- Parchi del Lazio
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- Parco di Veio
Cerco sempre di coniugare il mio appuntamento settimanale a Campagnano di Roma (mia mamma è in una casa di riposo in questo borgo dell’Agro veientano), con una puntata nella serena meraviglia del Parco di Veio: un territorio a un tiro di schioppo dalla Capitale, dove natura e storia si fondono in un unico inscindibile.
Generalmente mi accontento di passarci in macchina o di una sosta di riflessione nell’abbarbicato Santuario della Madonna del Sorbo; altre volte faccio due passi su flebili tracce lungo il Cremèra, fiume etrusco per eccellenza, a smangiucchiare bacche e asparagi o a cercare qualche fungo.
Questa volta decido invece di tornare alla Cascata dell’Inferno, che già richiede un po’ più d’impegno, perché bisogna fare del fiume il proprio sentiero. Ma i fiumi veientani hanno una particolarità: un letto tufaceo che li rende simili a solide strade, dove spesso si cammina a pelo d’acqua, altre si affonda fino al polpaccio. Indispensabile un bastone per saggiare il fondo ed evitare che il solido banco dove ci stiamo avventurando non sia invece un molle strato di fango, o al contrario la soffice ansa sabbiosa sulla quale stiamo saltando non sia una compatta lastra magmatica.
Così dopo la passeggiata con mamma per il paese, il bar e un giro al mercato, sono già con gli scarponi nel fiume sotto una volta tempestata dai riflessi dorati dell’autunno. L’agile cammino è interrotto solo qua e là (come in ogni fiume che si rispetti) da qualche catasta di tronchi trasportata dalla corrente.
Un fruscio e un airone cinerino si alza in volo; un tramestio mi fa sobbalzare e vengo sfiorato da due grossi cani al galoppo.
La deviazione nel fosso della cascata richiede di sbrigarsela con una vegetazione un po’ più esuberante e poi sono sotto la segreta meraviglia, dove la mancanza d’acqua della stagione nulla toglie alla magia del luogo.
Torno sui miei acquosi passi, giusto in tempo per un infangato salto al supermercato e per aiutare mia figlia nello zaino per il campo scout.
Generalmente mi accontento di passarci in macchina o di una sosta di riflessione nell’abbarbicato Santuario della Madonna del Sorbo; altre volte faccio due passi su flebili tracce lungo il Cremèra, fiume etrusco per eccellenza, a smangiucchiare bacche e asparagi o a cercare qualche fungo.
Questa volta decido invece di tornare alla Cascata dell’Inferno, che già richiede un po’ più d’impegno, perché bisogna fare del fiume il proprio sentiero. Ma i fiumi veientani hanno una particolarità: un letto tufaceo che li rende simili a solide strade, dove spesso si cammina a pelo d’acqua, altre si affonda fino al polpaccio. Indispensabile un bastone per saggiare il fondo ed evitare che il solido banco dove ci stiamo avventurando non sia invece un molle strato di fango, o al contrario la soffice ansa sabbiosa sulla quale stiamo saltando non sia una compatta lastra magmatica.
Così dopo la passeggiata con mamma per il paese, il bar e un giro al mercato, sono già con gli scarponi nel fiume sotto una volta tempestata dai riflessi dorati dell’autunno. L’agile cammino è interrotto solo qua e là (come in ogni fiume che si rispetti) da qualche catasta di tronchi trasportata dalla corrente.
Un fruscio e un airone cinerino si alza in volo; un tramestio mi fa sobbalzare e vengo sfiorato da due grossi cani al galoppo.
La deviazione nel fosso della cascata richiede di sbrigarsela con una vegetazione un po’ più esuberante e poi sono sotto la segreta meraviglia, dove la mancanza d’acqua della stagione nulla toglie alla magia del luogo.
Torno sui miei acquosi passi, giusto in tempo per un infangato salto al supermercato e per aiutare mia figlia nello zaino per il campo scout.
Allegati
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