Recensione Cacciatore raccoglitore genitore

Cacciatore raccoglitore genitore.jpg

Ciao a tutti,
Ho trovato questo libro durante le solite ricerche su Amazon, in genere quando leggo “best seller” su una copertina me ne tengo alla larga, ma in questo caso l’insieme di materie che mi interessano erano troppe e non ho saputo resistere. Ho 2 bambine, la passione per l’antropologia e le terre lontane, e ho sempre avuto la fissa per i popoli meno strutturati, i cacciatori raccoglitori appunto, piccoli gruppi di persone che non si fermano mai e che vivono a stretto contatto col loro ambiente naturale. Ma al di la di tutto ciò, i presupposti del libro sono troppo intriganti: una madre, una biologa mi pare, o comunque una ricercatrice di un certo calibro, con esperienza di viaggi in tutto il mondo e tantissime conoscenze personali tra antropologi, neuroscienziati e psicologi di fama mondiale diventa mamma. Da qui inizia il suo “calvario”, si accorge che la sua bimba non cresce in armonia col mondo che la circonda, i conflitti sono all’ordine del giorno, la sua vita diventa pesante, il rapporto con il suo partner difficile, lo stress e i meccanismi controproducenti che esso crea iniziano a prendere il sopravvento. Si sente per la prima volta un’incapace. Ad un certo punto, l’illuminazione; si ricorda delle famiglie che aveva incontrato in Africa, in sud America e in altri luoghi remoti, e non ricorda di aver mai visto nessuno sclerare con i figli, mai bambini fare capricci, mai scene di nervoso legate agli ambiti familiari. Così prende la difficile decisione di andare di nuovo a trovare quei popoli con la sua bimba di 3 anni allo scopo di capire il loro concetto di genitorialità.

Quello che vuole dimostrare il libro è il fatto che il sistema educativo occidentale moderno sia in assoluto uno dei più controproducenti in assoluto e come parta da presupposti totalmente sbagliati. Certo, si riferisce in particolare al mondo statunitense, ma da quello che leggo e vedo ogni giorno anche l’Europa non si sta discostando tanto da quel modello, e anche in Italia seppur con le dovute eccezioni ci stiamo arrivando purtroppo. Dunque un libro che ha confermato tante delle mie idee sulla genitorialità ( e sulla nostra società) ma che ne ha pure smentito tante, e che mi ha fatto aprire gli occhi su alcune cose che stavo palesemente sbagliando.

Gli spunti sono veramente tantissimi, e ci porteranno a guardare i bambini sotto un'altra luce. Naturalmente sarà anche doloroso constatare il fatto che le differenze sotto tantissimi aspetti siano incolmabili, e capire a quale tipo di mondo stanno andando incontro i nostri piccoli (cose che ovviamente capite già se fate parte di questo forum), ma ci sono sempre tantissime cose che si possono fare per migliorare il rapporto con i nostri figli, e il rapporto dei nostri figli con la realtà attuale. Trovo che sia una tematica di estrema importanza, forse la più importante in assoluto!
E' bello notare come dal sud al nord del mondo i principi base dell'educazione (ancestrale) siano gli stessi, come se ci fosse un solo modo per crescere un piccolo di umano collaborativo, responsabile e utile in senso positivo alla sua comunità.
Per farvi un esempio pratico, la prima cosa che veniva detto all'autrice in fatto di educazione è il fatto che l'educazione del figlio non è una questione che spetta alla mamma e al papà! Proprio così, avete presente la famiglia tipo: padre, madre e due figli (o uno) che vivono nel loro appartamento? Magari lontano dai nonni e dagli altri parenti? Magari col padre che torna tardi e la madre che si arrabatta da sola con il nuovo nascituro 24 ore su 24? Bene, questa è la cosa che quei popoli trovano più assurda. L'educazione, ma anche il mantenimento del bambino, riguarda la comunità e tutti hanno la loro importanza.
Cose appunto che ormai per noi sono quasi impensabili, chiusi come siamo nei nostri piccoli nuclei, quasi all'oscuro di chi vive al di la del pianerottolo. Che tristezza, eppure è la società che ci è stata costruita attorno che ci ha ridotto così, si può anche essere diversi ed impegnarsi per esserlo, ma la direzione che il mondo ha preso ormai da tanto tempo è quella.
Tanto per segnalare un aspetto che non mi è piaciuto tanto è appunto la struttura del libro un po' troppo in stile americano, che presenta anche varie ripetizioni di concetti che a mio parere non servivano. Ma la cosa più importante è capire i pochi concetti di base, e anche godersi il viaggio dentro queste famiglie così diverse e anche incredibilmente accoglienti nei confronti di una madre occidentale e della sua piccola viziata.
 
