Camminare serve a fermarsi ; fermarsi serve ad agire.

Se c'è un lato positivo nell'età che avanza, questo è la consapevolezza.
Guardare se stessi, guardare gli altri, guardare le cose, guardare le idee con un maggior distacco e quindi obiettività, ciò che consente di mettere a fuoco, di immergersi nella vita ma senza lasciarsene trascinare (che sono due cose diverse).
Tra le varie sfaccettature della consapevolezza, sicuramente quella del tempo è predominante. Sembra un gioco di parole, ma il tempo fa apprezzare e capire il tempo : in un certo senso è un bell'esempio di causa resa chiara dal proprio stesso effetto.
E per quanto possa sembrare banale, in poche cose riesco a provare ciò in modo così tangibile e concentrato - anche in pochi minuti - quanto nel cammino disperso e solitario in luoghi che mi vado a cercare apposta, mai frutto del caso.
Succede a un certo punto - prima, dopo, ma può accadere anche subito - che dal profondo si faccia strada ed affiori in superficie l'istinto di fermarsi. Dico "istinto" e non "bisogno" perchè questo non accade per un banale senso di fatica, ossia non sono le gambe a chiederlo (fosse per loro, proseguirebbero indisturbate), nè il fiato (che ancora c'è) ; ma la richiesta - se così si può chiamare - proviene da qualche altra parte. Da qualcosa di più interno e profondo, forse dal cuore, forse dalla mente, in ogni caso dall'animo.
Sta di fatto che non c'è nessun motivo razionale o fisiologico per un desiderio di sosta che subito, appena lo assecondo senza opporgli resistenza, mi rendo conto essere esclusivamente l'istinto di "vivere" certi istanti, sequestrandoli, imprigionandoli, e conservandoli in modo irreversibile, come se ne dovessi fare un'endovena per inocularli direttamente nel sangue.
E così, quando ciò avviene, tutte le volte mi fermo.
A quel punto il cammino assume un altro aspetto, e sembra quasi che altro non fosse che il preliminare, l'innesco necessario a provare quell'istinto di fermarsi. Fermarsi senza alcuno scopo o ragione. Un istinto destinato a rimanere altrimenti, in qualsiasi altra normale situazione quotidiana, sempre ignorato o, peggio, soffocato.
La sensazione che si prova fermandosi è un po' indefinibile, ma comunque sorprendente e paradossale : quella di recuperarlo, il tempo, di dilatarlo, di intensificarlo, di saturarlo...tutto fuorchè quella di buttarlo o di perderlo, ciò che sembrerebbe secondo logica.
Se proprio si volesse condensare il tutto in una parola, si potrebbe definire "contemplazione" : un termine che solo a tirarlo fuori si viene guardati strano come marziani ; forse addirittura eretico per l'uomo moderno divenuto obbediente alla legge del "fare", alla concezione e all'idolatria dell'azione ; o tutt'al più - con un po'di magnanimità - qualcosa di eccentrico buono per asceti, eremiti o cultori di yoga, gente che appunto ha "tempo da perdere", le tipiche eccezioni il cui ruolo sta nel confermare la regola.
Invece quel tipo di "sosta senza utilità" è l'esatto opposto del "perdere" tempo, anzi ne è la forma di cattura più geniale.
Equivale ad appostarsi nel punto di maggior restringimento della clessidra, nella strozzatura dove l'inesorabile sabbia è costretta ad assumere la sua forma più granulare e distinguibile.
Lì si possono distillare singoli attimi, concentrare intere esperienze, trasformarle in ricordi e sedimentarli ; si possono percepire sensazioni dimenticate o mai provate, come ad esempio quella di sentirsi un semplice essere vivente tra miliardi (curioso, vero ?) e, ancor più, quella di essere parte di un tutto.
E infatti la dimensione contemplativa costituiva quella "normale" dell'uomo antico, poi abiurata da quello moderno che se ne è automutilato. Col risultato - come scriveva Alberto Moravia in un saggio, "L'uomo come fine" - di un'emorragia che lo porta a sentirsi perennemente affamato di qualcosa di inafferrabile che è semplicemente la sua stessa energia. Resa da una bellissima metafora : "per ritrovare un'idea dell'uomo, ossia una vera fonte di energia, bisogna che gli uomini ritrovino il gusto della contemplazione. La contemplazione è la diga che fa risalire l'acqua nel bacino. Essa permette agli uomini di accumulare di nuovo l'energia di cui l'azione li ha privati".
In altri termini, la contemplazione è necessaria all'azione, è il suo stesso presupposto. L'antiemorragico. Volendo aggiungere un'altra metafora, la contemplazione è ciò che permette di sedimentare la posa sul fondo di quella bottiglia perennemente agitata che è la vita.
Innumerevoli volte mi è risuonata questa riflessione letta molti anni fa, e via via divenuta sempre più tremendamente valida : "L'uomo moderno fa le cose in fretta per non perdere tempo ; ma poi non sa che fare del tempo guadagnato, se non ammazzarlo" (Erich Fromm, L'Arte di amare").
E' proprio così : al giorno d'oggi si riesce ad ammazzare il tempo due volte. La prima quando, girando come trottole o formiche impazzite, lo si sacrifica sull'altare di un vortice di azioni che mai corrispondono alla nostra reale volontà e ai desideri più profondi (perchè "si deve pur campare") ; la seconda quando, sistemata la questione del campare e quindi finalmente liberi da tali azioni, il tempo resta qualcosa che non si sa neppure come "impiegare". E allora, appunto, va ammazzato. FB è un'arma perfetta per il delitto.

