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Breve guida tecnica sulle tende - parte 2: I MATERIALI -

BREVE GUIDA TECNICA TENDE
– I materiali –


Dopo aver visto come le tende possono differenziarsi in base alle varie soluzioni costruttive, vediamo ora i diversi materiali che possono essere utilizzati e come possono essere trattati, accoppiati e combinati.
Come in precedenza, nella esposizione che segue affronto solo le tende da montagna/trekking, con esclusione di quelle da campeggio e da utilizzo campale (es. tendoni e capannoni, gazebo, etc. etc.).
Lo schema della trattazione sarà il seguente:

1. LA PALERIA
a) vetroresina o fibra di vetro.
b) alluminio.
c) carbonio.

2. I TELI

a) come sono descritti i tessuti
1. D - Denari​
2. T - numero di fili​
3. Ripstop​
b) materiali dei tessuti dei teli
1. Poliestere.​
2. Poliammide.​
3. confronto poliestere-poliammide.​
c) trattamenti dei teli:
1. poliuretano e silicone.​
2. spalmatura e laminatura.​
3. trattamenti W/R e F/R.​
d) giunzione dei tessuti dei teli:
1. cuciture e nastratura​
2. termosaldatura​
e) quanta impermeabilità serve?



1) LA PALERIA.
La paleria è sempre realizzata da una serie di segmenti tubolari, precollegati da una corda elastica che passa al loro interno e dalla quale sono tenuti riuniti in aste. A comporre la paleria sono quindi due elementi:​
  • CORDA: pur se esistono corde elastiche di qualità diverse (per durata nel tempo dell’elasticità dei trefoli e per resistenza all’abrasione della calza), questo elemento solitamente non ha seri problemi di durata e viene danneggiato solo in occasione di danni alla paleria (es rottura di un segmento a tenda montata e conseguente scarico peso sulla corda) o di scorretto maneggio dei segmenti (che vengono stirati nel montaggio o smontaggio).​
  • ASTA TUBOLARE: può essere realizzata con segmenti in vetroresina o alluminio o carbonio .​
a) Vetroresina (VTR) o fibra di vetro:
Si tratta di un materiale economico da produrre ed abbastanza versatile, ma con limiti in elasticità e flessibilità.
E’ un materiale composito, che deriva dall’unione di una resina e di un rinforzo vetroso.
Il vetro viene lavorato per ricavare sottilissimi fili (pultrusione delle fibre di vetro), che successivamente vengono lavorati sia in filato/tessuto, sia con resine.
Le fibre di vetro vengono riunite in fili, con cui vengono prodotti tessuti o TNT (tessuto non tessuto, feltro a fibre orientate casualmente) detti “rinforzo”, impregnati con resine (dette “matrici”) termoindurenti, in genere liquide e a base di poliestere, vinil-estere o epossidica, che induriscono dopo la lavorazione per intervento di catalizzatori e acceleranti. Più in particolare, pur potendosi usare resine ortoftaliche, resine isoftaliche e resine vinilestere, queste ultime sono quelle principalmente usate nella vetroresina, mentre le altre vengono usate principalmente nella lavorazione del carbonio ed altri compositi.
La resina pura (cioè con contenuto di vetro pari a 0%) ha una densità d = 1200 kg/m3, che aumenta linearmente man mano che il contenuto vetroso cresce, fino ad assumere il valore di 2560 kg/m3 quando il contenuto di vetro sale fino al 100%.
La qualità della vetroresina è influenzata dalla qualità di ogni prodotto utilizzato nella sua produzione, nonché dalla qualità del procedimento di lavorazione. Pertanto, rilevano non solo la qualità della pultrusione e della successiva tessitura, ma anche la qualità della resina e dell’impregnazione. Resine diverse, danno qualità meccaniche finali diverse:
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Tessuti diversi danno inoltre qualità meccaniche diverse.
Associando una matrice con un rinforzo si realizza un materiale non isotropo in quanto esso presenta ottime caratteristiche meccaniche di resistenza a trazione solo se viene sollecitato in direzione delle fibre, mentre se viene sollecitato in direzione perpendicolare ad esse, la capacità di resistenza a trazione si riduce a quella (piuttosto bassa) della resina.
Ne segue che, volendo realizzare un materiale per quanto possibile isotropo bisognerà orientare i filamenti in diverse direzioni. A questo scopo rispondono bene le associazioni della resina con tessuti di fibre, meglio se intrecciati, ma va studiato accuratamente l’allineamento carico-fibre.
Infatti, nel caso di trazione, per angoli inferiori a circa 3° la resistenza della lamina è limitata dalla resistenza a trazione longitudinale; per angoli tra 3° e 25° la resistenza è limitata dalla resistenza a taglio, mentre per angoli > 25° la resistenza è limitata dalla resistenza a trazione trasversale.
In generale, comunque, il dato medio delle qualità meccaniche della vetroresina, a confronto con quello di materiali competitivi, può essere riassunto come segue:
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Pertanto, seppure la vetroresina abbia un peso contenuto e proprietà meccaniche globalmente interessanti e simili all’alluminio, essa ha una limitato modulo elastico ed un modulo a flessione ancor più limitato, nonché scarsa resistenza allo snervamento.
In pratica, il materiale ha una resistenza alla deformazione molto bassa ed il continuo lavoro di flessione cui è sottoposto, lo degrada velocemente; la combinazione di queste due carenze determina un alto rischio di rotture in applicazioni come la paleria per tende.
Per queste ragioni, nelle tende da montagna/trekking la paleria in vetroresina è praticamente scomparsa, rimanendo solo per prodotti estremamente economici e destinati ad un utilizzo in condizioni tranquille.

