Breve guida tecnica sulle tende - parte 2. I MATERIALI

BREVE GUIDA TECNICA TENDE
– I materiali –

Dopo aver visto come le tende possono differenziarsi in base alle varie soluzioni costruttive, vediamo ora i diversi materiali che possono essere utilizzati e come possono essere trattati, accoppiati e combinati.
Come in precedenza, nella esposizione che segue affronto solo le tende da montagna/trekking, con esclusione di quelle da campeggio e da utilizzo campale (es. tendoni e capannoni, gazebo, etc. etc.).
Lo schema della trattazione sarà il seguente:


1. LA PALERIA
a) vetroresina o fibra di vetro.
b) alluminio.
c) carbonio.
2. I TELI
a) come sono descritti i tessuti
1. D - Denari
2. T - numero di fili
3. Ripstop
b) materiali dei tessuti dei teli
1. Poliestere.
2. Poliammide.
3. confronto poliestere-poliammide.
c) trattamenti dei teli:
1. poliuretano e silicone.​
2. spalmatura e laminatura.​
3. trattamenti W/R e F/R.​
d) giunzione dei tessuti dei teli:
1. cuciture e nastratura​
2. termosaldatura​
e) quanta impermeabilità serve?



1) LA PALERIA.
La paleria è sempre realizzata da una serie di segmenti tubolari, precollegati da una corda elastica che passa al loro interno e dalla quale sono tenuti riuniti in aste. A comporre la paleria sono quindi due elementi:
  • CORDA: pur se esistono corde elastiche di qualità diverse (per durata nel tempo dell’elasticità dei trefoli e per resistenza all’abrasione della calza), questo elemento solitamente non ha seri problemi di durata e viene danneggiato solo in occasione di danni alla paleria (es rottura di un segmento a tenda montata e conseguente scarico peso sulla corda) o di scorretto maneggio dei segmenti (che vengono stirati nel montaggio o smontaggio).
  • ASTA TUBOLARE: può essere realizzata con segmenti in vetroresina o alluminio o carbonio .
a) Vetroresina (VTR) o fibra di vetro:
Si tratta di un materiale economico da produrre ed abbastanza versatile, ma con limiti in elasticità e flessibilità.
E’ un materiale composito, che deriva dall’unione di una resina e di un rinforzo vetroso.
Il vetro viene lavorato per ricavare sottilissimi fili (pultrusione delle fibre di vetro), che successivamente vengono lavorati sia in filato/tessuto, sia con resine.
Le fibre di vetro vengono riunite in fili, con cui vengono prodotti tessuti o TNT (tessuto non tessuto, feltro a fibre orientate casualmente) detti “rinforzo”, impregnati con resine (dette “matrici”) termoindurenti, in genere liquide e a base di poliestere, vinil-estere o epossidica, che induriscono dopo la lavorazione per intervento di catalizzatori e acceleranti. Più in particolare, pur potendosi usare resine ortoftaliche, resine isoftaliche e resine vinilestere, queste ultime sono quelle principalmente usate nella vetroresina, mentre le altre vengono usate principalmente nella lavorazione del carbonio ed altri compositi.
La resina pura (cioè con contenuto di vetro pari a 0%) ha una densità d = 1200 kg/m3, che aumenta linearmente man mano che il contenuto vetroso cresce, fino ad assumere il valore di 2560 kg/m3 quando il contenuto di vetro sale fino al 100%.
La qualità della vetroresina è influenzata dalla qualità di ogni prodotto utilizzato nella sua produzione, nonché dalla qualità del procedimento di lavorazione. Pertanto, rilevano non solo la qualità della pultrusione e della successiva tessitura, ma anche la qualità della resina e dell’impregnazione. Resine diverse, danno qualità meccaniche finali diverse:
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Tessuti diversi danno inoltre qualità meccaniche diverse.
Associando una matrice con un rinforzo si realizza un materiale non isotropo in quanto esso presenta ottime caratteristiche meccaniche di resistenza a trazione solo se viene sollecitato in direzione delle fibre, mentre se viene sollecitato in direzione perpendicolare ad esse, la capacità di resistenza a trazione si riduce a quella (piuttosto bassa) della resina.
Ne segue che, volendo realizzare un materiale per quanto possibile isotropo bisognerà orientare i filamenti in diverse direzioni. A questo scopo rispondono bene le associazioni della resina con tessuti di fibre, meglio se intrecciati, ma va studiato accuratamente l’allineamento carico-fibre.
Infatti, nel caso di trazione, per angoli inferiori a circa 3° la resistenza della lamina è limitata dalla resistenza a trazione longitudinale; per angoli tra 3° e 25° la resistenza è limitata dalla resistenza a taglio, mentre per angoli > 25° la resistenza è limitata dalla resistenza a trazione trasversale.
In generale, comunque, il dato medio delle qualità meccaniche della vetroresina, a confronto con quello di materiali competitivi, può essere riassunto come segue:
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Pertanto, seppure la vetroresina abbia un peso contenuto e proprietà meccaniche globalmente interessanti e simili all’alluminio, essa ha una limitato modulo elastico ed un modulo a flessione ancor più limitato, nonché scarsa resistenza allo snervamento.
In pratica, il materiale ha una resistenza alla deformazione molto bassa ed il continuo lavoro di flessione cui è sottoposto, lo degrada velocemente; la combinazione di queste due carenze determina un alto rischio di rotture in applicazioni come la paleria per tende.
Per queste ragioni, nelle tende da montagna/trekking la paleria in vetroresina è praticamente scomparsa, rimanendo solo per prodotti estremamente economici e destinati ad un utilizzo in condizioni tranquille.