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Le foto sono ovviamente a puro beneficio dell'obiettivo e della condivisibilità, e sono servite solo a riprodurre (ma in modo del tutto fedele) un piccolo campionario di momenti molto più numerosi e del tutto indipendenti dalla macchinetta.
Anzi, in un certo senso, quei momenti sono proprio l'antitesi delle foto stesse : parafrasando la nota definizione di cultura ("ciò che resta dopo che si è dimenticato tutto quanto studiato"), mi verrebbe quasi da definire la vita come "ciò che resta dopo che si sono distrutte tutte le foto", o dopo non averne mai scattate.
 

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Ciao @Henry Thoreau scusa se non ti rispondo per le rime ma non posseggo la tua medesima capacità descrittiva e introspettiva.
Comunque sei riuscito a rendere visibile quello che provo anche io da tempo. Disagio per il quale stento a trovare una soluzione. E la soluzione eccola qui: fermarsi, vedere, vivere invece di essere vissuti.
Suggestiva e oltremodo vera la metafora della clessidra, quasi una massima di vita.
Ciao, Marco
 
Partirei dalla citazione di Fromm, che a mio avviso è una trappola linguistica:

"L'uomo fa le cose in fretta per non perdere tempo" NO: l'uomo fa in fretta le cose che non gli piacciono per non perdere tempo in cose che lo annoiano / disgustano / irritano ecc ecc Non conosco nessuno che si attardi in mansioni di cura della casa come lavare i pavimenti per godersi l'istante che sta vivendo. L'idea è: se devi mangiare merda buttala giù in fretta, non stare lì ad assaporarla.

"Poi non sa che fare del tempo guadagnato, se non ammazzarlo" "Ammazzare il tempo" è un undertstatement... io dico che sono qui sul forum per "ammazzare il tempo" ma in realtà vi trovo piacere altrimenti... ammazzerei il tempo in un altro modo!

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Sullo star bene con sé stessi in solitudine in ambiente naturale: credo che stare in certi luoghi sia come una sorta di ansiolitico naturale che ci aiuta a sgombrare la mente dalle banalità quotidiane e ad andare oltre con il pensiero o anche solo non pensare a nulla e "godersi il momento"... è solo un aiuto, credo che con un po' di allenamento non ci sia bisogno di andare così lontano per ritrovarsi... ho letto di un personaggio (quindi è una storia di fantasia) che, pur non essendo cattolico, va per riflettere nelle chiese cattoliche dove (almeno in certe ore) regna il silenzio e la penombra...

...insomma ciascuno di noi può ritagliarsi il suo angolino "fuori dal mondo" anche in luoghi più a portata di mano perché esser fuori dal mondo è uno stato d'animo, un monaco buddista ci riesce anche in mezzo alla folla, noi probabilmente no, ma forse non c'é bisogno di recarsi veramente in un luogo sperduto per farlo...
 
Fermarsi per me è proprio un bisogno sicuramente mentale prima che fisico.