b) Alluminio.
E’ un materiale realizzato per estrusione; è un po’ più pesante e costoso della fibra di vetro, ma enormemente più elastico e più resistente alla fatica, fattori che ne hanno determinato il successo.
Tuttavia, anche qui come sopra, le differenze nella lavorazione dell’alluminio e nel tipo di lega di alluminio utilizzata portano a prodotti radicalmente diversi.
Esistono diversi tipi di lega di alluminio, classificate in gruppi con numero per migliaia, da 1000 a 9000 (potete guardarvi anche su wikipedia le specifiche dei vari gruppi). Per quel che rileva nella nostra discussione, vale la pena citare i gruppi 6000 e 7000:​
  • Gruppo 6000(leghe Al – silicio e magnesio) dette Anticorodal: hanno una ottima lavorabilità con le macchine utensili e possono essere sottoposte al trattamento termico di indurimento per precipitazione, ma non si possono ottenere le caratteristiche che le leghe dei gruppi 2000 e 7000 possono raggiungere. Sono leghe con buona saldabilità, e dunque vengono usate nel campo navale, ferroviario e nella costruzione di infissi di alluminio. In genere tutte le leghe 6000 sono estrudibili con tecnica detta “a ponte” e quindi sono idonei alla produzione di profili a una o più cavità.​
  • Gruppo 7000 (leghe Al – zinco e magnesio) dette ergal: sono le leghe molto utilizzate in campo aerospaziale, nelle applicazioni strutturali di forza e sono in grado di raggiungere le migliori caratteristiche meccaniche tra tutte le leghe di alluminio. Le leghe 7000 si suddividono in due sottogruppi: con rame e senza rame in lega; quelle contenenti rame, hanno prestazioni meccaniche molto elevate ma non sono saldabili; le altre invece sono caratterizzate dal notevole potere autotemprante, che le rende particolarmente idonee alla realizzazione di telai saldati, e dalla possibilità di essere estruse a ponte.​
L’alluminio utilizzato generalmente per la paleria delle tende è quello del gruppo 6000 (e, all’interno di questa, principalmente la 6061-T6 e la 6063-T6) e soprattutto del gruppo 7000 (e, all’interno di questa, principalmente la 7001-T6, la 7055-T6, la 7068-T6 e 7075-T6).
I principali marchi produttori di pali di alluminio per tende sono i coreani DAC e Yunan, tutte con standard qualitativi molto elevati.
DAC ha poi brevettato una specifica lega, la TH72M, che risulta più resistente della 7075-T6 del 20%; resistente più del doppio rispetto alla 6061-T6 e più del triplo rispetto alla 6063-T6 (la lega più comune nella realizzazione dei picchetti).
Va poi considerato che l’alluminio e le sue leghe reagiscono con l’atmosfera, subendo ossidazione e corrosione, tanto maggiore quanto più è impura la lega ed imprecisa la colata estrusa (che ingloba piccoli vuoti); per proteggere l’alluminio da tale corrosione, si utilizza il trattamento di “anodizzazione”.
Il processo di anodizzazione, semplificando, consiste bollire le componenti di alluminio in un bagno con soluzione di acido nitrico e fosforico. Questa procedura può essere fatta con intensità diverse e, ovviamente, più forte sarà l’anodizzazione, maggiore sarà la protezione risultante dell’alluminio, ma anche il costo. Inoltre, in ottica di protezione ambientale, esistono moderni processi di anodizzazione più ecologici, che riducono molto l’utilizzo degli acidi e che trattano i residui, le acque ed i fumi per ridurre l’impatto ambientale, con ulteriori maggiori costi di ricerca e lavorazione, che non tutte le case applicano (ma che applicano ad esempio DAC e Yunan).
Una buona anodizzazione è in grado di eliminare o ridurre al minimo la corrosione ed il fenomeno del c.d. “stress corrosion cracking” (SCC), che porta la struttura granulare della lega ad invecchiare rapidamente, formando microcricche (effetto cracking) che indoliscono sostanzialmente il materiale e favoriscono le rotture. Il fenomeno SCC si verifica tanto più facilmente, quanto più sottile è la sezione del componente in alluminio e, quindi, è un fenomeno importate da considerare nella paleria delle tende, dove i tubi hanno una sezione molto sottile.
Per cercare di evitare i problemi da SCC, v’è chi cerca di sopperire alla scarsa qualità della purezza della lega e dell’anodizzazione con l’utilizzo di tubi con le pareti più spesse, che però non si traduce in maggiore resistenza, ma solo in maggior peso.
Infine, va considerato il diametro della paleria: a parità di spessore della parete del tubolare, un tubolare è tanto più robusto, quanto maggiore è il suo diametro. Non a caso, infatti, le tende 4 stagioni costruite bene hanno paleria di diametro maggiore rispetto ad altre.
Ci sono poi ulteriori trucchi – utilizzati ad esempio da DAC, nelle serie Featherlite NSL / Pressfit / PL – per ottenere pali robusti, contenendo il peso: uno di questi è quello di relizzare pali con sezione variabile, più larga in corrispondenza delle giunture e con rinforzo interno sul punto; un altro è quello di mantenere il diametro costante, ma rinforzare con inserti le zone di giuntura.
Si può comprendere ora che il produttore che descrive la propria tenda come dotata di “paleria in alluminio”, deve indicare almeno il tipo di lega.
Inoltre, il prezzo di due prodotti apparentemente simili, a parità del tipo di lega, può essere molto diverso per la qualità della lega, la qualità dell’anodizzazione ed i costi della stessa dipesi anche dall’adozione di un procedimento più ecologico.
La paleria in alluminio è la più utilizzata nelle tende perché consente una buona elasticità e resistenza; inoltre, grazie alla duttilità del materiale, in caso di danni alla paleria questa non va in pezzi come accade con vetroresina o carbonio, ma si piega o si spezza in un modo che consente comunque sempre una riparazione di fortuna.