b) Alluminio.
E’ un materiale realizzato per estrusione; è un po’ più pesante e costoso della fibra di vetro, ma enormemente più elastico e più resistente alla fatica, fattori che ne hanno determinato il successo.
Tuttavia, anche qui come sopra, le differenze nella lavorazione dell’alluminio e nel tipo di lega di alluminio utilizzata portano a prodotti radicalmente diversi.
Esistono diversi tipi di lega di alluminio, classificate in gruppi con numero per migliaia, da 1000 a 9000 (potete guardarvi anche su wikipedia le specifiche dei vari gruppi). Per quel che rileva nella nostra discussione, vale la pena citare i gruppi 6000 e 7000:
  • Gruppo 6000(leghe Al – silicio e magnesio) dette Anticorodal: hanno una ottima lavorabilità con le macchine utensili e possono essere sottoposte al trattamento termico di indurimento per precipitazione, ma non si possono ottenere le caratteristiche che le leghe dei gruppi 2000 e 7000 possono raggiungere. Sono leghe con buona saldabilità, e dunque vengono usate nel campo navale, ferroviario e nella costruzione di infissi di alluminio. In genere tutte le leghe 6000 sono estrudibili con tecnica detta “a ponte” e quindi sono idonei alla produzione di profili a una o più cavità.
  • Gruppo 7000 (leghe Al – zinco e magnesio) dette ergal: sono le leghe molto utilizzate in campo aerospaziale, nelle applicazioni strutturali di forza e sono in grado di raggiungere le migliori caratteristiche meccaniche tra tutte le leghe di alluminio. Le leghe 7000 si suddividono in due sottogruppi: con rame e senza rame in lega; quelle contenenti rame, hanno prestazioni meccaniche molto elevate ma non sono saldabili; le altre invece sono caratterizzate dal notevole potere autotemprante, che le rende particolarmente idonee alla realizzazione di telai saldati, e dalla possibilità di essere estruse a ponte.
L’alluminio utilizzato generalmente per la paleria delle tende è quello del gruppo 6000 (e, all’interno di questa, principalmente la 6061-T6 e la 6063-T6) e soprattutto del gruppo 7000 (e, all’interno di questa, principalmente la 7001-T6, la 7055-T6, la 7068-T6 e 7075-T6).
I principali marchi produttori di pali di alluminio per tende sono i coreani DAC e Yunan, tutte con standard qualitativi molto elevati.
DAC ha poi brevettato una specifica lega, la TH72M, che risulta più resistente della 7075-T6 del 20%; resistente più del doppio rispetto alla 6061-T6 e più del triplo rispetto alla 6063-T6 (la lega più comune nella realizzazione dei picchetti).
Va poi considerato che l’alluminio e le sue leghe reagiscono con l’atmosfera, subendo ossidazione e corrosione, tanto maggiore quanto più è impura la lega ed imprecisa la colata estrusa (che ingloba piccoli vuoti); per proteggere l’alluminio da tale corrosione, si utilizza il trattamento di “anodizzazione”.
Il processo di anodizzazione, semplificando, consiste bollire le componenti di alluminio in un bagno con soluzione di acido nitrico e fosforico. Questa procedura può essere fatta con intensità diverse e, ovviamente, più forte sarà l’anodizzazione, maggiore sarà la protezione risultante dell’alluminio, ma anche il costo. Inoltre, in ottica di protezione ambientale, esistono moderni processi di anodizzazione più ecologici, che riducono molto l’utilizzo degli acidi e che trattano i residui, le acque ed i fumi per ridurre l’impatto ambientale, con ulteriori maggiori costi di ricerca e lavorazione, che non tutte le case applicano (ma che applicano ad esempio DAC e Yunan).
Una buona anodizzazione è in grado di eliminare o ridurre al minimo la corrosione ed il fenomeno del c.d. “stress corrosion cracking” (SCC), che porta la struttura granulare della lega ad invecchiare rapidamente, formando microcricche (effetto cracking) che indoliscono sostanzialmente il materiale e favoriscono le rotture. Il fenomeno SCC si verifica tanto più facilmente, quanto più sottile è la sezione del componente in alluminio e, quindi, è un fenomeno importate da considerare nella paleria delle tende, dove i tubi hanno una sezione molto sottile.
Per cercare di evitare i problemi da SCC, v’è chi cerca di sopperire alla scarsa qualità della purezza della lega e dell’anodizzazione con l’utilizzo di tubi con le pareti più spesse, che però non si traduce in maggiore resistenza, ma solo in maggior peso.
Infine, va considerato il diametro della paleria: a parità di spessore della parete del tubolare, un tubolare è tanto più robusto, quanto maggiore è il suo diametro. Non a caso, infatti, le tende 4 stagioni costruite bene hanno paleria di diametro maggiore rispetto ad altre.
Ci sono poi ulteriori trucchi – utilizzati ad esempio da DAC, nelle serie Featherlite NSL / Pressfit / PL – per ottenere pali robusti, contenendo il peso: uno di questi è quello di relizzare pali con sezione variabile, più larga in corrispondenza delle giunture e con rinforzo interno sul punto; un altro è quello di mantenere il diametro costante, ma rinforzare con inserti le zone di giuntura.
Si può comprendere ora che il produttore che descrive la propria tenda come dotata di “paleria in alluminio”, deve indicare almeno il tipo di lega.
Inoltre, il prezzo di due prodotti apparentemente simili, a parità del tipo di lega, può essere molto diverso per la qualità della lega, la qualità dell’anodizzazione ed i costi della stessa dipesi anche dall’adozione di un procedimento più ecologico.
La paleria in alluminio è la più utilizzata nelle tende perché consente una buona elasticità e resistenza; inoltre, grazie alla duttilità del materiale, in caso di danni alla paleria questa non va in pezzi come accade con vetroresina o carbonio, ma si piega o si spezza in un modo che consente comunque sempre una riparazione di fortuna.

c) Carbonio.
La fibra di carbonio, ottenuta con sistemi che qui è complicato spiegare, viene tessuta (rinforzi) e poi trattata con resine (matrici) per indurire ed assumere la forma voluta. Le resine generalmente impiegate in questo composito sono di tipo epossidico.
Il diametro in sezione di un filamento di fibra di carbonio varia normalmente tra i 5 e i 10 micron; i singoli filamenti, uniti solitamente in multipli di 1000 formano il “filato” (yarn in inglese) vero e proprio, il prodotto allo stato grezzo reperibile in commercio come filo di fibra di carbonio.
Un indicatore qualitativo importante per distinguere le tipologie di filati di fibra di carbonio è dato dal numero di filamenti che compongono un filato (filaments per yarn in inglese), indicato con le sigle 1k, 3k, 6k, 12k … 50k, che significano rispettivamente 1000, 3000, 6000, 12000 … 50000 filamenti per filato. Ad un numero minore di “k” corrisponde una fibra qualitativamente migliore perché permette di creare tessuti di fibra più leggeri e a trama fine, con riflessi anche sul costo del materiale grezzo. Un tessuto 1k può arrivare a costare 3 volte un tessuto 3k; maggiore il numero di K, maggiore è il diametro del filato e di conseguenza più grezza la trama e maggiori gli interstizi, provocando così un maggiore uso di resina, con conseguente maggior peso e minore solidità del composito finale.
All’indicazione del numero di filamenti che compongono la fibra, di solito si accompagna il T (titolo del filato), cioè il peso in grammi di 1000 m di filo, con valori che variano dai 60/70 g per 1000 m di filato 1k, agli 800/1200 g per 1000 m di filato 12k.
La fibra può essere descritta e distinta, da un punto di vista commerciale, in base alla sua resistenza meccanica, il cui indice è detto modulo. Più elevato è il modulo, più è alta la resistenza alle sollecitazioni ma anche la rigidità totale della fibra e, quindi, la sua fragilità. Il modulo si ottiene attraverso trattamenti termici differenti che modificano la struttura molecolare della fibra. Il modulo del prodotto finito, inoltre, è influenzato anche dal rapporto fra numero di filato/filamento per superficie e quantità di resina utilizzata.
La densità tipica della fibra di carbonio è 1750 kg/m3. La resistenza meccanica dei differenti tipi di filato varia tra 2-7 GPa.
Le fibre più usate nella paleria sono fibre a basso modulo (c.d. Low Modulus, con indice di Young ben inferiore a 200Gpa), mentre le fibre a standard modulo (dette anche HS – High Strength) hanno un indice di young inferiore a 250 GPa, già troppo elevato.
Come si può vedere qui sotto, le fibre di carbonio sono molto più leggere e resistenti delle fibre di vetro, ma anche enormemente più rigide, a maggior ragione anche dell’alluminio.
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Inoltre, anche la resina epossidica ha qualità leggermente migliori rispetto a quella vinilica (utilizzata nelle VTR):
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In ogni caso, come la fibra di vetro, anche il carbonio è un materiale non isotropo e, quindi, le sue caratteristiche meccaniche hanno una direzione privilegiata, data dall’orientamento delle fibre nel rinforzo, che quindi va studiato attentamente.
In caso di rottura, inoltre, anche il carbonio reagisce similmente alla vetroresina, andando in frantumi e con fessurazioni allungate, che rendono molto difficile una eventuale riparazione.
Viene quindi usato molto poco nella paleria delle tende, rimanendo appannaggio di tende di alta qualità e superleggere, destinate comunque ad un utilizzo in condizioni meteo favorevoli e che quindi non stressano particolarmente la paleria (es. MSR carbon reflex ultralight).

