Un libro uscito da pochi mesi, dal titolo eloquente, "Dieci splendidi oggetti morti", che conduce a una riflessione descrivendo attraverso altrettanti esempi come la nascita e soprattutto la morte di un oggetto sia infinitamente meno banale di quanto possa sembrare, ed anzi si accompagni a un vero e proprio cambiamento antropologico dell'uomo, spesso sancendolo in modo irreversibile.
A questo link alcuni stralci che vale la pena leggere a cominciare dall'introduzione e dall'indice per comprendere meglio il tema (in particolare con il primo - credo ben familiare e calzante in questo forum - e gli ultimi due "oggetti" elencati).
https://books.google.it/books/about...p_read_button&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false
Tuttavia preferisco non farne una recensione mia, bensì proporne una fatta pochi giorni fa su un quotidiano perché coglie la vera essenza della questione andando forse persino oltre il libro stesso in quanto getta uno sguardo inquietante sul futuro che si può minacciosamente estrapolare dal recente passato: siamo forse passati dall'essere soggetti ben distinti dai nostri oggetti, esseri senzienti e pensanti, all'essere oggetti noi stessi, loro protesi, "cose tra le cose" ? O, se non lo siamo ancora, lo stiamo ineluttabilmente diventando ?
Di questa riflessione anticipo soltanto alcuni passaggi, tre, nei quali mi ritrovo in modo particolare.
Il primo è il "mondo che si va disincantando" : ed una delle varie situazioni in cui personalmente ritrovo questa sensazione è proprio col primo oggetto passato in rassegna, la carta topografica. Ogni volta che la ho tra le mani, mi impone in modo tangibile tutti i suoi limiti, anzi mi "limita" in senso vero e proprio, mi fa sentire un cavernicolo ormai diviso dal mondo... e tuttavia mi attrae. Mi attrae e mi affascina perchè ancora mi dona esattamente quello sprazzo di "incanto" che può regalare soltanto un percorso disegnato su carta, con tutti i suoi margini di approssimazione, di imprecisione e di conseguente ragionevole incertezza, allorchè passando alla sua verifica sul campo assume l'alone della scoperta. Il GPS che oggi tanti usano con naturalezza (beati loro) ha eliminato tutto ciò : rendendo chiunque si muova un punto sempre perfettamente definito nelle sue coordinate geografiche, e lasciandolo sempre consapevole da dove provenga, dove sia, verso dove vada e cosa sia destinato a trovare.
ll secondo passaggio è la scomparsa dell'oggetto simbolico : quello il cui possesso entra e si intreccia nella vita vissuta di una persona, nelle sue esperienze, e che quando spira per consunzione passa nel suo mausoleo personale di ricordi. Come appunto una cartina ormai incartapecorita con cui ci si è mille volte orientati, un paio di scarponi più volte risuolati e infine irrecuperabilmente lisciati, un'automobile con cui si son percorsi 5 giri della terra, un giaccone amico di indelebili temporali, grandinate o tormente di neve, il fazzoletto che ha asciugato lacrime di gioia o di dolore della nostra vita. Tutti esempi dove il soggetto resta, l'oggetto passa ma non prima di durate stoiche nelle quali il soggetto vi ha lasciato impresse la sua identità, le sue impronte digitali, corporee e persino mentali, non prima che lo abbia "usurato" sotto tutti gli aspetti: e per questo esso resta simbolico. Ora invece gli oggetti non hanno più alcun simbolismo, possederli non provoca più alcun piacere (il piacere buono dell'uso, non quello dell'ostentazione), e quando passano scivolano via senza che neppure vi siano lasciate impronte : di fatto, il gorgo in cui finiscono sembra trascinare anche il soggetto che li usa, rendendolo oggetto egli stesso, "cosa tra le cose".
Infine, gli ultimi due "splendidi oggetti" elencati. Che in realtà non sono propriamente tali : il silenzio ; e il cielo ("a capo chino sullo schermo mentre il resto intorno accade").