Non sono in grado di discutere le conclusioni ma trovo ingannevoli le premesse.

Una costante che emerge dello studio dei costumi degli antichi fino a tempi relativamente recenti è che la pulsione a procreare dei genitori è prettamente egoistica, ed egoistiche le motivazioni della gestione della famiglia nella maggior parte delle culture.

La definizione stessa di "proletariato" nasce proprio dall' idea di una fascia sociale la cui unica "ricchezza" era l'aver molti figli.

Figli che cominciavano a lavorare in un' età per noi infantile (possibile che l'autrice nei Paesi che ha osservato non si sia accorta dei bimbi - attenzione: "bimbi", non "minori" - al lavoro?

In tantissime culture ancora oggi e certamente nella nostra fino ad uno o due secoli fa i matrimoni erano concordati per gli scopi della famiglia, a prescindere da qualsiasi aspirazione dell' individuo.

Lo stesso per tante altre scelte importanti (come l' aspirazione di qualcuno ad avere un "figlio prete" o che prosegua l'attività artigianale del padre ecc ecc) che non sono affatto tipiche della società occidentale degli scorsi decenni ma un po' dovunque.

Puramente ideologica invece è l' affermazione che l' educazione non sia un fatto familiare ma sociale. E' ovvio il riferimento ad attuali correnti di pensiero, certo esiste da sempre un conflitto latente tra famiglia e società, per cui il figlio che sognavi di far diventare prete ti viene tolto e mandato a morire al fronte di chissà quale guerra o il ragazzo che ti aiutava a coltivare i campi portato via a fare tre anni di servizio militare ecc ecc

Per non parlare del desiderio di chi detiene il potere di inculcare "valori" nelle nuove generazione, vuoi che questi valori siano quelli della fede cattolica o del rispetto per l' Imperatore o magari la superiorità della razza ariana, o valori solidaristici unani, di classe, dei lavoratori ecc ecc

Valori che possono essere ignobili (come il razzismo) o straordinari (come la solidarietà) ma è chiaro che lo scopo di chi cerca di inculcarli è solo quello di mantenere il proprio potere, "spingendo" sui valori che stabilizzano la tenuta della sua parte politica / ceto dominante.

Ripeto: non discuto le tesi conclusive dell' autrice (non sono un educatore oltretutto), ma mi mette in guardia, rispetto al prosieguo, l' ipocrisia delle premesse, dove si cerca di spacciare quella che in realtà sono le conclusioni piuttosto comuni del pensiero educativo occidentale come nate dall' osservazione di altri popoli, per non parlare del titolo che vorrebbe alludere ad attitudini arcaiche, risalenti all' epoca di popoli primitivi.
 
Sembra che
Non sono in grado di discutere le conclusioni ma trovo ingannevoli le premesse.

Una costante che emerge dello studio dei costumi degli antichi fino a tempi relativamente recenti è che la pulsione a procreare dei genitori è prettamente egoistica, ed egoistiche le motivazioni della gestione della famiglia nella maggior parte delle culture.

La definizione stessa di "proletariato" nasce proprio dall' idea di una fascia sociale la cui unica "ricchezza" era l'aver molti figli.

Figli che cominciavano a lavorare in un' età per noi infantile (possibile che l'autrice nei Paesi che ha osservato non si sia accorta dei bimbi - attenzione: "bimbi", non "minori" - al lavoro?

In tantissime culture ancora oggi e certamente nella nostra fino ad uno o due secoli fa i matrimoni erano concordati per gli scopi della famiglia, a prescindere da qualsiasi aspirazione dell' individuo.

Lo stesso per tante altre scelte importanti (come l' aspirazione di qualcuno ad avere un "figlio prete" o che prosegua l'attività artigianale del padre ecc ecc) che non sono affatto tipiche della società occidentale degli scorsi decenni ma un po' dovunque.