2) I TELI.
I teli delle tende non sono film, cioè pellicole continue, ma veri e propri tessuti, con trama ed ordito, realizzati a partire da un filato, cioè da un filo a sua volta risultante dall’unione di più singole fibre o filamenti di materia prima.
Prima di passare alla materia prima con cui sono tessuti i teli, bisogna necessariamente fare una premessa sulla tessitura in sé, i concetti base della quale restano invariati indipendentemente dalla materia prima del filato.
a) come sono descritti i tessuti.
1. D - Denari.

La distinzione dei filati tessili in base alla loro grossezza, mediante la misurazione diretta del loro diametro, sembrerebbe la più logicamente attuabile; ma ciò non è possibile per filati deformabili e con sezione non perfettamente circolare. Per nei filati tessili la distinzione per grossezza viene effettuata mediante un particolare procedimento che prende il nome di titolazione e che si basa su due gradezze facilmente ed esattamente controllabili, quali la lunghezza ed il peso.
La titolazione dei filati si basa quindi sul peso per unità di lunghezza o sulla lunghezza per unità di peso: necessariamente una delle due grandezze deve essere fissata in precedenza mentre l’altra è variabile. Se viene assunto come titolo il peso occorrente per formare una determinata lunghezza, è evidente che in questo caso il peso aumenta con l’aumentare del diametro del filo, quindi tanto maggiore è il titolo, tanto maggiore è il diametro del filo. Se invece prendiamo come titolo la lunghezza di filato occorrente per formare un determinato peso, è evidente che tale lunghezza aumenta al diminuire del diametro del filato e quindi tanto più il titolo è alto, tanto più il filato è sottile. Ne consegue che: il titolo di un filato è un numero, indice della sua grossezza, proporzionale
alla sezione del filato stesso.
La titolazione può essere espressa in varie unità di misura, la più usata delle quali è Denari (D), dove 1 Denaro è pari al peso in grammi di una matassa di filato di seta lunga 9000 m; quindi, 1D corrisponde ad un filo di seta lungo 9000 metri e pesante 1 g.
Si tratta di una unità di misura a titolazione diretta, ovvero esiste proporzionalità diretta tra titolo e sezione del filato: più è grande il numero D, maggiore è il diametro del filato. Attenzione però che proporzionalità diretta non significa incremento lineare della dimensione; esistono formule che qui non vi cito, ma sappiate che un filo di nylon 40 D ha un diametro maggiore di oltre 6,5 volte quello del filo di seta e quasi 1,5 volte quello delle fibre in un tessuto di nylon da 20D.
In linea di massima, maggiore è il diametro del filato, maggiore la robustezza del relativo tessuto.
Tuttavia, è evidente che non tutti i materiali hanno le stesse proprietà e, quindi, è possibile ottenere un tessuto ugualmente robusto, adottando un filo di materiale più resistente e, per questo, più sottile, come vedremo nel confronto fra poliestere e poliammide.
Occhio quindi a leggere correttamente le descrizioni dei teli tenda, soprattutto in fase di confronto.
2. T - numero di fili.
Viene solitamente espressa con un numero, seguito da lettera T (da Thread, ovvero filo in inglese).
Questa misura si riferisce alla somma dei fili verticali e orizzontali (o fili) per pollice quadrato di tessuto. A parità di D del filo, un numero di fili più alto significa una trama più fitta e compatta, compressa, quindi più robusta; tuttavia, se D resta costante, il valore T può essere variato di poco. Invece, importanti variazioni di T sono possibili modificando D, quindi più sottile è il filo che uso, maggiore è il numero di fili che posso usare nella stessa unità di spazio.
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Tuttavia, come risulta intuitivo, un T elevato non significa sempre un tessuto più resistente.
Ad esempio, un tessuto in nylon 20D-330T, utilizza un numero elevato di fili (330 fili per pollice) 20 Denari (quindi sottili) ed ha una trama molto fitta e compatta, risultando liscio e valido schermo alla corrente d’aria; tuttavia, questo stesso tessuto è comunque meno robusto di un tessuto 68D-210T, che risulterà però anche più ruvido e rigido.
Anche questo, quindi, è un valore da considerare quando si valuta un telo tenda.
3. Ripstop.
E’ il nome di una specifica lavorazione del tessuto, volta a contenere/limitare l’avanzamento dello strappo in un tessuto e contenere l’elasticità del tessuto, migliorandone il rapporto resistenza/peso; inoltre, migliora anche la resistenza all’abrasione, seppure in misura minima.
Il tessuto Ripstop è fatto da una trama a rete di fili leggermente più grossi di quelli della base del tessuto, producendo la tipica “quadrettatura” del tessuto. Questi fili di rinforzo, generalmente in nylon o poliestere su un tessuto base che può essere di qualsiasi altra materia, sono introdotti nella tessitura ad incroci regolari, con intervalli di 5 o 8 mm.
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Ovviamente, avere i teli ed il catino della tenda in ripstop è un vantaggio importante; diversamente possono accadere inconvenienti così:
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b) Materiali in cui possono essere fatti i tessuti dei teli.
I teli delle tende moderne possono essere realizzati in poliestere o in poliammide (cioè nylon) ed entrambi i tessuti hanno i propri vantaggi e limiti.
1. Poliestere.
Viene indicato con sigla PL o anche PEs; è un polimero termoplastico ottenuto per estrusione; mi fermo qui e non vi descrivo nel dettaglio il processo chimico, perché per l’uomo comune assomiglia ad una supercazzola del conte Mascetti.
Per estrema semplificazione, vale quanto segue: la materia prima viene fusa in atmosfera secca di azoto puro ed estrusa in filo dalle filiere, raffreddato in aria a temperatura ambiente, raccolto su bobina, stirato a 80 ºC, quattro o cinque volte la sua lunghezza, termofissato e nuovamente raccolto. Con la variazione dello stiro si ottengono fibre poliesteri ad altissima tenacità.
Il tipo di poliestere più diffuso e quello più adatto ad uso tessile (e quindi per i teli delle tende) è il polietilene tereftalato o polietilentereftalato, alias PET, che presenta anche la particolarità di essere totalmente riciclabile.
La fibra poliestere (e in particolare PET) viene prodotta in fili continui, composta da più bave, a sezione generalmente circolare e con un titolo globale da 30 a 3000 den, viene colorata in avorio molto pallido o tinte pastello; al microscopio le bave presenta una superficie liscia e uniforme; i fili hanno un peso specifico di 1,38 g/cm3 e presentano una serie di caratteristiche positive: ottima tenacità (tra 4 e 6 g/den) e allungamento contenuto (dal 6 al 12%, max 15%) che rimangono inalterati a umido; resistenza allo strappo buona, inalterata anche con fibra bagnata; eccellente comportamento all'usura e alle gualciture; forte idrorepellenza (hanno la bassissima igroscopicità dello 0,3-0,5%), quindi non assorbono macchie e si lavano e puliscono con facilità, asciugano rapidamente e resistono alle muffe e agli insetti; eccezionale stabilità dimensionale, buona resistenza al cloro, agli acidi e ai solventi; infine, cosa importantissima, hanno una buona resistenza alla radiazione solare.
Per tale ragione, sono realizzate in poliestere le vele delle barche (vedi Dacron e Mylar) e, utilizzando poliestere ad altissima tenacità, anche vele di kite surf, parapendio e deltaplano.
Tra le principali deficienze delle fibre poliesteri vi è una forte tendenza alla formazione del pilling, sensibilità agli alcali, inoltre generano elettricità statica e attirano pulviscolo.
Quanto alla resistenza al fuoco il poliestere ha una temperatura di infiammabilità superiore al nylon e quindi si incendia più difficilmente, ma quando accade si scioglie e brucia allo stesso tempo (salvo non abbia trattamenti c.d. fire retardant), mentre il nylon inizialmente si scioglie rapidamente e solo poi sviluppa la fiamma.