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"Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo", scriveva Salvatore Quasimodo nel 1946, di fronte all'orrore della tecnica al servizio della ferocia primordiale, denunciando "la scienza esatta persuasa allo sterminio". Ma potrebbe ancora valere, quest'immagine di una natura umana che di volta in volta si serve di nuovi utensili, si tratti di una fionda, della carlinga di un aereo, delle "ali maligne " o di uno smartphone, senza mutare nel profondo ? Il sodalizio tra il soggetto e gli oggetti di cui si serve è solo un rapporto strumentale, che non intacca l'essenza del vero e unico protagonista della storia ?
E' questo il nodo decisivo con cui si confronta Massimo Mantellini, pioniere italiano del web,tra i primi esperti di tecnologia e cultura digitale che dagli anni '90 studia e scrive di come internet, pc e i nuovi device stiano ridisegnando il mondo. Oggi traccia una mappa dei cambiamenti epocali avvenuti sotto i nostri occhi o tra le nostre mani, seguendo la sorte di dieci oggetti di uso quotidiano che nel volgere di pochi anni ci hanno lasciato.
E che inevitabilmente, nel suo percorso in dieci stazioni, inizia proprio dalla cartografia, dall'antica ambizione di astrarre e trasferire in scala gli spazi terrestri su un supporto maneggevole, anche se un po' scomodo, come le gloriose mappe stradali con cui la famiglia Mantellini, negli anni '60, partiva dalla Romagna per andare in villeggiatura in Val di Fassa. L'arte di segnare il percorso con il polpastrello (vietato segnare, anche a matita !) e poi di richiuderle resistendo al vento, seguendo il verso giusto e le consuete piegature, e soprattutto tenendo lontane le grinfie minacciose dei bambini.
Tutto questo resiste solo nella memoria, lo stupore di Mantellini bambino che all'autogrill guarda l'espositore con le mappe di Paesi lontanissimi (la Norvegia !) oggi non ha più ragion d'essere. Ma in fondo anche quelle mappe stradali, che magari ancora resistono nel bagagliaio di qualche nostalgico, erano il prodotto di un'evoluzione inarrestabile, rispondevano all'esigenza di una precisione nell'orientamento che accompagna l'uomo almeno da quando archiviò le mappe medievali. L'ispirazione immaginifica dei cartografi premoderni, infatti, raffigurava l'ubicazione del paradiso terrestre e non badava alle proporzioni. Poi, nel XiV secolo, con oltre un millennio di ritardo, la riscoperta della geografia di Tolomeo portò a un criterio di razionalizzazione dello spazio di cui ancora oggi ci avvaliamo. E così, un passo dopo l'altro, si arrivò alle mappe su carta e poi a quegli atlanti Michelin che coniugavano un certo grado di esattezza con un buon grado di umanità, tracce soggettive sulle cose e abitudini familiari che oggi ricordiamo con affetto. Tutto ciò, quest'aura umana che aleggiava intorno a quasi ogni strumento, oggi non c'è più : l'arrivo dei navigatori satellitari, di Google Maps e di Street View l'ha spazzata via, facendoci guadagnare in cambio una precisione assoluta. O meglio, quasi assoluta. Il tecnologo e futurologo Mantellini, infatti, apre anche suggestivi squarci sugli sviluppi imminenti che noi utenti/consumatori neppure immaginiamo : quando la guida autonoma si approprierà del controllo dei nostri percorsi, incrociando in modo automatico persino le diverse concezioni etiche sul male minore nelle varie aree del mondo per decidere in pochi istanti (e senza coinvolgere noi passeggeri) il da farsi in caso di incidente stradale (meglio sacrificare la vita di un giovane pedone indiano o di un'indifesa anziana europea ?), allora persino lo street view he usiamo noi oggi riaffiorerà alla memoria come una dolce madeleine di inizio secolo.