Puramente ideologica invece è l' affermazione che l' educazione non sia un fatto familiare ma sociale. E' ovvio il riferimento ad attuali correnti di pensiero, certo esiste da sempre un conflitto latente tra famiglia e società, per cui il figlio che sognavi di far diventare prete ti viene tolto e mandato a morire al fronte di chissà quale guerra o il ragazzo che ti aiutava a coltivare i campi portato via a fare tre anni di servizio militare ecc ecc

Per non parlare del desiderio di chi detiene il potere di inculcare "valori" nelle nuove generazione, vuoi che questi valori siano quelli della fede cattolica o del rispetto per l' Imperatore o magari la superiorità della razza ariana, o valori solidaristici unani, di classe, dei lavoratori ecc ecc

Valori che possono essere ignobili (come il razzismo) o straordinari (come la solidarietà) ma è chiaro che lo scopo di chi cerca di inculcarli è solo quello di mantenere il proprio potere, "spingendo" sui valori che stabilizzano la tenuta della sua parte politica / ceto dominante.

Ripeto: non discuto le tesi conclusive dell' autrice (non sono un educatore oltretutto), ma mi mette in guardia, rispetto al prosieguo, l' ipocrisia delle premesse, dove si cerca di spacciare quella che in realtà sono le conclusioni piuttosto comuni del pensiero educativo occidentale come nate dall' osservazione di altri popoli, per non parlare del titolo che vorrebbe alludere ad attitudini arcaiche, risalenti all' epoca di popoli primitivi.
Sembra che tu sia fuori focus, tutti i difetti di educazione e di famiglia a cui ti riferisci sono proprio quelli estranei alle culture dei cacciatori raccoglitori. Cultura deriva dal verbo colere cioè coltivare, che sta proprio a significare come l'agricoltura sia il punto di svolta per la nascita di una società moderna e stanziale, che si separa definitivamente da uno stato di natura.
I piccoli gruppi di cacciatori raccoglitori che ancora miracolosamente esistono, seguono dinamiche diverse. Migliori o peggiori sono solo punti di vista. Ma quello che si voleva portare alla luce con questo libro è proprio quello, cioè cosa rimane di un educazione "primitiva" ancora oggi e cosa potremmo trarne di buono, con tutte le dovute differenze ed eccezioni.
 
Ignoro a quali studi autorevoli di antropologia culturale si rifaccia l' autrice, né sarei in grado di metterci bocca, ma tanto per mantenere vivo il dibattito mi piace citare la divergenza di conclusioni su un tema strettamente affine tra Mergaret Mead, che nel 1928 pubblicò uno studio sui samoani, e tale Derek Freeman che anni dopo (1983) ne confutò (o cercò di confutarne) le conclusioni.

Questo per dire che anche l' antropologia culturale è una conoscenza in divenire, e ciò che è stato ritenuto valido per decenni può essere improvvisamente messo in dubbio, se non definitivamente confutato, da uno studio successivo.

Sempre che, naturalmente, l'autrice si sia rifatta a studi autorevoli come quelli ora citati.

===

A chiunque interessi:

https://it.wikipedia.org/wiki/L'adolescente_in_una_società_primitiva
 
Ignoro a quali studi autorevoli di antropologia culturale si rifaccia l' autrice, né sarei in grado di metterci bocca, ma tanto per mantenere vivo il dibattito mi piace citare la divergenza di conclusioni su un tema strettamente affine tra Mergaret Mead, che nel 1928 pubblicò uno studio sui samoani, e tale Derek Freeman che anni dopo (1983) ne confutò (o cercò di confutarne) le conclusioni.

Questo per dire che anche l' antropologia culturale è una conoscenza in divenire, e ciò che è stato ritenuto valido per decenni può essere improvvisamente messo in dubbio, se non definitivamente confutato, da uno studio successivo.

Sempre che, naturalmente, l'autrice si sia rifatta a studi autorevoli come quelli ora citati.

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A chiunque interessi:

https://it.wikipedia.org/wiki/L'adolescente_in_una_società_primitiva
Ma certo che l'antropologia culturale è una conoscenza in divenire. Forse avrei dovuto chiarire che comunque questo libro non è un manuale di antropologia culturale, pur avendo vari riferimenti bibliografici di antropologia, pedagogia etc. È più un viaggio personale, senza pretese di scientificità, dunque lo si può prendere benissimo alla leggera e godersi la lettura.
Take it easy;)
 
Mi devi scusare, è un tema che sento molto, ancor più di attualità in questi giorni in cui piangiamo un bambino ammazzato da youtuber in preda alla frenesia di una sfida social.

