certe cose in italia non cambiano mai

Grazie walterfishing per la tua condivisione, a cui sono sensibile, essendo Veneto anch'io.
E' una tematica delicata, che sconfina nel politico e quindi in grado di scatenare suscettibili reazioni da più fronti.
Quando dico "Sono Veneto", e lo ha detto già qualcun altro, è perchè lì si ferma la nostra Memoria, in questo risiede la nostra idea di Popolo.
Qual'è la nostra identità sociale???
E' un discorso molto complesso, che si risolve in una volontà che cade dall'alto di volerci annientare come Popolo e Identità.
Il fenomeno degli immigrati clandestini, citato da qualcuno, ricade in questo disegno europeo che mira a costruire una società sempre più amalgamata, inetta, senza ideali e sempre più facilmente controllabile.
Quindi per me siamo, come molto spesso accade, vittime e carnefici della nostra realtà.
Il Veneto, quello che porta pazienza, quello che tira avanti la carretta come un "musso", instancabile lavoratore, tenacissimo in questo, allo stesso tempo si arrende costantemente ed spesso inconsapevolmente ad una forza ben più grande, ad una realtà politica e sociale che lo rende schiavo e servo.
In Romania, un anno fa c'è stata una questione politica molto forte e centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza per dire un grande "NO" ad uno Stato che, con una legge, sembrava favorire i corrotti.
Sarebbe stato possibile in Italia???
Quante volte avremmo dovuto scendere in piazza finora?
Ecco, i Veneti, primi per molte cose in ambito italiano (anche per il volantariato, per esempio), sicuramente sarebbero fra gli ultimi a ribellarsi, perchè tirano avanti, lavorano e quella è la loro realtà.
Non credo infatti che la maggior parte lo faccia solo"par i schei"...lo fanno per il lavoro, perchè il lavoro è forse la prima cosa che rende un uomo rispettabile, è la base sociale su cui si regge la famiglia.
In questo siamo decisamente malati.
La corruzione sicuramente c'è anche se io non ne ho avuto esperienza, ma non credo sia maggiore rispetto ad altre regioni d'Italia, anzi!
Credo che il nostro problema più grosso sia quello di non voler/poter alzar la testa, riprenderci la nostra identità e lasciar andare l'idea che il lavoro sia parte più importante della nostra vita.
 
Se posso permettermi di fare un commento, senza voler affatto sconfinare nella politica (per la quale non ho né amore né interesse), sono d'accordo con Freewolf.
L'idea del lavoro come mezzo di accettazione e come fondamenta della famiglia è a dir poco distante dal concetto di umanità. Il lavoro è uno strumento che dovrebbe servire ad ottenere i mezzi per vivere (e non solo campare, che è cosa ben diversa). Inoltre il lavoro è diventato la misura della realizzazione dell'uomo che trova nel successo, nella carriera, e quindi nel denaro, il compimento di un percorso sociale che, culturalmente, determina il livello sociale della persona. C'è poi da dire che già da secoli coloro che detengono il potere hanno fatto si che questo concetto fosse estremizzato, fino alla follia moderna del liberismo che tramuta l'essere umano in merce. Le persone non sono più esseri viventi ma solo prestatori di servizi che sono necessari per l'unico vero scopo: produrre soldi per chi ha i mezzi per investire e, di riflesso, accrescere la posizione dell'investitore nel mondo. Anche l'evoluzione delle leggi sul lavoro riflettono questo trend: vogliono più flessibilità che si traduce nel diritto di usare l'essere umano senza vincoli temporali (cioè disporne solo per il tempo strettamente necessario) e dinamismo (cioè lavorare come muli per il fieno serale).
E in tutto questo, l'uomo non è neanche considerato. Lo scopo è il denaro (e il potere), che è il fine ultimo di questa cultura malata.

Però,
quando camminiamo su un sentiero, ammirando l'unica e vera ricchezza che è la natura, respirando l'aria a pieni polmoni, inebriandoci dell'odore della resina d'estate, del suono dell'acqua che scorre, quello è il momento nel quale questa cultura cade, lasciandoci vedere ciò che veramente conta: l'uomo e le sue relazioni, i sentimenti che lo caratterizzano, l'armonia col creato e, per chi vuole crederci, con Dio (o qualsiasi cosa in cui si creda).
Un camoscio che scappa via che ci fa sentire intimamente legati a lui come coinquilini di questo mondo, un rapace che vola, suscitando la nostra benevola invidia, tutte sensazioni che contribuiscono a renderci ciò che dovremmo essere. Ma poi torna il lunedì e ci troviamo di nuovo immersi nella "civiltà" dove se vogliamo arrivare fino al prossimo viaggio (lungo o breve che sia), dobbiamo di nuovo immergerci nel mondo e far finta di essere davvero interessati a ciò che facciamo mentre la mente vola di nuovo all'odore dell'erba bagnata.
Si, è un ragionamento mio e comprendo che potrebbe non applicarsi a tutti.

Questa non è politica e nemmeno filosofia, è un pensiero che emerge in chiunque provi ad immergersi nelle proprie radici che sono le stesse per tutti: la terra, la roccia, il mare, il cielo. Tutto il resto è un mezzo, non potrà mai essere lo scopo.

PS: scusate se vi ammorbo con queste mie riflessioni
 
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