Il punto filosofico più importante del libro è la conferma che all'avvicendarsi di strumenti e tecnologie cambiamo radicalmente anche noi. Il capofamiglia previdente che la sera prima di partire studia il viaggio sulla mappa ben distesa sul tavolo della cucina non ha più molto a che fare con chi oggi si sposta virtualmente in ogni angolo del pianeta. Persino se si tratta della stessa persona, di un "immigrato digitale". Ce lo confermano le altre storie di oggetti perduti narrate da Mantellini. Il telefono Ericsson, in bachelite, di sua madre, ritrovato durante il trasloco : una silhouette azzurra dal mirabile design nordico, che univa cornetta e rotella dei numeri e che oggi riassume un pezzo della biografia di quella donna del '900. Nessuno smartphone oggi potrebbe fare altrettanto. E lo stesso vale per la penna (oggi sostituita dalla tastiera di cui peraltro già si profila il tramonto a causa dei PDA (personal digital assistant) come Alexa. Per le lettere che inseguivano gli amici e gli amanti in capo al mondo, e per le macchine fotografiche, per i giornali, per i dischi (inclusa la meteora CD), per il cielo, come spettacolo naturale che non contempliamo più, e addirittura per il silenzio (lasciamo al lettore il piacere di scoprire perchè). Questa la lista degli splendidi oggetti morti, che ci hanno resi orfani, e infine donne e uomini diversi.
Ma non è la nostalgia (che pure affiora a tratti) a prevalere. In gioco c'è una questione tecnologica e antropologica. Il mondo, radicalizzando la nozione di max Weber, si va disincantando.Trionfa il sogno, per dirla con il sociologo tedesco, "di dominare tutte le cose mediante un calcolo razionale". Gli oggetti perdono ogni valenza simbolica per lasciar spazio alla funzionalità pura (anche se Steve Jobs, spiega Mantellini, ha intuito che la seconda non può prevalere del tutto sulla prima). Il bisogno di precision, soddisfatto in misura progressiva dall'apparato scientifico - tecnologico, cancella l'aura affettiva degli oggetti e li de-umanizza. L'obsolescenza degli elettrodomestici sostituiti da modelli sempre più aggiornati è ormai storia nota. Ma oggi si aggiunge la cancellazione dell'ultima traccia del soggetto nell'oggetto : il possesso, quel poter guardare un telefono, una radio, un'auto comprata risparmiando sulle spese o una bicicletta regalata dai genitori, e poter dire "è la mia". L'economia dello sharing e l'imminente internet of things che renderà gli oggetti quotidiani delle interfacce con server e centrali tecnologiche a noi ignote, libereranno le cose dal controllo umano in modo irreversibile, ne molleranno gli ormeggi rimuovendone così il marchio affettivo che fino a pochi anni fa ancora le segnava facendone, a loro volta, segni della nostra presenza nel mondo.
Il soggetto, dal canto suo, non esce indenne da una simile metamorfosi : infinitamente più leggero e più capace di raggiungere obiettivi prima impensabili, la sua identità personale un tempo ancorata agli oggetti di riferimento ora si snoda come un raccordo frammentario, veloce, inafferrabile. Il mondo tecnologizzato di oggi non si impone certo con la fredda e asettica oggettività della "gabbia d'acciaio" di Max Weber. Il disincantamento avviene anzi attraverso la seducente modalità della "personalizzazione". Il più chiaro esempio è costituito dai social network, costruiti intorno all'io singolare, alle sue idiosincrasie, alle sue passioni più intime e volubili : nessun ordine ferreo, insomma, si impone sul soggetto-funzionario delle tecniche descritto da Heidegger quasi un secolo fa.
Rimane però da chiedersi : questo soggetto ideale del XXI secolo, svincolato dalle cose, leggero e nomade, cosmopolita, sradicato e libero di cambiare assecondando le proprie voglie ad ogni istante (quando se o può permettere) è ancora un vero soggetto ? O piuttosto la trasformazione che ha sepolto il mondo di ieri ha travolto anche lui, rendendo la sua soggettività null'altro che la maschera ingannevole e anacronistica di un essere sempre pensante e senziente, certo, ma ridotto a cosa tra le cose ?"