c) Carbonio.
La fibra di carbonio, ottenuta con sistemi che qui è complicato spiegare, viene tessuta (rinforzi) e poi trattata con resine (matrici) per indurire ed assumere la forma voluta. Le resine generalmente impiegate in questo composito sono di tipo epossidico.
Il diametro in sezione di un filamento di fibra di carbonio varia normalmente tra i 5 e i 10 micron; i singoli filamenti, uniti solitamente in multipli di 1000 formano il “filato” (yarn in inglese) vero e proprio, il prodotto allo stato grezzo reperibile in commercio come filo di fibra di carbonio.
Il filato di fibra di carbonio viene classificato in base alla sua densitàlineare (peso per unità di lunghezza,
per il carbonio viene spesso usata l'unità di misura Tex, dove 1g/1000m = 1 Tex; vedremo invece che per altre fibre viene invece usata principalmente l'unità di misura Denari - D) e soprattutto in base al numero di filamenti per filato (indicato dalla lettera K).
Un indicatore qualitativo importante per distinguere le tipologie di filati di fibra di carbonio è dato dal numero di filamenti che compongono un filato (filaments per yarn in inglese), indicato con le sigle 1k, 3k, 6k, 12k … 50k, che significano rispettivamente 1000, 3000, 6000, 12000 … 50000 filamenti per filato. Ad un numero minore di “k” corrisponde una fibra qualitativamente migliore perché permette di creare tessuti di fibra più leggeri e a trama fine, con riflessi anche sul costo del materiale grezzo. Un tessuto 1k può arrivare a costare 3 volte un tessuto 3k; maggiore il numero di K, maggiore è il diametro del filato e di conseguenza più grezza la trama e maggiori gli interstizi, provocando così un maggiore uso di resina, con conseguente maggior peso e minore solidità del composito finale.
All’indicazione del numero di filamenti che compongono la fibra, di solito si accompagna il Tex (titolo del filato), cioè il peso in grammi di 1000 m di filo, con valori che variano dai 60/70 g per 1000 m di filato 1k, agli 800/1200 g per 1000 m di filato 12k. Una precisazione importante, necessaria per evitare confusione: si sente spesso parlare di carbonio T700, T800 e T1000 (soprattutto con riguardo a telai per MTB o bdc). Queste sigle non si riferiscono ad unità di misura del filato/tessuto e T non ha niente a che fare con le unità di misura Tex o Thread, ma sono nomi commerciali dati a fibre con diverse caratteristiche meccaniche prodotte dalla Toray, una delle più grandi aziende produttrici di carbonio, con sede in Giappone.
Nella tessitura della fibra di carbonio, si usano solitamente i seguenti tipi di armatura (cioè di intreccio fra fili di trama e di ordito): twill, plain e satin. Sono armature che consentono un tessuto molto regolare e, quindi, idoneo a sopportare forze da varie direzioni, limitando la diversità di risposta al variare della direzione delle forze.
La fibra può essere descritta e distinta, da un punto di vista commerciale, in base alla sua resistenza meccanica, il cui indice è detto MODULO; si tratta di un indice standardizzato su grandezze fisiche e quindi ha un suo valore descrittivo. Più elevato è il modulo, più è alta la resistenza alle sollecitazioni ma anche la rigidità totale della fibra e, quindi, la sua fragilità. Il modulo si ottiene attraverso trattamenti termici differenti che modificano la struttura molecolare della fibra. Il modulo del prodotto finito, inoltre, è influenzato anche dal rapporto fra numero di filato/filamento per superficie e quantità di resina utilizzata.
La densità tipica della fibra di carbonio è 1750 kg/m3. La resistenza meccanica dei differenti tipi di filato varia tra 2-7 GPa.
Le fibre più usate nella paleria sono fibre a basso modulo (c.d. Low Modulus, con indice di Young ben inferiore a 200Gpa), mentre le fibre a standard modulo (dette anche HS – High Strength) hanno un indice di young inferiore a 250 GPa, già troppo elevato.
Come si può vedere qui sotto, le fibre di carbonio sono molto più leggere e resistenti delle fibre di vetro, ma anche enormemente più rigide, a maggior ragione anche dell’alluminio.
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Inoltre, anche la resina epossidica ha qualità leggermente migliori rispetto a quella vinilica (utilizzata nelle VTR):
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In ogni caso, come la fibra di vetro, anche il carbonio è un materiale non isotropo e, quindi, le sue caratteristiche meccaniche hanno una direzione privilegiata, data dall’orientamento delle fibre nel rinforzo, che quindi va studiato attentamente. Sovrapponendo strati di materiale, con fibre orientate in diverse direzioni, si ottengono i laminati che, se opportunamente progettati, possono raggiungere un comportamento quasi isotropo (uguale in tutte le direzioni).
In caso di rottura, comunque, anche il carbonio reagisce similmente alla vetroresina, andando in frantumi e con fessurazioni allungate (si producono frammenti taglienti), che rendono molto difficile una eventuale riparazione.
Viene quindi usato molto poco nella paleria delle tende, rimanendo appannaggio di tende di alta qualità e superleggere, destinate comunque ad un utilizzo in condizioni meteo favorevoli e che quindi non stressano particolarmente la paleria (es. MSR carbon reflex ultralight).

