Non riesco a capire se l'ho già scritto qui, ma mi sento di ripetermi, per incoraggiare i nostri "malati".
A 12 anni, mi sono rotto una caviglia sciando. Poca roba: 30 giorni di gesso e via, meglio di prima. L'età aiuta (molto!).
A 25, ero in moto, quando un signore, che stava portando la moglie, con le doglie del primo figlio, mi ha centrato in pieno. Ancora lei, la caviglia sinistra già rotta 13 anni prima! Stavolta la faccenda è molto più seria, però: tibia, perone, calcagno. Piede e zona terminale del polpaccio della dimensione di un'anguria e di colore non molto diverso, purtroppo: nero, verde, rosso... si parla apertamente di amputazione.
In pratica, la macchina mi ha centrato a tutta velocità dal lato sinistro e la gamba ha fatto da "paraurti" alla moto.
Sono anche stato fortunato, a ben guardare: la moto si è fermata fra due pali (uno della luce ed uno di una recinzione di un campo da calcio), mentre io ci sono passato in mezzo senza toccarli.
Mi faccio 25 giorni di ospedale, sotto antinfiammatori e pastiglini vari assortiti (il mio stomaco ne risente ancora oggi...), poi, in qualche modo, il piede si sgonfia e vengo ingessato. 30 giorni senza appoggio. Nuovo gesso, cioè altri 10 giorni d'ospedale ed esco, potendo finalmente appoggiare, con precauzione, il piede ingessato, che a questo punto è salvo.
Dopo altri 30 giorni, nuovo ricovero. Mi tolgono il gesso, ma il piede è, in sostanza, un blocco di ghiaccio. Tutto bloccato, articolazione e muscolatura. Sensibilità scarsa.
Dovrebbe quindi iniziare un lungo periodo di riabilitazione, ma... ero in piena leva militare. Il colonnello medico che mi dovrebbe confermare la licenza per malattia, se ne ha a male perché, rispettando quanto indicato alla precedente visita all'ospedale militare di Baggio, invece di tornare là, mi sono presentato all'ospedale militare della mia città, Piacenza. I misteri del mondo militare. Mi rimanda al mio reparto, ad Udine, comando brigata alpina Julia, abile! Mi presento all'ingresso della caserma la sera stessa, dopo un lungo viaggio in treno, con due cambi di treno a Bologna e Venezia, in stampelle. Per mia fortuna, capiscono tutti perfettamente la situazione e la mia caviglia spiega meglio di qualsiasi mia delucidazione lo stato in cui sono. Valutata la situazione, un giovane tenente medico alpino, mi suggerisce la via migliore. Non ricordo il suo nome, ma gliene sarò grato per sempre. Resto lì, ho un permesso speciale per uscire alle 17 e fare riabilitazione andando in piscina (che in quegli anni, da militare, era praticamente gratuita).
Piano piano, recupero un'accettabile grado di funzionalità ed in un paio di mesi smetto le stampelle. Pur continuando a zoppicare vistosamente. Da questo punto di vista, gli scarponi da alpino sono una mano santa: sembra di indossare un paio di scarpe ortopediche e la caviglia, ancora debole, è ben protetta.
Una volta finito il militare, non era più possibile fare gran ché, purtroppo. Mi è rimasta una caviglia con diversi gradi in meno di rotazione rispetto all'altra. Però riesco a camminare, bene, senza fatica, anche a lungo. Pian pianino la funzionalità diventa accettabile, quasi normale.
Oggi ho 58 (splendidi!) anni: a parte correre, faccio tutto quello che mi pare. E correre non è mai stata la mia passione principale, lo ammetto. Ho una media di 5-6 km a piedi al giorno, ma quando esco in escursione non sono mai meno di 15, con dislivelli anche interessanti, per la mia età e (scarsa) condizione atletica. Per non parlare delle gite in bici di più giorni, carichi come muli, su salite appenniniche...
Mi fa male? No. Ora, no. Mi ha dato fastidio, a lungo, ma si impara a conviverci.
Scusate il lungo "pippone", ma era solo per dirvi, in estrema sintesi: non mollate MAI. La vostra passione per le cose che vi piacciono, che vi fanno sentire chi siete, le escursioni, il fare legna, lo scalare, lo sciare, sono più forti di qualsiasi incidente. E' solo questione di avere tempo, pazienza, tenacia.
In bocca al lupo, ragazzi! E che NON crepi, dato il titolo del forum...