Mi vengono in mente dei passaggi che scriveva Ivan Illich in "Disoccupazione creativa" (1978): "Veniamo a trovarci, per la maggior parte del tempo, senza contatti con il nostro mondo, senza possibilità di vedere coloro per i quali lavoriamo, senza alcuna sintonia con ciò che sentiamo. [...] Perdiamo di vista le nostre risorse, perdiamo il controllo sulle condizioni ambientali che le rendono utilizzabili, perdiamo il gusto di affrontare con fiducia le difficoltà esterne e le ansie interiori. [...] In ogni parte del mondo si vede dilagare quella disciplinata acquiescenza che caratterizza lo spettatore, il paziente e il cliente. Aumenta rapidamente la standardizzazione del comportamento umano. [...] Non c'è quasi alcuna comunità al mondo che non si ponga esattamente la medesima scelta cruciale: o continuare ad essere mere cifre nella folla condizionata che è sospinta verso una sempre maggior dipendenza (ed essere così costretti a feroci lotte per strappare la propria razione di droga), o trovare quel coraggio che è l'unica possibilità di salvezza in una situazione di panico: il coraggio di restare fermi e di guardarsi attorno alla ricerca di una via di scampo diversa da quella su cui tutti si precipitano perché c'è scritto 'uscita'."

Fermarsi è un bisogno di qualsiasi essere umano, a maggior ragione di quello che vive immerso nella società moderna.
 
Ciao @Henry Thoreau scusa se non ti rispondo per le rime ma non posseggo la tua medesima capacità descrittiva e introspettiva.
Comunque sei riuscito a rendere visibile quello che provo anche io da tempo. Disagio per il quale stento a trovare una soluzione. E la soluzione eccola qui: fermarsi, vedere, vivere invece di essere vissuti.
Suggestiva e oltremodo vera la metafora della clessidra, quasi una massima di vita.
Ciao, Marco

Ora non ho tempo né modo di riprendere varie osservazioni interessanti fatte da molti, quindi per il momento rispondo solo a te con l'invito a ritrattare la prima frase (altrimenti sarei io a rispedirla al mittente).
Il problema, semmai, è che potrebbe pure sembrare (o sembrar"ti") verosimile, ma in questo dimostrerebbe e sarebbe la controprova di un certo effetto "atrofizzante" che nel tuo caso specifico potrei riassumere in : "troppe Ikee, meno idee" :lol: ;) Cioè addio spermatozoi mentali...:D
Scherzo, eh !

Ciao :)
 
Fermarsi per me è proprio un bisogno sicuramente mentale prima che fisico.

Fermarsi è un bisogno di qualsiasi essere umano, a maggior ragione di quello che vive immerso nella società moderna.

Direi che promette bene e porta al mulino delle mie/tue parole almeno tutta quell'acqua là davanti … avrei potuto tranquillamente aggiungerla alle foto mie :D
 

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Direi che promette bene e porta al mulino delle mie/tue parole almeno tutta quell'acqua là davanti … avrei potuto tranquillamente aggiungerla alle foto mie :D
Haha, mi sa che hai colto l'unico istante in cui era ferma in apparente contemplazione. Non è proprio nella sua indole "fermarsi" se non quando è distrutta, ed è giusto così. Mentre i grandi si fermano per necessità (mentale e/o fisica), i bambini sono caratterizzati dal movimento, dalla scoperta, "fermarsi" non è nel loro vocabolario.
Poi c'è anche chi non si ferma mai e questi sono i bambini che diventando grandi non dimenticano il bambino che sono, ma sono così rari che tra tutti i 110 miliardi di esseri umani che hanno abitato la Terra dall'alba dell'uomo penso ce ne siano stati solo una manciata e molti di loro erano considerati "pazzi".
 
Poi c'è anche chi non si ferma mai e questi sono i bambini che diventando grandi non dimenticano il bambino che sono, ma sono così rari che tra tutti i 110 miliardi di esseri umani che hanno abitato la Terra dall'alba dell'uomo penso ce ne siano stati solo una manciata e molti di loro erano considerati "pazzi".

Tu sei uno di questi ? "Non riesco a stare fermo" : parole tue :D
:)

Mi vengono in mente dei passaggi che scriveva Ivan Illich in "Disoccupazione creativa" (1978):

Mi sono incuriosito su questo autore, e appena ho visto che la sua opera principale era "Descholing Society" ("Descolarizzare la società. Una società senza scuola è possibile ?").... ho capito tutto ! :biggrin: :p

"La più radicale alternativa alla scuola sarebbe una rete, o un servizio, che offrisse a ciascuno la stessa possibilità di mettere in comune ciò che lo interessa in quel momento con altri che condividono il suo stesso interesse".
Proprio questo sito non è in fondo un esempio perfetto (e certo anche perfettibile) di ciò ?
 