Quello che mi fa male è sentire i pedagoghi a mio avviso primi responsabili del degrado culturale e valoriale delle nuove generazioni insistere nelle stesse ricette che ci hanno portato qui dove oggi ci troviamo come se non avessero fatto già abbastanza.

Magari la brava Doucleff non c' entra nulla in tutto ciò ma dubito assai che dalle premesse da cui parte riesca a dirigersi verso la giusta direzione.
 
Mi devi scusare, è un tema che sento molto, ancor più di attualità in questi giorni in cui piangiamo un bambino ammazzato da youtuber in preda alla frenesia di una sfida social.

Quello che mi fa male è sentire i pedagoghi a mio avviso primi responsabili del degrado culturale e valoriale delle nuove generazioni insistere nelle stesse ricette che ci hanno portato qui dove oggi ci troviamo come se non avessero fatto già abbastanza.

Magari la brava Doucleff non c' entra nulla in tutto ciò ma dubito assai che dalle premesse da cui parte riesca a dirigersi verso la giusta direzione.
Credimi che ti capisco benissimo, sono anch'io scioccato da quella notizia! E anche da altre simili. Tante volte preferirei non leggere le prime notizie perché mi fanno star male. Mi fanno odiare la realtà che ci circonda.
Se da un lato abbiamo quella notizia però, dall'altro abbiamo quella dei 4 bambini Indios, tra cui uno di 11 mesi, che riescono a sopravvivere da soli nella giungla, occupandosi l'uno dell'altro.
E' proprio quella notizia che mi ha fatto fare la recensione di questo libro. In quella storia si racchiudono molti dei concetti espressi nel libro della Doucleff.
Dunque non snobbarlo a priori, non sarà il miglior trattato sull'argomento, ma credimi che non troverai consigli sbagliati. E tante storie di famiglie che in varie parti del mondo mantengono ancora uno stile di vita molto diverso dal nostro.
Poi magari tu hai le tue idee che partono da punti di vista totalmente diversi, e sono sicuro che non siano sbagliate neanche le tue, magari una non esclude l'altra.
 
l'antropologia culturale è una conoscenza in divenire.
Tutta la conoscenza è in divenire; lo diceva Platone 2600 anni e più anni fa
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Mi devi scusare, è un tema che sento molto, ancor più di attualità in questi giorni in cui piangiamo un bambino ammazzato da youtuber in preda alla frenesia di una sfida social.
Onore a te, hai tutta la mia stima per i modi che usi.
 
Per una decina danni, tra il 1988 e il 1999, con la mia famiglia, (moglie, marito e due figli classe '82 e 84) abbiamo passato 4 settimane in Sardegna: prendevamo in affitto un piccolo appartamento in un "villaggio" costituito da seconde case di persone provenienti per lo più da Sassari: dopo un primo anno in cui i nostri figli, milanesi, erano guardati un pò come "alieni", dal secondo anno in poi i ragazzini dei villeggianti li "incorporarono" nel loro gruppetto...e fin qui niente di speciale, ma quello che ci stupì di più fu che "tutti erano figli di tutti", nel senso che se un bambino aveva sete, o aveva un impellente necessità fisiologica o si sbucciava un ginocchio o si pungeva con un cactus o aveva bisogno di gonfiare le ruote della biciclettina......, non c'era nessun bisogno che tornasse fino a casa sua: l'amichetto che abitava più vicino lo accompagnava nella SUA, dove mamma, papà o sorella o fratello maggiore risolvevano il problema, senza nessuna formalità ne cerimonia: l'importante era che l'amico dei loro figli potesse tornare a giocare il prima possibile....e non parliamo poi delle merende informalmente organizzate nella casa del panettiere del paese...insomma spontaneamente si veniva a creare, da un'estate all'altra, una comunità in cui i genitori nemmeno si conoscevano, al di là dell' essersi intravisti in spiaggia, ma che rendeva estrememente facile gestire una trentina di bambini...
Non so dire se questo dipendesse da abitudini ancestrali proprie della Regione...so solo che ha sempre funzionato perfettamente!
 