2. Poliammide.
Viene indicato con la sigla PA e nylon è solo uno dei nomi commerciali (storicamente il primo) del poliammide.
Le fibre poliammidiche sono fibre sintetiche costituite da macromolecole lineari ottenute dalla policondensazione di composti bifunzionali e caratterizzate dal gruppo ammidico CO-NH, da cui dipendono molte delle loro proprietà.
Il procedimento di produzione del filato è simile a quello descritto per il poliestere, ma ha un maggiore impatto sull'ambiente sia in produzione, sia in riciclaggio.
Sotto la denominazione « poliammidi » si possono identificare essenzialmente due tipologie di fibre:
• Poliammidi alifatiche : es. Nylon
• poliammidi aromatiche: es. Kevlar e Nomex.
Per i tessuti impiegati nei teli tende sono usate esclusivamente le poliammidi alifatiche, fra cui le più diffuse sono il Nylon 6 e il Nylon 6.6 (il nylon 6.6 è più caro e in generale con proprietà meccaniche migliori del 6, soprattutto a fibra umida), la cui distinzione dipende dal polimero impiegato per la loro realizzazione e dal numero e disposizione di atomi di carbonio nella molecola.
Posto due tabelle che analizzano parametri simili, ma con riferimenti di test diversi; quello che conta è constatare lo scarto e la sua entità, in ciascun parametro, fra PA6 e PA66.
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Quindi non ogni nylon è uguale! Occhio alla descrizione dei materiali delle tende.
Le migliori tende sono realizzate in nylon 66 (non solo il Kerlon della Hilleberg o il nylon delle tende da mountainering della Vaude, ma anche altri, come ad es. https://www.nigor.eu/tents/lightweight-tents/tunnel-lightweight-tents/apteryx-2/).
In generale, i pregi di un tessuto in poliammide possono essere così riassunti: basso peso specifico (leggerezza), ottime proprietà meccaniche, grande tenacità, buona resistenza all'usura ed alla trazione, buona elasticità, elevata resistenza alla fatica ed allo strappo, buona impermeabilità, ottima resistenza a molti solventi organici.
I limiti della poliammide sono rappresentati da: stabilità dimensionale solo discreta e che peggiora a fibra bagnata; assorbe una certa quantità di acqua; scarsa resistenza all’esposizione a luce solare/UV; scarsa resistenza al calore ed alla fiamma; sensibile al pilling ed allo snagging (sfilacciamento del tessuto, i c.d. fili tirati, per tessuti realizzati in filo continuo liscio, senza torsione) scarsa resistenza agli acidi (in particolare all’acido formico), genera elettricità statica e attira pulviscolo.

3. Confronto Poliestere – Poliammide.
Vi posto due tabelle per avere un confronto immediato dei dati.
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Ne consegue che, riferendosi all’uso specifico dei teli tenda, il poliestere presenta alcuni vantaggi rispetto al nylon:
  • resiste meglio ai raggi UV e quindi dura di più;
  • assorbe meno acqua;
  • da bagnato mantiene interamente le proprie capacità di resistenza, riducendo in questo caso lo svantaggio sulla resistenza rispetto al nylon;
  • da bagnato mantiene inalterate le proprie dimensioni, quindi non è necessario ritensionare la tenda in caso di precipitazioni;
  • in caso di contatto con la fiamma (es. fornelletto), impiega più tempo del nylon per andare in fusione/combustione.
  • migliore resistenza all’acido formico (nel malaugurato caso che si pianti una tenda sopra un formicaio).
  • Costa leggermente meno del poliammide/nylon.
Per contro, gli svantaggi rispetto al nylon sono:
  • peso specifico leggermente maggiore;
  • maggiore rigidità e quindi minore resistenza allo strappo;
  • necessità di nastratura delle cuciture perchè, a tenda montata e con teli in tensione, i buchi delle cuciture tendono ad allargarsi;
  • minore resistenza all’abrasione.
  • Una volta sviluppata la fiamma sul tessuto, il danno accelera rapidamente.
  • Va detto che alcuni svantaggi del poliestere, in relazione al carico sostenibile, vengono molto ridotti dalle recenti fibre in poliestere ad alta o altissima tenacità, ma ancora non molto diffuse nei teli tenda.
I vantaggi del nylon sul poliestere sono i seguenti:
  • peso specifico leggermente minore;
  • maggiore resistenza all’abrasione;
  • maggiore elasticità e quindi maggiore resistenza allo strappo ed alla trazione;
  • maggiore plasticità e, quindi, in caso di “puntura” del telo (si pensi se lo si buca con qualcosa di acuminato), il danno sarà meno evidente; infatti sotto la pressione della punta dell’oggetto, il telo si deformerà, “allargando” le proprie fibre e permettendo alla punta di passare, rompendo meno fibre; una volta estratta la punta, le fibre del telo tenderanno a recuperare le dimensioni e posizione originali, riducendo gli effetti del buco;
  • tutto quanto sopra rende possibile realizzare teli robusti tanto quanto quelli in poliestere, ma con spessori ridotti.
  • Le cuciture possono anche non essere nastrate (la naturale elasticità e plasticità del telo tendono a richiudere i buchi del passaggio del filo), ma vanno in tal caso periodicamente trattate con silicone;
  • Ha un costo leggermente superiore al poliestere.
Gli svantaggi sono:
  • Minore resistenza ai raggi UV;
  • Maggiore assorbimento di acqua;
  • Maggiore elasticità del tessuto, soprattutto quando bagnato, con conseguente necessità di ritensionare i teli in caso di precipitazioni;
  • Minore resistenza all’acido formico.
  • Prima di sviluppare la fiamma, fonde su ampia superficie, con danno esteso e quando prende fuoco, brucia lentamente.
Un esempio della lassità sviluppata da teli in silicone, una volta bagnati.
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Per ovviare a questi svantaggi, ad esempio Vaude produce le sue due tende di punta da alpinismo/spedizione (power sphaerio) in tessuto misto poliammide66/poliestere (88% Polyamide 66, 12% Polyester), che così riesce a mantenere una stabilità dimensionale molto maggiore, sia per il fatto di utilizzare PA66, sia per l'apporto del poliestere.