A questo link alcuni stralci che vale la pena leggere a cominciare dall'introduzione e dall'indice per comprendere meglio il tema (in particolare con il primo - credo ben familiare e calzante in questo forum - e gli ultimi due "oggetti" elencati).
https://books.google.it/books/about...p_read_button&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false
Tuttavia preferisco non farne una recensione mia, bensì proporne una fatta pochi giorni fa su un quotidiano perché coglie la vera essenza della questione andando forse persino oltre il libro stesso in quanto getta uno sguardo inquietante sul futuro che si può minacciosamente estrapolare dal recente passato: siamo forse passati dall'essere soggetti ben distinti dai nostri oggetti, esseri senzienti e pensanti, all'essere oggetti noi stessi, loro protesi, "cose tra le cose" ? O, se non lo siamo ancora, lo stiamo ineluttabilmente diventando ?
Di questa riflessione anticipo soltanto alcuni passaggi, tre, nei quali mi ritrovo in modo particolare.
Il primo è il "mondo che si va disincantando" : ed una delle varie situazioni in cui personalmente ritrovo questa sensazione è proprio col primo oggetto passato in rassegna, la carta topografica. Ogni volta che la ho tra le mani, mi impone in modo tangibile tutti i suoi limiti, anzi mi "limita" in senso vero e proprio, mi fa sentire un cavernicolo ormai diviso dal mondo... e tuttavia mi attrae. Mi attrae e mi affascina perchè ancora mi dona esattamente quello sprazzo di "incanto" che può regalare soltanto un percorso disegnato su carta, con tutti i suoi margini di approssimazione, di imprecisione e di conseguente ragionevole incertezza, allorchè passando alla sua verifica sul campo assume l'alone della scoperta. Il GPS che oggi tanti usano con naturalezza (beati loro) ha eliminato tutto ciò : rendendo chiunque si muova un punto sempre perfettamente definito nelle sue coordinate geografiche, e lasciandolo sempre consapevole da dove provenga, dove sia, verso dove vada e cosa sia destinato a trovare.
ll secondo passaggio è la scomparsa dell'oggetto simbolico : quello il cui possesso entra e si intreccia nella vita vissuta di una persona, nelle sue esperienze, e che quando spira per consunzione passa nel suo mausoleo personale di ricordi. Come appunto una cartina ormai incartapecorita con cui ci si è mille volte orientati, un paio di scarponi più volte risuolati e infine irrecuperabilmente lisciati, un'automobile con cui si son percorsi 5 giri della terra, un giaccone amico di indelebili temporali, grandinate o tormente di neve, il fazzoletto che ha asciugato lacrime di gioia o di dolore della nostra vita. Tutti esempi dove il soggetto resta, l'oggetto passa ma non prima di durate stoiche nelle quali il soggetto vi ha lasciato impresse la sua identità, le sue impronte digitali, corporee e persino mentali, non prima che lo abbia "usurato" sotto tutti gli aspetti: e per questo esso resta simbolico. Ora invece gli oggetti non hanno più alcun simbolismo, possederli non provoca più alcun piacere (il piacere buono dell'uso, non quello dell'ostentazione), e quando passano scivolano via senza che neppure vi siano lasciate impronte : di fatto, il gorgo in cui finiscono sembra trascinare anche il soggetto che li usa, rendendolo oggetto egli stesso, "cosa tra le cose".
Infine, gli ultimi due "splendidi oggetti" elencati. Che in realtà non sono propriamente tali : il silenzio ; e il cielo ("a capo chino sullo schermo mentre il resto intorno accade").