Posso solo esporre la mia esperienza personale in merito.
Sono nato in una isola con poco meno di mille abitanti...alla fine degli anni '60.Siamo cresciuti,io ed i miei coetanei, molto "liberi". Non esistevano i pericoli odierni di traffico,delinquenza diffusa o altro,si giocava per strada ed ovunque capitasse.
Una cosa che comunque è rimasta impressa a tutta la mia generazione é che qualsiasi adulto ,passasse anche per caso dove stavamo facendo i fatti nostri,si sentiva in dovere (e in diritto) di sgridarci nel caso lo ritenesse giusto. Noi accettavamo (anche se con un certo sforzo)questa situazione di vigilanza allargata.E questo veniva visto come naturale in un ambiente dove tutti conoscevano tutti.Allo stesso modo ricordo dei bei pomeriggi passati con il nonno dell'uno o dell'altro amichetto, mentre ci spiegava i vari lavori dei campi e dell'artigianato contadino,come intrecciare cesti o pescare una specie o l'altra di pesce.
Ora provateci a muovere un rimprovero a qualche ragazzo "ineducato" incontrato per strada....se vi va bene vi prendono a male parole,altrimenti potreste anche rischiare una coltellata !

In ambienti "ristretti"ed isolati credo che le teorie esposte possano avere riscontro,nel nostro ambito la vedo dura...
So che la mia é una visione molto semplicistica della questione,ma mi è tornata alla memoria proprio leggendo sopra di una "educazione collettiva ". ...
 
anche io (sono del 1960) sono cresciuta così, in estate dai miei nonni. Un paesino di mare dove tutti erano imparentati e noi ragazzini passavamo il tempo nei vicoli, in piazzetta o in spiaggia, con l'illusione di essere completamente liberi eppure sottoposti alla continua vigilanza dell'intero paese.
Qualunque emergenza, un taglio, una brutta caduta, anche solo una sete pazzesca e bastava chiedere al primo adulto del paese (bisognava lasciare stare i "foresti") e tutto veniva rapidamente risolto. Se combinavamo qualcosa ci seguiva l'urlo (in dialetto naturalmente che non so riprodurre): lo so chi siete e lo dico ai vostri se non la piantate subito!
Persino io che in effetti vivevo tutto il resto dell'anno lontana da lì e credevo di essere sconosciuta non facevo altro che sentirmi dire: ah, si, te tei la fanta da XXXX, lo sai che siamo parenti? (dove XXXX è il nome di mia mamma naturalmente :p)
 
Sono due situazioni abbastanza diverse: il villaggio dove andavamo negli anni '90 non aveva una popolazione residente, le circa 250 villette mono- e bi-familiari venivano abitate nel periodo delle vacanze scolastiche, giugno-settembre, la comunità dei ragazzini era "precaria" e di problemi disciplinari ce n'erano veramente pochissimi (ricordo una battaglia con gavettoni che degenerò con l'uso delle manichette per innaffiare...SPRECO D' ACQUA giustamente non tollerato e che portò ad una dura reprimenda) , una banda di ragazzini stanziali, per noia o per la naturale tendenza dei giovani "ad esagerare" poteva probabilmente rendere necessari molteplici e vari interventi da parte degli adulti.
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  • Ecco come può andare a finire OGGI, un rimprovero che 50 anni fa sarebbe stato accettato ad occhi bassi: CdS 19/06/2023

Aggredito per un rimprovero, muore imprenditore assalito da ragazzini​

di Fulvio Bufi
Giovanni Sasso era stato spinto a terra da un 17enne al quale aveva detto di non sporcare la strada con i gusci delle arachidi. Si è spento dopo nove giorni di agonia. Rintracciati i colpevoli
Aggredito per un rimprovero, muore imprenditore assalito da ragazzini

L’imprenditore Giovanni Sasso
Giovanni Sasso mostrava decisamente meno dei suoi 48 anni. Aveva due figli ancora piccoli e una compagna spesso al suo fianco nell’attività dell’autosalone che gestiva a Cellole, in provincia di Caserta . Oggi chi lo ha conosciuto lo descrive innanzitutto come una persona per bene. E certo non poteva mai immaginare che proprio un gesto da persona per bene, da chi rispetta le regole a cominciare da quelle più elementari del vivere civile, e chiede agli altri di fare altrettanto, potesse costargli la vita.

Quei ragazzini e i gusci di arachidi a terra​

Invece è andata proprio così. Giovanni Sasso è morto ieri in un letto del reparto di rianimazione del Pineta Grande Hospital di Castel Volturno, dove era ricoverato dalla sera dello scorso 9 giugno. Quel giorno la giornata di lavoro all’autosalone di Cellole stava avviandosi verso la conclusione. Qualche collaboratore aveva già spento il pc ed era andato via, lui invece era ancora in giro tra l’ufficio e l’area dell’esposizione. Da lì ha visto due ragazzini fermi sul marciapiede proprio davanti a una delle sue vetrine. Mangiavano arachidi e gettavano i gusci a terra, e le arachidi, si sa, non si smettono mai di mangiare, mica ci si ferma dopo una o due. E quelli non smettevano mai di sporcare.