c) Trattamenti dei teli.
Come abbiamo visto, nonostante poliestere e poliammide siano fibre poco igroscopiche, assorbono comunque una certa quantità di acqua e, quindi, i teli vengono trattati in modo da migliorarne l’impermeabilità (che viene misurata in mm di colonna d’acqua).
Sia il poliestere, sia il poliammide possono essere trattati con silicone, con poliuretano e con trattamenti WR e FR.
Non necessariamente il trattamento delle due facce del tessuto deve essere fatto con lo stesso materiale; pertanto, si possono avere teli trattati internamente ed esternamente in poliuretano oppure teli trattati internamente ed esternamente in silicone, oppure infine teli trattati in silicone all’esterno e poliuretano all’interno.
1. Poliuretano e Silicone.
Poliuretano (PU e TPU).
Il poliuretano termoplastico è un polimero che si forma dalla policondensazione di un isocianato con un diolo: la natura chimica di questa catena influenza il comportamento meccanico e la resistenza chimica del materiale. Tanto più la catena è lunga tanto più il materiale assume caratteristiche simili alla gomma naturale (sono i poliuretani più pregiati e più costosi), mentre con catene corte oltre un certo limite di trazione, si ha un comportamento plastico con deformazione permanente: non sono quindi necessari plastificanti per variare le proprietà meccaniche come per il PVC. I gradi intermedi di durezza sono utilizzati per spalmature di tessuti o film trasparenti. Per questi teli l’intervallo di temperatura di utilizzo (-40°C +80°C), è più ampio di altri materiali come ad esempio il PVC.​
Il poliuretano ha un ottimo potere impermeabilizzante, comparabile al silicone, ma consente ancora la traspirabilità del tessuto; è inoltre più robusto e duraturo del silicone, ma pesa leggermente di più ed è leggermente meno elastico. Inoltre, il PU risulta una delle sostanze con maggiore resistenza agli oli e all’abrasione, in funzione della durezza, ed è impermeabile all’acqua ed al gas; si ossida meno facilmente all’aria delle gomme a base idrocarburi, ma non è invece resistente a molti acidi ed alle basi e per resistere ai raggi UV sono necessari additivi.​
Per queste ragioni è applicato sul lato interno del catino; quanto ai sovrateli, generalmente quelli trattati in PU su entrambi i lati sono in poliestere; i teli in nylon, invece, sono quasi sempre trattati all'esterno in silicone, mentre all'interno possono essere trattati o in silicone o in nylon.​
Silicone
I siliconi sono un gruppo di polimeri inorganici, differenziato in tipi molto diversi.​
Vantaggi del silicone tessile per abbigliamento sono:​
• totale impermabilizzazione del tessuto​
• Alti livelli di penetrazione e incapsulamento delle fibre​
• Elevata forza di adesione senza primer su tessuti di diverse origini​
• Bassa viscosità​
• Pot life elevato a temperatura ambiente​
• Polimerizzazione rapida con il calore​
• Viscosità adattata ad una vasta gamma di substrati​
• Morbidezza.​
Un rivestimento in silicone può essere applicato all'esterno ed anche all'interno dei tessuti delle tende.​
Fornisce un alto livello di protezione contro le radiazioni UV dannose e consente alle gocce di pioggia di perlarsi e rotolare via dalla superficie esterna. Aumenta anche la resistenza allo strappo del tessuto, prolunga la durata della tenda e, soprattutto, è un trattamento leggero.​
Se applicato su teli di poliestere, commercilamente si parla di SilPoly; se applicato su teli di poliammide, commercialmente si parla di SilNylon. I teli in poliestere sono raramente trattati in silicone su entrambi i lati e, di solito, sono siliconati solo all'esterno, mentre all'interno sono trattati con PU. Nei teli di nylon, invece, il lato interno può essere siliconato oppure spalmato con poliuretano. Un telo con entrambi i lati siliconati è molto più elastico e resistente di un telo con il solo lato esterno siliconato.​
Il limite del silicone ad uso tessile è che, esposto a radiazione solare, si deteriora molto prima del poliuretano. Inoltre, un telo siliconato non traspira per nulla, diversamente da un telo con spalmatura in poliuretano, che mantiene una certa traspirabilità.​
2. Spalmatura e Laminatura.
Spalmatura (coating). I trattamenti in silicone e poliuretano vengono fatti principalmente per “spalmatura”, quasi esclusivamente su tessuti in poliestere o poliammide.​
La spalmatura è un processo industriale, effettuato attraverso macchine rotative; comprende lo svolgimento di una base (tessuto, ma anche carta, ecc.), l’applicazione su di esso di un prodotto chimico, l’essiccazione attraverso un forno, il raffreddamento; tali fasi possono essere ripetute in sequenza per il numero di volte voluto; va infatti considerato che l’applicazione della stessa quantità di materiale in più strati diversi dà un risultato migliore rispetto all’applicazione in strato unico. Per questa ragione, ad esempio Hilleberg e Vaude fanno la spalmatura di silicone in 3 strati.​
La natura delle sostanze chimiche da spalmare può essere la più diversa: acriliche, poliuretaniche, siliconiche, lattice, PVC, ecc. Come abbiamo visto, però, sui teli tende vengono usate siliconiche e poliuretaniche.​
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Laminataura. I tessuti laminati sono tessuti compositi (detti anche accoppiati), cioè formati da più strati (minimo due, in genere tre), per accoppiamento , tramite incollaggio, di un tessuto e di una speciale membrana, che assume il ruolo di una lamina, che riduce nettamente o elimina la permeabilità di un tessuto.​
Appartengono a questo genere di tessuti tutti quelli che includono membrane come il GoreTex, il WindStopper e simili, nonché il TPU.​
Nel caso delle tende, ad essere laminato è di solito il solo catino; in tal caso, la laminatura viene fatta in TPU, poliuretano termoplastico, che è un copolimero impermeabile, con buona elasticità, tenacità, resistenza all'usura, buona resistenza al freddo, protezione ambientale e non tossico.​
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I teli laminati in TPU garantiscono il massimo dell’impermeabilità (almeno 10.000 mm di colonna d’acqua, ma consideriamo che membrane come il goretex arrivano ad oltre 28.000 mm), molto meglio e molto più a lungo di un tessuto spalmato in PU. Pochissime case producono tende con catini laminati e di solito si tratta solo di modelli di punta (ad esempio Vaude con le sue Power Sphaerio). Come sempre, la qualità ha un prezzo.​