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Sicuramente l uomo immerso nella societá ha dei vantaggi enormi ma anche grandi fregature per usare un eufemismo allora semplificando
da giovani bisogna divertirsi anche in modi stupidi e bisogna andare a scuola poi bisogna lavorare bisogna fare figli bisogna correre (in senso generale) bisogna quello e quell altro sono stanco non ho tempo per me ma mi sento realizzato ho una carriera due figli che fanno sudare sette camice il mutuo di 20 anni per una casa bella grande da pagare la casa l auto da pulire.. che si puo chiedere di meglio?
Poi avanza sempre una mezz oretta per "svagarsi" su FB..
Sicuramente un tempo non c era molta scelta si lavorava tutto il giorno per soppravvivere ma oggi.. Ci si potrebbere prendere tempo per se stessi.
Non mi interessano per nulla personalmente le discipline orientali appartengono a un altro mondo
ma a volte mi sembrano più folli quelli quelli che fanno un escursione come una marcialonga come andare a lavorare senza fermarsi a scrutare la natura
 
Se c'è un lato positivo nell'età che avanza, questo è la consapevolezza.
Guardare se stessi, guardare gli altri, guardare le cose, guardare le idee con un maggior distacco e quindi obiettività, ciò che consente di mettere a fuoco, di immergersi nella vita ma senza lasciarsene trascinare (che sono due cose diverse).
Tra le varie sfaccettature della consapevolezza, sicuramente quella del tempo è predominante. Sembra un gioco di parole, ma il tempo fa apprezzare e capire il tempo : in un certo senso è un bell'esempio di causa resa chiara dal proprio stesso effetto.
E per quanto possa sembrare banale, in poche cose riesco a provare ciò in modo così tangibile e concentrato - anche in pochi minuti - quanto nel cammino disperso e solitario in luoghi che mi vado a cercare apposta, mai frutto del caso.
Succede a un certo punto - prima, dopo, ma può accadere anche subito - che dal profondo si faccia strada ed affiori in superficie l'istinto di fermarsi. Dico "istinto" e non "bisogno" perchè questo non accade per un banale senso di fatica, ossia non sono le gambe a chiederlo (fosse per loro, proseguirebbero indisturbate), nè il fiato (che ancora c'è) ; ma la richiesta - se così si può chiamare - proviene da qualche altra parte. Da qualcosa di più interno e profondo, forse dal cuore, forse dalla mente, in ogni caso dall'animo.
Sta di fatto che non c'è nessun motivo razionale o fisiologico per un desiderio di sosta che subito, appena lo assecondo senza opporgli resistenza, mi rendo conto essere esclusivamente l'istinto di "vivere" certi istanti, sequestrandoli, imprigionandoli, e conservandoli in modo irreversibile, come se ne dovessi fare un'endovena per inocularli direttamente nel sangue.
E così, quando ciò avviene, tutte le volte mi fermo.
A quel punto il cammino assume un altro aspetto, e sembra quasi che altro non fosse che il preliminare, l'innesco necessario a provare quell'istinto di fermarsi. Fermarsi senza alcuno scopo o ragione. Un istinto destinato a rimanere altrimenti, in qualsiasi altra normale situazione quotidiana, sempre ignorato o, peggio, soffocato.
La sensazione che si prova fermandosi è un po' indefinibile, ma comunque sorprendente e paradossale : quella di recuperarlo, il tempo, di dilatarlo, di intensificarlo, di saturarlo...tutto fuorchè quella di buttarlo o di perderlo, ciò che sembrerebbe secondo logica.
Se proprio si volesse condensare il tutto in una parola, si potrebbe definire "contemplazione" : un termine che solo a tirarlo fuori si viene guardati strano come marziani ; forse addirittura eretico per l'uomo moderno divenuto obbediente alla legge del "fare", alla concezione e all'idolatria dell'azione ; o tutt'al più - con un po'di magnanimità - qualcosa di eccentrico buono per asceti, eremiti o cultori di yoga, gente che appunto ha "tempo da perdere", le tipiche eccezioni il cui ruolo sta nel confermare la regola.
Invece quel tipo di "sosta senza utilità" è l'esatto opposto del "perdere" tempo, anzi ne è la forma di cattura più geniale.
Equivale ad appostarsi nel punto di maggior restringimento della clessidra, nella strozzatura dove l'inesorabile sabbia è costretta ad assumere la sua forma più granulare e distinguibile.
Lì si possono distillare singoli attimi, concentrare intere esperienze, trasformarle in ricordi e sedimentarli ; si possono percepire sensazioni dimenticate o mai provate, come ad esempio quella di sentirsi un semplice essere vivente tra miliardi (curioso, vero ?) e, ancor più, quella di essere parte di un tutto.
E infatti la dimensione contemplativa costituiva quella "normale" dell'uomo antico, poi abiurata da quello moderno che se ne è automutilato. Col risultato - come scriveva Alberto Moravia in un saggio, "L'uomo come fine" - di un'emorragia che lo porta a sentirsi perennemente affamato di qualcosa di inafferrabile che è semplicemente la sua stessa energia. Resa da una bellissima metafora : "per ritrovare un'idea dell'uomo, ossia una vera fonte di energia, bisogna che gli uomini ritrovino il gusto della contemplazione. La contemplazione è la diga che fa risalire l'acqua nel bacino. Essa permette agli uomini di accumulare di nuovo l'energia di cui l'azione li ha privati".
In altri termini, la contemplazione è necessaria all'azione, è il suo stesso presupposto. L'antiemorragico. Volendo aggiungere un'altra metafora, la contemplazione è ciò che permette di sedimentare la posa sul fondo di quella bottiglia perennemente agitata che è la vita.
Innumerevoli volte mi è risuonata questa riflessione letta molti anni fa, e via via divenuta sempre più tremendamente valida : "L'uomo moderno fa le cose in fretta per non perdere tempo ; ma poi non sa che fare del tempo guadagnato, se non ammazzarlo" (Erich Fromm, L'Arte di amare").
E' proprio così : al giorno d'oggi si riesce ad ammazzare il tempo due volte. La prima quando, girando come trottole o formiche impazzite, lo si sacrifica sull'altare di un vortice di azioni che mai corrispondono alla nostra reale volontà e ai desideri più profondi (perchè "si deve pur campare") ; la seconda quando, sistemata la questione del campare e quindi finalmente liberi da tali azioni, il tempo resta qualcosa che non si sa neppure come "impiegare". E allora, appunto, va ammazzato. FB è un'arma perfetta per il delitto.