Il rimprovero e l’aggressione​

Giovanni li ha osservati da dietro i vetri per qualche minuto, per vedere se si fermassero da soli, poi, visto che continuavano, ha deciso di intervenire. È uscito e li ha rimproverati , ma senza nessuna aggressività, hanno poi riferito alcuni testimoni, anzi, con l’unico tipo di approccio che può usare un uomo della sua età rivolgendosi a due minorenni: quasi paterno. Ma la reazione non è stata altrettanto misurata. Quelli non solo hanno continuato a mangiare noccioline e a spargere i gusci dappertutto, ma lo hanno pure mandato a quel paese. A quel punto i toni si sono alterati, Giovanni ha alzato la voce ma neppure questo ha intimidito i due. Anzi, uno è passato direttamente allo scontro fisico, spingendo violentemente Sasso che è caduto e ha battuto la testa. E immediatamente ha perso i sensi.

Un’agonia di nove giorni​

Nel frattempo era uscita in strada anche Teresa, la compagna di Giovanni, che per prima si è resa conto della situazione e ha subito chiamato i soccorsi. Ma nemmeno la tempestività dell’intervento è bastata. Sasso è arrivato al pronto soccorso della clinica Pineta Grande già in coma. Aveva un’ampia frattura alla base del cranio e non ha mai più ripreso conoscenza. Per nove giorni i medici hanno fatto tutto il possibile affinché si riprendesse, e parenti e amici hanno pregato che ci riuscissero. Ma niente: ieri Giovanni è morto.

@daedin:tu che sei ancora nella scuola (mia moglie è in pensione da parecchi anni) come li vedi i tuoi alunni?

Rintracciati i colpevoli​

Nel frattempo i carabinieri avevano identificato e rintracciato i due giovanissimi coinvolti nella lite e individuato il responsabile dell’aggressione che ha avuto conseguenze fatali. Ha diciassette anni e ora sarà la Procura del Tribunale per i minorenni di Napoli a stabilire quale reato contestargli, probabilmente omicidio colposo, ma non è esclusa l’ipotesi dell’omicidio preterintenzionale.

«Stupida violenza»​

«Giovanni Sasso è morto perché era una persona per bene», commenta padre Maurizio Patriciello, il parroco del Parco Verde di Caivano, che prosegue parlando di «banalità del male» e «stupida violenza» in «una società sempre più smarrita». Direttamente a Sasso si rivolge invece, attraverso i social, il sindaco di Cellole, Guido Di Leone: «Che peccato Giova’», scrive. E aggiunge: «Ogni parola è superflua. Meglio meditare in silenzio, nel dolore e nel rispetto».
 
Ultima modifica:
@daedin:tu che sei ancora nella scuola (mia moglie è in pensione da parecchi anni) come li vedi i tuoi alunni?

io?
per mia fortuna dal primo settembre nella scuola non ci sarò più, è arrivata l'agognata pensione! ^_^

Quanto ai ragazzi l'ho scritto tante volte, se una volta in una classe di 25 studenti (fesseria oggi sono sempre di 30 le classi... :p) c'erano due tre "testoline matte" e il resto più o meno a modo ora non dico che la proporzione s'è totalmente ribaltata ma quelli a modino sono ridotti a un terzo (8 su 25) quando va bene...
Spesso tra l'altro se sono pure ragazzi timidi, poco espansivi, minuti possono anche essere oggetto di spiacevoli attenzioni da parte dei bulletti.