2) I TELI.
I teli delle tende non sono film, cioè pellicole continue, ma veri e propri tessuti, con trama ed ordito, realizzati a partire da un filato, cioè da un filo a sua volta risultante dall’unione di più singole fibre o filamenti di materia prima.
Prima di passare alla materia prima con cui sono tessuti i teli, bisogna necessariamente fare una premessa sulla tessitura in sé, i concetti base della quale restano invariati indipendentemente dalla materia prima del filato.
a) come sono descritti i tessuti.
1. D - Denari.

La distinzione dei filati tessili in base alla loro grossezza, mediante la misurazione diretta del loro diametro, sembrerebbe la più logicamente attuabile; ma ciò non è possibile per filati deformabili e con sezione non perfettamente circolare. Nei filati tessili la distinzione per grossezza viene effettuata mediante un particolare procedimento che prende il nome di titolazione e che si basa su due gradezze facilmente ed esattamente controllabili, quali la lunghezza ed il peso.
La titolazione dei filati si basa quindi sul peso per unità di lunghezza o sulla lunghezza per unità di peso: necessariamente una delle due grandezze deve essere fissata in precedenza mentre l’altra è variabile.
Se viene assunto come titolo il peso occorrente per formare una determinata lunghezza, è evidente che in questo caso il peso aumenta con l’aumentare del diametro del filo, quindi tanto maggiore è il titolo, tanto maggiore è il diametro del filo (è di questo genere la titolazione in Denari).
Se invece prendiamo come titolo la lunghezza di filato occorrente per formare un determinato peso, è evidente che tale lunghezza aumenta al diminuire del diametro del filato e quindi tanto più il titolo è alto, tanto più il filato è sottile.
Ne consegue che: il titolo di un filato è un numero, indice della sua grossezza, proporzionale alla sezione del filato stesso.
La titolazione può essere espressa in varie unità di misura, la più usata delle quali è Denari (D), dove 1 Denaro è pari al peso in grammi di una matassa di filato di seta lunga 9000 m; quindi, 1D corrisponde ad un filo di seta lungo 9000 metri e pesante 1 g.
Si tratta di una unità di misura a titolazione diretta, ovvero esiste proporzionalità diretta tra titolo e sezione del filato: più è grande il numero D, maggiore è il diametro del filato.
Attenzione però che proporzionalità diretta non significa incremento lineare della dimensione; esistono formule che qui non vi cito, ma sappiate che rispetto ad un filo da 1D, un filo da 40D ha un diametro maggiore di oltre 6,5 volte; rispetto ad un filo da 20D, un filo di nylon 40D, ha un diametro maggiore di quasi 1,5 volte e non del doppio.
Comunque, in linea di massima, maggiore è D, maggiore è il diametro del filato e maggiore la robustezza del relativo tessuto.
Tuttavia, è evidente che non tutti i materiali hanno le stesse proprietà e, quindi, dato un tessuto di riferimento, è possibile ottenere un tessuto ugualmente robusto, adottando un filo di materiale diverso e più resistente e, per questo, più sottile, come vedremo nel confronto fra poliestere e poliammide.
Occhio quindi a leggere correttamente le descrizioni dei teli tenda, soprattutto in fase di confronto.
2. T - numero di fili.
Viene solitamente espressa con un numero, seguito da lettera T (da Thread, ovvero filo in inglese).
Questa misura si riferisce alla somma dei fili verticali e orizzontali (o fili) per pollice quadrato di tessuto. A parità di D del filo, un numero di fili più alto significa una trama più fitta e compatta, compressa, quindi più robusta; tuttavia, se D resta costante, il valore T può essere variato di poco. Invece, importanti variazioni di T sono possibili modificando D, quindi più sottile è il filo che uso, maggiore è il numero di fili che posso usare nella stessa unità di spazio.
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Tuttavia, come risulta intuitivo, un T elevato non significa sempre un tessuto più resistente.