3. Trattamenti W/R e F/R.
Trattamento WR.
Quasi tutti gli indumenti traspiranti impermeabili vengono trattati chimicamente con un "Durable Water Repellent" (DWR) che permette all'acqua di scorrere sul tessuto prima di penetrare e venire a contatto con il tessuto. Questa è la prima linea di difesa contro l’acqua.​
Il DWR provoca lo scivolamento dell’acqua sul tessuto, viene influenzato da abrasioni, sporcizia e tende a svanire dopo pochi lavaggi o lunga esposizione al sole e temperature elevate. A livello microscopico, le molecole a catena del trattamento DWR si legano alla superficie del tessuto e agiscono come tanti aghi che tengono l'acqua in sospensione e la fanno rotolare sulla superficie. Quando questi “aghi” si abradono o subiscono lavaggi il loro orientamento si interrompe e questo è ciò che impedisce loro di lavorare.​
Questo è il motivo per cui dopo un certo utilizzo, un tessuto può dare la sensazione di non essere più impermeabile. Questa sensazione, però, potrebbe anche non essere corretta ed il tessuto potrebbe essere ancora impermeabile (perché l’entità della precipitazione, per durate ed intensità, non è tale da consentire all’acqua di penetrare nel tessuto o perché questo è addirittura dotato di membrana), ma si deve considerare che quando il tessuto si bagna sulla superficie, la traspirabilità diminuisce drasticamente determinando una maggiore umidità all'interno, fino alla condensa.​
Il DWR utilizzato per anni come standard da tutto il settore è stato un trattamento a catena lunga (C8) a base di fluorocarburi che è altamente efficace contro acqua, oli e macchie, nonché straordinariamente resistente.​
Purtroppo, i suoi sottoprodotti sono tossici e persistono nell'ambiente. Pertanto, i governi di tutto il mondo hanno richiesto alle aziende chimiche di interromperne la fabbricazione e quindi ogni fornitore di alta qualità è alla ricerca di alternative con prestazioni paragonabili.​
Purtroppo, molti finissaggi, tra cui cere e siliconi, non sono efficaci con macchie e oli e comunque perdono la loro efficacia rapidamente, riducendo la durata effettiva di un capo.​
In generale, l’obiettivo principale è quello di avere prodotti di lunga durata, quindi ridurne la vita non è un'opzione accettabile, nè per l’utilizzatore, nè per l’ambiente. Si è passati quindi da un trattamento a base di fluorocarburi C8 a un trattamento a ciclo inferiore con catena C6, anch’essa a base di fluorocarburi, ma con sottoprodotti che si rompono più velocemente nell'ambiente e con minore tossicità potenziale. Questa soluzione, che viene adottata anche da molti altri produttori, non è ancora abbastanza buona, ma è l'opzione migliore finora disponibile.​
Resta comunque un trattamento poco adatto ai sovrateli delle tende, sui quali è invece possibile lavorare con spalmatura di silicone e/o poliuretano; il trattamento w/r è invece applicato al telo della camera.​
Il trattamento F/R (fire retardant o flame retardant)
I tessuti certificati FR sono trattati sulla superficie con un processo di immersione o di spalmatura con additivi chimici ritardanti di fiamma dopo che la tela è stata tessuta.​
Poiché il trattamento è superficiale e molti di questi additivi hanno una certa solubiltà in acqua o nei detergenti per il lavaggio a secco, le proprietà ignifughe di questi tessuti possono diminuire significativamente nel tempo.​
Le fibre del poliestere, però, possono essere prodotte sin dall’origine come FR, introducendo nel polimero atomi di fosforo o molecole contenenti fosforo, che conferiscono al filato proprietà FR. In tal caso, i tessuti derivati da tali fibre mantengono le loro proprietà per tutta la vita del tessuto.​
Per aumentare la resistenza alla fiamma, cioè per impedire i rapidissimi processi con cui il calore intenso favorisce la rapida combinazione del materiale della tela con l’ossigeno atmosferico (combustione), provocando pericolosi incendi, esistono diverse strategie e quindi additivi di cui cito solo i principali:​
Sostanze inorganiche come la silice, l’allumina, nano particelle ceramiche o ossidi metallici, creano sulla superficie uno schermo termico che impedisce all’interno tessuto di raggiungere temperature tali da provocare la combustione.​
Sostanze alogenate, che contengono numerosi atomi di cloro e soprattutto bromo (chiamati anche alogeni) ad alta temperatura liberano per decomposizione questi stessi atomi, che reagiscono immediatamente con l’ossigeno, soffocando la fiamma.​
Agenti estinguenti a base di fosforo, il cui meccanismo di azione è basato sulla formazione di acido fosforico; questo tende a favorire le reazioni di carbonizzazione. Lo strato carbonioso così formato risulta rinforzato e protetto dal rivestimento vetroso prodotto dall’acido fosforico o dalle sue anidridi, proteggendo il polimero.​
I ritardanti fosforati stanno attualmente guadagnando mercato in quanto non sono soggetti ai problemi ecologici degli additivi a base di alogeni; inoltre, presentano una tendenza relativamente bassa alla formazione di fumo. Anche in questo caso, la qualità e la ricerca hanno un prezzo.​
Si tratta comunque di bagni in sostanze non proprio salutari e di procedimenti che hanno pur sempre un certo impatto ambientale e, quindi, da guardare con cautela.​
Nelle tende da montagna, in fondo, non è poi così importante averli, anche perché l’unica occasione di contatto dei teli con la fiamma è rappresentata dal nostro fornelletto e, sul punto, il luogo comune di “cucinare dentro l’abside” è quanto di più assurdo e sconveniente si possa fare. Personalmente, mi è capitato di avere l’indefettibile necessità di doverlo fare solo una manciata di volte.​

d) Giunzione dei tessuti dei teli.
I teli sono realizzati unendo varie pezze di tessuto e queste giunture presentano un duplice problema: devono essere robuste e devono essere impermeabili. La giuntura diventa tanto più critica e delicata, quanto più sottile è il tessuto da unire e quanto più gravose sono le forze di trazione a cui sarà sottoposto (cioè maltempo: vento, pioggia e neve).
Esempio di rottura lungo una cucitura.
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Qui sopra, invece, lo stress sul tessuto in prossimità della cucitura, provocato dalla trazione del telo.
Per unire tessuti dei teli tenda, ad oggi sono utilizzate principalmente due vie: la cucitura e la termosaldatura.
1. Cuciture e nastrature.
La cucitura è il metodo più tradizionale, ma anche il più affidabile per durata nel tempo; per contro, comporta qualche problema nell'impermeabilizzazione, in quanto lungo la serie di buchi nei quali passa il filo, può insinuarsi anche l'acqua. Inoltre, presenta delle limiti di tenuta del tessuto in caso di tessuti molto leggeri/sottili.
Per ovviare a questo problema, il metodo migliore è nastrare le cuciture, ovvero applicare sulla cucitura, sul lato interno del tessuto, un nastro che sigilli la cucitura.
Una macchina termonastratrice produce aria calda a temperatura precisa e controllata, questa viene convogliata in un soffio che va a riscaldare direttamente l'adesivo del nastro. Il nastro riscaldato e il tessuto vengono compressi da due rulli contrapposti che ruotano sotto pressione.
I nastri utilizzati usano come sigillante una membrana in poliuretano o in teflon; i nastri possono essere a due strati (adesivo+membrana) oppure a tre strati (adesivo+membrana+tessuto). I nastri a tre strati sono i migliori per durata, in quanto proteggono la membrana; quelli a due strati (sono di questo tipo ad esempio tutte le nastrature trasparenti) sono un po' più leggeri, ma lasciano esposta la membrana e, quindi, la nastratura durerà meno.
La qualità dei nastri e l'accuratezza della procedura contano molto, perchè un poliuretano di scarsa qualità diventerà dopo pochi anni rigido ed inizierà a screpolarsi e sbriciolarsi.
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Non su tutti i teli è possibile effettuare la nastratura. Infatti, in caso ti teli siliconati, la colla non aderisce al tessuto e, quindi, non è possibile effettuare la nastratura. In tali casi, prevedendo l'utilizzo della tenda in condizioni molto piovose, per garantire l'impermeabilità delle cuciture bisognerà trattarle con un sigillante siliconico qualche giorno prima dell'utilizzo.
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il risultato
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Va però citata Vaude: questo marchio ha messo a punto due sistemi per sigillare le cuciture su teli siliconati. Il primo è quello di utilizzare un filo che, bagnandosi, si gonfia e sigilla i buchi della cucitura (però la casa consiglia ugualmente di passare le cuciture con sigillante in caso di utilizzo in condizioni particolamente bagnate); il secondo è un brevetto per poter nastrare le cuciture anche su superfici siliconate e, da quel che mi risulta, è l'unica ad essere in grado di farlo.

