso - quasi che un uomo moderno avesse un rigurgito di tribalismo di millenni prima - c'è qualcosa di meravigliosamente matto, così come un po' nelle mille salite sul Velino di Enza e del marito, che sono di fatto anche quelle altrettanti abbracci e baci alla montagna. Del resto l'hai detto tu : "Siamo un gruppo di pazzi".
E tuttavia un condensato di pazzia se visto con gli occhi dei milioni di persone che stanno laggiù, in quel mondo che appare come un informe gigantesco formicolio e che, come dice Bonatti, si crede vivo solo perché caotico e rumoroso, mentre invece è proprio esso - visto da lassù - a sembrare folle.
Dunque il paradosso di due follie dirimpettaie, a confronto : ma una gioiosa, e un'altra "grigia e racchiusa in se stessa". Qual è la vera follia ? Chi è l'uomo che sta andando "contromano" sulla strada, e chi nel verso giusto?
In realtà questo ritorno al Gennaro, al Velino, o al Bianco (quello che faceva Bonatti, per il quale il Bianco era "un grande padre a cui sentiva il bisogno di tornare"), o a qualunque altro "luogo personale", altro non è che l'obbedienza a un istinto ancestrale che solo in pochi, purtroppo, sono rimasti a non soffocare immersi in questa dittatura della cieca unidirezionalità in avanti, fosse anche dritti verso un burrone
Leggendo questi post mi sento come un lupo che annusa il branco, i suoi simili, pochi ma buoni, certo bersagli in un mondo sempre più inospitale per loro, ma che bene o male riescono ancora a non darsi pace.
Caro Sandro, in uno dei tuoi futuri (e a quanto pare numerosi) ritorni sul Gennaro, mi farebbe davvero piacere rivederti e accompagnarti.
Chiudo riportando un brano che trovo molto bello scritto, ai tempi, da Fabrizio De Andrè e Ivano Fossati.
L' "elogio della solitudine". Proprio perché, in fondo, mi sembra contenere almeno un frammento di spiegazione all'istinto di questi ritorni reiterati e solitari nello stesso luogo.
In fondo, è proprio sapendo star soli che si riesce a saper essere "compagni" per gli altri.
"C’è un UOMO che non disdegna la Solitudine, non la teme, non la disprezza, non la considera una sventura, anzi spesso la ricerca per farsi compagnia.
In sua compagnia quell’UOMO può guardare dentro se stesso pur sapendo che scorgerà sempre e solo un tenue raggio di luce, mai il chiarore completo del giorno.
Dentro l’apparente abisso della Solitudine quell’UOMO ama sprofondare. Dentro quell’abisso infatti egli raggiunge la sommità del cielo ed ammira l’infinito tutt’intorno.
L’UOMO che frequenta la Solitudine, sa quanto importanti sono i suoi simili per lui e quanto smisuratamente ne ha bisogno.
L’UOMO la cui mano è stretta a quella della Solitudine ha imparato che molto più numerose sono le mani di quelli che cercano le sue.
L’UOMO che trova riparo all’ombra della Solitudine, sa quanto grande è lo smarrimento di chi, dentro a pareti di cemento armato, cerca rifugio senza mai trovarlo.
L’UOMO che siede stanco ai piedi della Solitudine, sa quanto affaticati e gonfi siano i piedi di coloro che senza mai fermarsi, corrono tutta la vita senza una meta.
L’UOMO che sa gustare il cibo invisibile che la Solitudine gli porge, sa quanto grande è la fame di coloro che pensano soltanto a riempire il carrello della spesa e i ripiani del frigo.
L’UOMO che si disseta dell’acqua che la Solitudine gli versa nel cavo delle mani, sa quanto inestinguibile è la sete di coloro che scambiano uno zampillo di sorgente, per un vuoto a perdere pieno di bollicine o alcol.
L’UOMO che ama ed è ricambiato dalla Solitudine, custodisce per se ogni cosa del passato, afferra con le braccia il presente e guarda lontano al domani.
Quell’UOMO è geloso della sua Solitudine, non la scambia perciò con quella di nessuno altro. E la difende a denti stretti e con le mani ferite, la sua Solitudine quando gli altri gliela vogliono rubare.
Quell’UOMO in compagnia della sua Solitudine non si sente mai solo, mai perde il coraggio e la forza.
Di quell’UOMO e della sua Solitudine nessuno potrà mai temere alcunchè.
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Si sa, non tutti se la possono permettere: non se la possono permettere i vecchi, non se la possono permettere i malati. Non se la può permettere il politico: il politico solitario è un politico fottuto di solito.
Però, sostanzialmente quando si può rimanere soli con sé stessi, io credo che si riesca ad avere più facilmente contatto con il circostante, e il circostante non è fatto soltanto di nostri simili, direi che è fatto di tutto l’universo: dalla foglia che spunta di notte in un campo fino alle stelle. E ci si riesce ad accordare meglio con questo circostante, si riesce a pensare meglio ai propri problemi, credo addittura che si riescano a trovare anche delle migliori soluzioni, e, siccome siamo simili ai nostri simili credo che si possano trovare soluzioni anche per gli altri.
Con questo non voglio fare nessun panegirico né dell’anacoretismo né dell’eremitaggio, non è che si debba fare gli eremiti, o gli anacoreti; è che ho constatato attraverso la mia esperienza di vita, ed è stata una vita (non è che dimostro di avere la mia età attraverso la carta d’identità), credo di averla vissuta; mi sono reso conto che un uomo solo non mi ha mai fatto paura, invece l’uomo organizzato mi ha sempre fatto molta paura".
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