Ad esempio, un tessuto in nylon 20D-330T, utilizza un numero elevato di fili (330 fili per pollice) 20 Denari (quindi sottili) ed ha una trama molto fitta e compatta, risultando liscio e valido schermo alla corrente d’aria; tuttavia, questo stesso tessuto è comunque meno robusto di un tessuto 68D-210T, che risulterà però anche più ruvido e rigido.
Anche questo, quindi, è un valore da considerare quando si valuta un telo tenda.
3. Ripstop.
E’ il nome di una specifica lavorazione del tessuto, volta a contenere/limitare l’avanzamento dello strappo in un tessuto e contenere l’elasticità del tessuto, migliorandone il rapporto resistenza/peso; inoltre, migliora anche la resistenza all’abrasione, seppure in misura minima.
Il tessuto Ripstop è fatto da una trama a rete di fili leggermente più grossi di quelli della base del tessuto, producendo la tipica “quadrettatura” del tessuto. Questi fili di rinforzo, generalmente in nylon o poliestere su un tessuto base che può essere di qualsiasi altra materia, sono introdotti nella tessitura ad incroci regolari, con intervalli di 5 o 8 mm.
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Ovviamente, avere i teli ed il catino della tenda in ripstop è un vantaggio importante; diversamente possono accadere inconvenienti così:
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b) Materiali in cui possono essere fatti i tessuti dei teli.
I teli delle tende moderne possono essere realizzati in poliestere o in poliammide (cioè nylon) ed entrambi i tessuti hanno i propri vantaggi e limiti.
1. Poliestere.
Viene indicato con sigla PL o anche PEs; è un polimero termoplastico ottenuto per estrusione; mi fermo qui e non vi descrivo nel dettaglio il processo chimico, perché per l’uomo comune assomiglia ad una supercazzola del conte Mascetti.
Per estrema semplificazione, vale quanto segue: la materia prima viene fusa in atmosfera secca di azoto puro ed estrusa in filo dalle filiere, raffreddato in aria a temperatura ambiente, raccolto su bobina, stirato a 80 ºC, quattro o cinque volte la sua lunghezza, termofissato e nuovamente raccolto. Con la variazione dello stiro si ottengono fibre poliesteri ad altissima tenacità.
Il tipo di poliestere più diffuso e quello più adatto ad uso tessile (e quindi per i teli delle tende) è il polietilene tereftalato o polietilentereftalato, alias PET, che presenta anche la particolarità di essere totalmente riciclabile.
La fibra poliestere (e in particolare PET) viene prodotta in fili continui, composta da più bave, a sezione generalmente circolare e con un titolo globale da 30 a 3000 den, viene colorata in avorio molto pallido o tinte pastello; al microscopio le bave presenta una superficie liscia e uniforme; i fili hanno un peso specifico di 1,38 g/cm3 e presentano una serie di caratteristiche positive: ottima tenacità (tra 4 e 6 g/den) e allungamento contenuto (dal 6 al 12%, max 15%) che rimangono inalterati a umido; resistenza allo strappo buona, inalterata anche con fibra bagnata; eccellente comportamento all'usura e alle gualciture; forte idrorepellenza (hanno la bassissima igroscopicità dello 0,3-0,5%), quindi non assorbono macchie e si lavano e puliscono con facilità, asciugano rapidamente e resistono alle muffe e agli insetti; eccezionale stabilità dimensionale, buona resistenza al cloro, agli acidi e ai solventi; infine, cosa importantissima, hanno una buona resistenza alla radiazione solare.
Per tale ragione, sono realizzate in poliestere le vele delle barche (vedi Dacron e Mylar) e, utilizzando poliestere ad altissima tenacità, anche vele di kite surf, parapendio e deltaplano.
Tra le principali deficienze delle fibre poliesteri vi è una forte tendenza alla formazione del pilling, sensibilità agli alcali, inoltre generano elettricità statica e attirano pulviscolo.
Quanto alla resistenza al fuoco il poliestere ha una temperatura di infiammabilità superiore al nylon e quindi si incendia più difficilmente, ma quando accade si scioglie e brucia allo stesso tempo (salvo non abbia trattamenti c.d. fire retardant), mentre il nylon inizialmente si scioglie rapidamente e solo poi sviluppa la fiamma.