2) Termosaldatura.
Per ovviare agli inconvenienti della cucitura si può utilizzare il sistema della termosaldatura de lembi di telo, accoppiando i tessuti senza cuciture (infatti vengono anche detti seamless).
Il problema delle cuciture diventa tanto più importante, quanto più sono sottili ed elastici i tessuti da cucire; in questi casi, infatti, la cucitura non resiste alla trazione e finisce per lacerare il tessuto.
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Bisogna ricorrere pertanto, ad accorgimenti particolari come doppiare i bordi, sovrapporli e cucirli, magari con doppia cucitura, ma questa procedura genera sovraspessori notevoli ed aumenta la rigidità della cucitura, cosa assolutamente sconveniente nell'associazione con tessuti elastici.
Il rimedio possibile è allora la termosaldatura dei tessuti con giunzione a caldo, che “salda” i due tessuti sovrapposti adeguatamente allineati e bloccati. La termosaldatura tessile viene fatta mediante un nastro speciale di polimero termoindurente che viene inserito fra i tessuti da accoppiare, che vengono scaldati e compressi, così da aderire uno sull'altro. Grazie all’alta pressione esercitata dalla barra riscaldata, lo spessore nel punto di saldatura è quasi uguale alla somma dello spessore dei due tessuti. Si evitano così anche restringimenti, pieghe e punti di tensione che sono invece possibili problemi tipici delle cuciture Grazie all’alta pressione esercitata dalla barra riscaldata, lo spessore nel punto di saldatura è quasi uguale alla somma dello spessore dei due tessuti.

e) Quanta impermeabilità serve?
L'impermeabilità di un tessuto viene indicata con un numero di mm, pari all'altezza di una colonna d'acqua del diametro di 1 pollice, posta sopra un pezzo di tessuto, colonna che il tessuto riesce a sostenere prima che l’acqua possa penetrare attraverso di esso (di fatto, quindi, è una misura della pressione che il tessuto riesce a contenere). Solitamente si ritiene il tessuto penetrato quando riescono a formarsi sulla faccia opposta alla colonna una o più goccioline di acqua. Standard europeo con l’ISO 811:1981.
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Ora, consideriamo le precipitazioni:
pioggia debole = fino a 2 mm in un’ora pioggia; moderata = tra 2 e 6 mm/h; pioggia forte = oltre i 6 mm/h; rovescio = oltre i 10 mm/h; nubifragio = oltre i 30 mm/h.
Prendiamo l’esempio della pioggia peggiore, il nubifragio: precipitazione oltre i 30 mm/h, ossia dai trenta litri d’acqua per metro quadrato in un’ora, in su.
Quindi se una tenda ha 2000mm di colonna d’acqua, considerando 2000:30, idealmente resiste 66 ore sotto un nubifragio (“idealmente” perchè non consideriamo i fattori ambientali come il vento e l’angolazione del telo, e l’acqua non si accumula sopra il velo facendo una colonna ma scorre via). Si possono fare gli stessi conti con gli altri tipi di pioggia.
Attenzione: queste misure possono essere prese alla lettera solo nel contesto di un laboratorio, fuori le cose cambiano, perchè si aggiungono forze non calcolabili, come la spinta del vento, la massa di ogni goccia e l’angolazione di caduta, oltre che allo sporco sul velo o precedenti contatti con materiali non inerti.
Si comprende quindi che la colonna d'acqua sia una misura che, per quanto oggettiva, dà solo una stima teorica dell'impermeabilità di un tessuto, ma non può dare una risposta certa sulla compatibilità o meno di ogni tenda con ogni contesto considerato.
Si pensi che, nel campo dell'abbigliamento outdoor, il valore minimo per un prodotto da sci e snowboard è di 5.000 mm, corrispondente grosso modo alla pressione esercitata dal nostro peso quando ci si siede su una seggiovia bagnata o sulla neve.
Applicando quanto sopra alla tenda e pensando ad un utilizzo estivo in montagna, capirete che per un sovratelo potrà essere sufficiente un valore dai 3.000 mm, per il catino è il caso che i mm siano almeno 5.000. Se poi pensate ad un utilizzo invernale, meglio che il catino sia intorno ai 10.000 mm.
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Lavoro finito.
Ora buona lettura e buon divertimento in tenda a tutti
 

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Bè che dire complimenti per l'analisi ma una cosa volevo chiedere. Io sto per aquistare una tenda naturehike star river 2 oppure cloud up 2/3 e ho notato che ci sono sia in materiale 20D (che costa qualcosina in più) che 210T ....secondo voi qual'è il materiale migliore considerando impermeabilità resistenza e peso? Grazie tante
 
quei valori non hanno a che fare con l'impermeabilità.
T indica il numero di fili per pollice quadrato, quindi definisce la compattezza della trama del tessuto; D indica il diametro del filo utilizzato per creare il tessuto.
L'impermeabilità è data dal tipo e qualità delle spalmature dei tessuti e dall'eventuale presenza di sigillatura delle cuciture, tramite nastratura o altri sistemi.
 
posso dire la mia?
Se affronti la questione come un tecnico, allora Herr ti sconvolge con numeri, grafici etc. e ha ragione anche! Però è rischi di incasinarti tanto la vita così, perchè poi al comune mortale che non si caccia nei guai la differenza resta più blanda. Lui e quelli simili ne fanno un uso poco diff-uso. heheh
Cioè se vai nel bosco o sulle montagne entro i 2000 metri, con il bel tempo va bene un po' tutto; con il tempo variabile ti adatti anche con il materiale discreto. Col brutto tempo, la gran parte della gente in montagna non ci va, soprattutto con la tenda.
Poi si sa, arriva l'imprevisto e le lezioni di Herr diventano "ca..o, lo avevo letto, anche se non lo avevo capito". :lol:
 
No bè io vado in montagna con il bello e a volte brutto tempo, ma in questo caso faccio camminate basse .....la tenda l'ho ancora piantata dopo un temporalone con grandine ( ovviamente colto all'improvviso) e volevo capire un po che materiali sono migliori .....è vero è un casino per uno ignorante in materia come me ....infatti mi trovo un po in difficoltà nel leggere tutto quello che ha messo però tanto di cappello! Ma te per esempio cosa usi? Giusto da avere un parere più pratico che tecnico!
 