Il problema secondo me nasce non solo dall'idea che: devi vincere e che il secondo è solo il primo dei perdenti; devi essere e sei il migliore perché sei il cocchino di mamma, papà, nonni e nonne che sin troppo spesso non hanno altri in famiglia da coccolinizzare.
Per me il problema nasce soprattutto dal fatto che sono iperprotetti, non sanno assumersi alcuna responsabilità perché ci sono sempre "i grandi" a farlo per i loro pargoletti d'oro che crescono così, come delicati e fragili fiori di serra che si stracciano al primo refolo di vento della vita vera; le hanno sempre vinte e quindi non ammettono che ci sia nel mondo chi non gli riconosca il loro diritto!
Diritto che però, spesso, diritto non è. Se a casa ti danno tutto anche se non lo chiedi, il tuo compagno non è tenuto a darti i suoi strumenti (penne, matite, quaderni, fogli, libri, calcolatrici, cellulare, spiccioli o più ecc ecc ecc) soprattutto se li pretendi e non li chiedi gentilmente e usando le paroline magiche "per favore" "per piacere" e ringraziando quando vengono concessi e non è neppure tenuto a farti copiare i compiti assegnati per casa o dichiarare di avere lavorato con te in gruppo quando non è vero o passarti la verifica.

No signori, non insegno alle elementari ma alle superiori, dalla prima alla quinta e non crediate che in quinta certe cose siano risolte.

A questo si aggiunga, e questa mi spiace ma è un'altra mancanza delle famiglie perché non sono cose che possono essere insegnate a scuola e spesso deriva dall'essere figli unici o di genitori divorziati che li viziano per usarli contro l'altro genitore, che non hanno strumenti emotivi e dialettici per gestire rabbia, delusione, frustrazione o per difendere verbalmente i loro presunti diritti o perorare il loro punto di vista e si arriva direttamente alla clava...

ma io sono vecchia, sembra che i metodi "antichi" nella scuola siano da eradicare totalmente, oggi si usa portarli per la manina come se avessero ancora 6 anni, a scusarli, ad "aiutarli" aumentando i voti altrimenti, poveri cucciolini, si turbano con un quattro perché non sanno un tubo di niente... Così crescono credendo che quelle tre fesserie pure sbagliate che ti raccontano alle interrogazioni sono giuste e sufficienti! perché i cinque sono una sufficienza e si è promossi esatto? ^_^

nella mia scuola il preside voleva eliminare i tre, perché dire che uno è insufficiente basta... perciò dato che poi i 5 diventano sei... resterebbero solo i quattro.. secondo voi perché dovrebbe bastare il quattro per valutare le insufficienze e dal 6 (5) al 10 per le sufficienze?

Naturalmente mi opposi, il tre è rimasto perché feci notare come il solo quattro non potesse differenziare chi consegna in bianco da chi almeno ha provato, pur sbagliando, a scrivere qualcosa in un compito... Almeno quello sono riuscita a farlo, perché i colleghi avendo me alla testa si accodarono, ma se non sono quelli che vanno in pensione a fare certe difese, non le fa più nessuno.

Ah già.. vero, non bisogna esser meritocratici; non servono le valutazioni e i voti, si va per competenze... peccato però che nelle pagella a fine anno non ci sono le competenze e chissà perché i paesi anglosassoni che hanno generato questo sistema però si prendevano sempre i nostri diplomati e laureati... E infatti, tranne poche eccezioni che una volta avrebbero brillato e oggi sono a livello di quello che una volta era una sufficienza risicata, il resto è incapace di comprendere il testo e risolvere il problema assegnato.

Eh si, la maggioranza dei problemi nasce dal fatto che (sempre tranne qualche eccezione ma io parlo della maggioranza) non sanno leggere! E non sanno scrivere! E non sanno fare di conto! e piantatela di dirmi che però alle elementari fanno tante cose e sono fatte bene!

Se a 18 anni sillabi e non riesci a leggere una parola di più di 4 sillabe, se non sai cosa sia la punteggiatura, se non sei in grado di leggere un testo in corsivo né di firmare in corsivo (sigh!), se non sai dire con parole tue quello che hai appena letto, se non sai mettere in colonna e fare una somma con dei decimali, non conosci la differenza fra la virgola decimale e il punto delle migliaia, fare divisioni per 2 e divisioni e moltiplicazioni per 10, 100 e 1000 senza una calcolatrice SEI UN ANALFABETA FUNZIONALE!!!!!! (va beh... escludendo chi ha effettivi problemi certificati che comunque una volta si riusciva sempre ad ovviare ed oggi invece no, non si sa perché!)

E mi dispiace, non è possibile per la legge delle probabilità che nelle mie classi ci sia un terzo degli studenti con una qualche certificazione DSA. I medici dovrebbero vedere di accendere un po' il cervello e non solo il portafoglio quando le compilano! Io, è vero, non sono un medico, ma lo vedo per esperienza quando qualcuno ha degli evidenti problemi e quanti invece ci marciano per essere esentati da buona parte del lavoro!
 