2. Poliammide.
Viene indicato con la sigla PA e nylon è solo uno dei nomi commerciali (storicamente il primo) del poliammide.
Le fibre poliammidiche sono fibre sintetiche costituite da macromolecole lineari ottenute dalla policondensazione di composti bifunzionali e caratterizzate dal gruppo ammidico CO-NH, da cui dipendono molte delle loro proprietà.
Il procedimento di produzione del filato è simile a quello descritto per il poliestere, ma ha un maggiore impatto sull'ambiente sia in produzione, sia in riciclaggio.
Sotto la denominazione « poliammidi » si possono identificare essenzialmente due tipologie di fibre:
• Poliammidi alifatiche : es. Nylon
• poliammidi aromatiche: es. Kevlar e Nomex.
Per i tessuti impiegati nei teli tende sono usate esclusivamente le poliammidi alifatiche, fra cui le più diffuse sono il Nylon 6 e il Nylon 6.6 (il nylon 6.6 è più caro e in generale con proprietà meccaniche migliori del 6, soprattutto a fibra umida), la cui distinzione dipende dal polimero impiegato per la loro realizzazione e dal numero e disposizione di atomi di carbonio nella molecola.
Posto due tabelle che analizzano parametri simili, ma con riferimenti di test diversi; quello che conta è constatare lo scarto e la sua entità, in ciascun parametro, fra PA6 e PA66.