Secondo te quale sarebbe il materiale migliore?
Come peso sicuramente vince il nylon, che nel caso di Naturehike viene impropriamente indicato con 20D. Si tratta però di una differenza di poco conto rispetto al leggermente più pesante poliestere, indicato impropriamente con 210T.
Come impermeabilità, pare che sui teli in nylon Naturehike applichi una spalmatura leggermente più efficiente rispetto a quella che applica sui teli in poliestere, con una differenza di 1000mm a vantaggio del telo in nylon.
La differenza potrebbe essere nel trattamento esterno, che sul nylon vien fatto in silicone, mentre sul poliestere non si sa cosa mettano. L'interno dei teli è però in entrambi i casi trattato in PU. Resta da verificare se Naturehike ti dia le cuciture nastrate, perchè onestamente non ricordo e mi pare che non lo fossero... ma potrei sbagliare.
Come resistenza, il nylon è un po' meglio del poliestere, ma parte del vantaggio viene eroso dal fatto che si allunga da bagnato (quindi la tenda si affloscia) e che è abbinato ad una spalmatura in PU, materiale che ne riduce l'elasticità.
Se le cuciture fosser nastrate, proverei a prendere quella in nylon.
 
@Herr volevo farti una domanda
Può l'invecchiamento dei teli portarli a una maggiore rigidità e facilità di foratura?
Ho una cloud up 1 20d con su duecento notti o poco più , il catino è in 20d (pensavo fosse più spesso!) e ho notato nell'ultimo viaggio che si sono creati tanti microfori , ho come l'impressione che entrambi i teli siano diventati più rigidi , almeno al tatto.
 
@Herr volevo farti una domanda
Può l'invecchiamento dei teli portarli a una maggiore rigidità e facilità di foratura?
Ho una cloud up 1 20d con su duecento notti o poco più , il catino è in 20d (pensavo fosse più spesso!) e ho notato nell'ultimo viaggio che si sono creati tanti microfori , ho come l'impressione che entrambi i teli siano diventati più rigidi , almeno al tatto.
Ciao!
Sicuramente le fibre di nylon diventano più fragili, se diventino anche più rigide onestamente non lo so. So per certo che quando le fibre di nylon invecchiano, si sfibrano, quindi piccole tensioni o anche pieghe nette possono spezzare i fili e creare il buco nella trama.
Un po' come accade quando hai una vecchia Tshirt in cotone che, dopo anni di lavaggi, improvvisamente comincia a manifestare piccoli buchetti qua e là, non giustificati dall'essersi impigliati in qualcosa.
Considera che il nylon è igroscopico e può assorbire anche il 10% del suo peso in acqua quando esposto ad umidità o direttamente a contatto. E l'acqua si insinua tra le catene polimeriche divenendo un agente plastico. Il Nylon impregnato diventa piu malleabile e meno stabile dimensionalmente e sopratutto meno resistente. Un nylon bagnato perde dal 10 al 15% della sua tenuta meccanica e diventa piu malleabile.
Ovviamente esposto all'aria il tessuto si asciuga e l'evaporazione dell'acqua permette al materiale di recuperare le sue qualità iniziali... ma non del tutto. Infatti ogni volta che il tessuto assorbe acqua le fibre si gonfiano e si muovono e questo, soprattutto quando associato a tensioni applicate ai teli, provoca inevitabilmente un danneggiamento dei polimeri protettivi e delle trame di filatura. Le fibre asciugate perdono la stiratura iniziale e questo apre la via della porosità e perdita di resistenza.
 
@Herr
Al tatto sembra più rigido\secco, rispetto a da nuova, specie il catino.
Sull esterno no, ma sul catino anche le nastrature si stanno alzando, ma tengono ancora.
Si ho notato buchi sulle pareti del catino un po anomali, mi si è anche strappato il tessuto di una fettuccia (quelle dove incastri il palo e picchetti) , e stranamente di fianco alla cucitura, non è partita dalla cucitura stessa.
Insomma sappiamo quale sarà la prossima spesa:cry: , grazie :si:
 
@Herr
Al tatto sembra più rigido\secco, rispetto a da nuova, specie il catino.
Sull esterno no, ma sul catino anche le nastrature si stanno alzando, ma tengono ancora.
Si ho notato buchi sulle pareti del catino un po anomali, mi si è anche strappato il tessuto di una fettuccia (quelle dove incastri il palo e picchetti) , e stranamente di fianco alla cucitura, non è partita dalla cucitura stessa.
Insomma sappiamo quale sarà la prossima spesa:cry: , grazie :si:
:roll: ...condoglianze!
Scherzi a parte, 200 notti sulla groppa non sono poche.
In quanto tempo?
 
:roll: ...condoglianze!
Scherzi a parte, 200 notti sulla groppa non sono poche.
In quanto tempo?
La tenda l'ho presa marzo 2018 , ma 140\150 notti le ho fatte nell'ultimo anno, avrei potuto fare da tester per qualche azienda son più via che a casa ormai :rofl:
Si non sono poche, calcolando che costava 99 euro all'epoca, si è ampiamente ripagata .
 
Qui a cosa ti riferisci però? Non capisco.
errore mio, onestamente non so da dove mi sia venuta fuori...
La tenda l'ho presa marzo 2018 , ma 140\150 notti le ho fatte nell'ultimo anno, avrei potuto fare da tester per qualche azienda son più via che a casa ormai :rofl:
Si non sono poche, calcolando che costava 99 euro all'epoca, si è ampiamente ripagata .
Ripagata alla grandissima direi.
Ma la usavi con il sotto-telo o senza?
 
Ripagata alla grandissima direi.
Ma la usavi con il sotto-telo o senza?

Quasi sempre, a meno che sono sicuro di piazzarla sul bello, ma in bici è utopia non so mai dove finisco.

Il suo originale dopo un centinaio di notti l ho buttato era diventato trasparente! ora uso una membrana di quelle edili più robusta , pesa uguale ma non mi entusiasma se piove tende ad impegnarsi e non asciuga facilmente.

Senza sottotenda penso che a quest'ora per come la uso il catino era da buttare .
 
ok, chiaro. In effetti Naturehike fa pavimenti in 20D e sottoteli in 20D ed entrambi sono deboli.
Usi il Tyvek per il telobase fatto in casa?
 
Non sono riuscito a trovarlo, ho usato un prodotto simile, ma come scritto sopra aimé tende ad impegnarsi.
Da quello che leggo il tyvek originale non dovrebbe farlo , ora del prossimo viaggio vedrò di recuperarlo se no mi cerco un pezzo di nylon come l originale e amen tanto più di tre quattro mesi non sto via
 
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