Ultima modifica:
...non è possibile per la legge delle probabilità che nelle mie classi ci sia un terzo degli studenti con una qualche certificazione DSA. ...
Apprendo con sorpresa di una simile situazione, anche supponendo che si tratti di un fenomeno circoscritto (probabilmente no) è una spia dei rapporti tra scuola e famiglia.

Se, come immagino, i bambini (ragazzi) con DSA hanno un trattamento particolare, per qualche motivo "appetibile" dal punto di vista dei genitori, potrebbe essere semplicemente un tentativo di accaparrarsi le "utilità" (vere o presunte) conseguenti.
 
Apprendo con sorpresa di una simile situazione, anche supponendo che si tratti di un fenomeno circoscritto (probabilmente no) è una spia dei rapporti tra scuola e famiglia.

Se, come immagino, i bambini (ragazzi) con DSA hanno un trattamento particolare, per qualche motivo "appetibile" dal punto di vista dei genitori, potrebbe essere semplicemente un tentativo di accaparrarsi le "utilità" (vere o presunte) conseguenti.

da dislessico, ho notato una cosa: ci sono vari casi di dsa che rifiutano la certificazione perche' si sentono umiliati dalla diagnosi (come se uno decidesse di essere dislessico...), e altri che invece fanno di tutto per averla anche se non lo sono. e altri che lo sono, ma se la certificazione dice x, loro la applicano per x^n con n > 1
 
ma io sono vecchia, sembra che i metodi "antichi" nella scuola siano da eradicare totalmente, oggi si usa portarli per la manina come se avessero ancora 6 anni, a scusarli, ad "aiutarli" aumentando i voti altrimenti, poveri cucciolini, si turbano con un quattro perché non sanno un tubo di niente... Così crescono credendo che quelle tre fesserie pure sbagliate che ti raccontano alle interrogazioni sono giuste e sufficienti! perché i cinque sono una sufficienza e si è promossi esatto?
Sul fatto dell'aiuto eccessivo condivido in pieno, perché molti genitori sono troppo permissivi.
Sui voti si potrebbe aprire una discussione a parte, per la mia esperienza non è che adesso siano troppo buoni.
Ho fatto lo scienze applicate, e i voti sopra l'8 li avevo solo in educazione fisica (perché ero in nazionale di tiro con l'arco, sennò anche lì te li dovevi sudare i bei voti). E se dovevano mettere 3 lo mettevano.

La sensazione era che se sbagliavi non si facessero problemi a segnare un brutto voto, mentre per guadagnarti quelli belli... Beh non potevi, massimo massimo arrivavi al 9, dopo contestavano cose ridicole pur di non mettere 10.

Esempio, nelle verifiche sulla geologia non ho mai preso più di 7. All'uni 30 e lode. In zoologia mai più di 7.5, all'uni 28, nell'esame più difficile del corso.
Alla maturità ci hanno fatto fare un elaborato risolvendo un problema di matematica applicata in fisica. Bene, non ce l'hanno chiesto all'orale e ci hanno tartassato solo di domande su materie umanistiche.
Due domande me le sono fatte...
Eh si, la maggioranza dei problemi nasce dal fatto che (sempre tranne qualche eccezione ma io parlo della maggioranza) non sanno leggere! E non sanno scrivere! E non sanno fare di conto! e piantatela di dirmi che però alle elementari fanno tante cose e sono fatte bene!
Questo è vero, ma non è esclusivo dei ragazzi di oggi. Anche molti quarantenni/cinquantenni se gli fai fare qualcosa di più difficile che vedere il grande fratello non ci riescono.
(va beh... escludendo chi ha effettivi problemi certificati che comunque una volta si riusciva sempre ad ovviare ed oggi invece no, non si sa perché!)
A sentire mio padre una volta gli dicevano "sei una capra, va a zappare la terra piuttosto" e fine della storia.
Se, come immagino, i bambini (ragazzi) con DSA hanno un trattamento particolare, per qualche motivo "appetibile" dal punto di vista dei genitori, potrebbe essere semplicemente un tentativo di accaparrarsi le "utilità" (vere o presunte) conseguenti.
I DSA di solito hanno più tempo per le verifiche o possono tenere degli schemi (ovviamente controllati prima dai prof).

Non credo che tutte le famiglie spendano 400 euro per avere le agevolazioni per finta.
 
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