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Quindi non ogni nylon è uguale! Occhio alla descrizione dei materiali delle tende.
Le migliori tende sono realizzate in nylon 66 (non solo il Kerlon della Hilleberg o il nylon delle tende da mountainering della Vaude, ma anche altri, come ad es. https://www.nigor.eu/tents/lightweight-tents/tunnel-lightweight-tents/apteryx-2/).
In generale, i pregi di un tessuto in poliammide possono essere così riassunti: basso peso specifico (leggerezza), ottime proprietà meccaniche, grande tenacità, buona resistenza all'usura ed alla trazione, buona elasticità, elevata resistenza alla fatica ed allo strappo, buona impermeabilità, ottima resistenza a molti solventi organici.
I limiti della poliammide sono rappresentati da: stabilità dimensionale solo discreta e che peggiora a fibra bagnata; assorbe una certa quantità di acqua; scarsa resistenza all’esposizione a luce solare/UV; scarsa resistenza al calore ed alla fiamma; sensibile al pilling ed allo snagging (sfilacciamento del tessuto, i c.d. fili tirati, per tessuti realizzati in filo continuo liscio, senza torsione) scarsa resistenza agli acidi (in particolare all’acido formico), genera elettricità statica e attira pulviscolo.
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----SEGUE IN PARTE 3 - I MATERIALI:

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