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"Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo", scriveva Salvatore Quasimodo nel 1946, di fronte all'orrore della tecnica al servizio della ferocia primordiale, denunciando "la scienza esatta persuasa allo sterminio". Ma potrebbe ancora valere, quest'immagine di una natura umana che di volta in volta si serve di nuovi utensili, si tratti di una fionda, della carlinga di un aereo, delle "ali maligne " o di uno smartphone, senza mutare nel profondo ? Il sodalizio tra il soggetto e gli oggetti di cui si serve è solo un rapporto strumentale, che non intacca l'essenza del vero e unico protagonista della storia ?
E' questo il nodo decisivo con cui si confronta Massimo Mantellini, pioniere italiano del web,tra i primi esperti di tecnologia e cultura digitale che dagli anni '90 studia e scrive di come internet, pc e i nuovi device stiano ridisegnando il mondo. Oggi traccia una mappa dei cambiamenti epocali avvenuti sotto i nostri occhi o tra le nostre mani, seguendo la sorte di dieci oggetti di uso quotidiano che nel volgere di pochi anni ci hanno lasciato.
E che inevitabilmente, nel suo percorso in dieci stazioni, inizia proprio dalla cartografia, dall'antica ambizione di astrarre e trasferire in scala gli spazi terrestri su un supporto maneggevole, anche se un po' scomodo, come le gloriose mappe stradali con cui la famiglia Mantellini, negli anni '60, partiva dalla Romagna per andare in villeggiatura in Val di Fassa. L'arte di segnare il percorso con il polpastrello (vietato segnare, anche a matita !) e poi di richiuderle resistendo al vento, seguendo il verso giusto e le consuete piegature, e soprattutto tenendo lontane le grinfie minacciose dei bambini.
Tutto questo resiste solo nella memoria, lo stupore di Mantellini bambino che all'autogrill guarda l'espositore con le mappe di Paesi lontanissimi (la Norvegia !) oggi non ha più ragion d'essere. Ma in fondo anche quelle mappe stradali, che magari ancora resistono nel bagagliaio di qualche nostalgico, erano il prodotto di un'evoluzione inarrestabile, rispondevano all'esigenza di una precisione nell'orientamento che accompagna l'uomo almeno da quando archiviò le mappe medievali. L'ispirazione immaginifica dei cartografi premoderni, infatti, raffigurava l'ubicazione del paradiso terrestre e non badava alle proporzioni. Poi, nel XiV secolo, con oltre un millennio di ritardo, la riscoperta della geografia di Tolomeo portò a un criterio di razionalizzazione dello spazio di cui ancora oggi ci avvaliamo. E così, un passo dopo l'altro, si arrivò alle mappe su carta e poi a quegli atlanti Michelin che coniugavano un certo grado di esattezza con un buon grado di umanità, tracce soggettive sulle cose e abitudini familiari che oggi ricordiamo con affetto. Tutto ciò, quest'aura umana che aleggiava intorno a quasi ogni strumento, oggi non c'è più : l'arrivo dei navigatori satellitari, di Google Maps e di Street View l'ha spazzata via, facendoci guadagnare in cambio una precisione assoluta. O meglio, quasi assoluta. Il tecnologo e futurologo Mantellini, infatti, apre anche suggestivi squarci sugli sviluppi imminenti che noi utenti/consumatori neppure immaginiamo : quando la guida autonoma si approprierà del controllo dei nostri percorsi, incrociando in modo automatico persino le diverse concezioni etiche sul male minore nelle varie aree del mondo per decidere in pochi istanti (e senza coinvolgere noi passeggeri) il da farsi in caso di incidente stradale (meglio sacrificare la vita di un giovane pedone indiano o di un'indifesa anziana europea ?), allora persino lo street view he usiamo noi oggi riaffiorerà alla memoria come una dolce madeleine di inizio secolo.