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Le foto sono ovviamente a puro beneficio dell'obiettivo e della condivisibilità, e sono servite solo a riprodurre (ma in modo del tutto fedele) un piccolo campionario di momenti molto più numerosi e del tutto indipendenti dalla macchinetta.
Anzi, in un certo senso, quei momenti sono proprio l'antitesi delle foto stesse : parafrasando la nota definizione di cultura ("ciò che resta dopo che si è dimenticato tutto quanto studiato"), mi verrebbe quasi da definire la vita come "ciò che resta dopo che si sono distrutte tutte le foto", o dopo non averne mai scattate.
Condivido in pieno le riflessioni di @Henry Thoreau , sono appena rientrato da un lungo cammino .
 
Tu sei uno di questi ? "Non riesco a stare fermo" : parole tue :D
Assolutamente no, parlo di persone tutte d'un pezzo che non hanno scordato il bambino che sono, ad esempio personaggi come l'Uomo Vivo (dell'omonimo romanzo di Chesterton) oppure Fantaghirò (protagonista dell'omonima fiaba popolare italiana). Lo so, sono personaggi immaginari, ma trovarli tra gli umani è cosa ardua.
Mi sono incuriosito su questo autore, e appena ho visto che la sua opera principale era "Descholing Society" ("Descolarizzare la società. Una società senza scuola è possibile ?").... ho capito tutto ! :biggrin: :p
"La più radicale alternativa alla scuola sarebbe una rete, o un servizio, che offrisse a ciascuno la stessa possibilità di mettere in comune ciò che lo interessa in quel momento con altri che condividono il suo stesso interesse".
Proprio questo sito non è in fondo un esempio perfetto (e certo anche perfettibile) di ciò ?
In parte lo è, come tutti i forum della rete.
 
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