Il punto filosofico più importante del libro è la conferma che all'avvicendarsi di strumenti e tecnologie cambiamo radicalmente anche noi. Il capofamiglia previdente che la sera prima di partire studia il viaggio sulla mappa ben distesa sul tavolo della cucina non ha più molto a che fare con chi oggi si sposta virtualmente in ogni angolo del pianeta. Persino se si tratta della stessa persona, di un "immigrato digitale". Ce lo confermano le altre storie di oggetti perduti narrate da Mantellini. Il telefono Ericsson, in bachelite, di sua madre, ritrovato durante il trasloco : una silhouette azzurra dal mirabile design nordico, che univa cornetta e rotella dei numeri e che oggi riassume un pezzo della biografia di quella donna del '900. Nessuno smartphone oggi potrebbe fare altrettanto. E lo stesso vale per la penna (oggi sostituita dalla tastiera di cui peraltro già si profila il tramonto a causa dei PDA (personal digital assistant) come Alexa. Per le lettere che inseguivano gli amici e gli amanti in capo al mondo, e per le macchine fotografiche, per i giornali, per i dischi (inclusa la meteora CD), per il cielo, come spettacolo naturale che non contempliamo più, e addirittura per il silenzio (lasciamo al lettore il piacere di scoprire perchè). Questa la lista degli splendidi oggetti morti, che ci hanno resi orfani, e infine donne e uomini diversi.
Ma non è la nostalgia (che pure affiora a tratti) a prevalere. In gioco c'è una questione tecnologica e antropologica. Il mondo, radicalizzando la nozione di max Weber, si va disincantando.Trionfa il sogno, per dirla con il sociologo tedesco, "di dominare tutte le cose mediante un calcolo razionale". Gli oggetti perdono ogni valenza simbolica per lasciar spazio alla funzionalità pura (anche se Steve Jobs, spiega Mantellini, ha intuito che la seconda non può prevalere del tutto sulla prima). Il bisogno di precision, soddisfatto in misura progressiva dall'apparato scientifico - tecnologico, cancella l'aura affettiva degli oggetti e li de-umanizza. L'obsolescenza degli elettrodomestici sostituiti da modelli sempre più aggiornati è ormai storia nota. Ma oggi si aggiunge la cancellazione dell'ultima traccia del soggetto nell'oggetto : il possesso, quel poter guardare un telefono, una radio, un'auto comprata risparmiando sulle spese o una bicicletta regalata dai genitori, e poter dire "è la mia". L'economia dello sharing e l'imminente internet of things che renderà gli oggetti quotidiani delle interfacce con server e centrali tecnologiche a noi ignote, libereranno le cose dal controllo umano in modo irreversibile, ne molleranno gli ormeggi rimuovendone così il marchio affettivo che fino a pochi anni fa ancora le segnava facendone, a loro volta, segni della nostra presenza nel mondo.
Il soggetto, dal canto suo, non esce indenne da una simile metamorfosi : infinitamente più leggero e più capace di raggiungere obiettivi prima impensabili, la sua identità personale un tempo ancorata agli oggetti di riferimento ora si snoda come un raccordo frammentario, veloce, inafferrabile. Il mondo tecnologizzato di oggi non si impone certo con la fredda e asettica oggettività della "gabbia d'acciaio" di Max Weber. Il disincantamento avviene anzi attraverso la seducente modalità della "personalizzazione". Il più chiaro esempio è costituito dai social network, costruiti intorno all'io singolare, alle sue idiosincrasie, alle sue passioni più intime e volubili : nessun ordine ferreo, insomma, si impone sul soggetto-funzionario delle tecniche descritto da Heidegger quasi un secolo fa.
Rimane però da chiedersi : questo soggetto ideale del XXI secolo, svincolato dalle cose, leggero e nomade, cosmopolita, sradicato e libero di cambiare assecondando le proprie voglie ad ogni istante (quando se o può permettere) è ancora un vero soggetto ? O piuttosto la trasformazione che ha sepolto il mondo di ieri ha travolto anche lui, rendendo la sua soggettività null'altro che la maschera ingannevole e anacronistica di un essere sempre pensante e senziente, certo, ma ridotto a cosa tra le cose ?"
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