“Perdere il passaporto era l'ultima delle mie preoccupazioni, perdere un taccuino era una catastrofe”, scriveva Bruce Chatwin ne Le vie dei canti a proposito dei moleskine, i quaderni con la copertina nera – la parola indica appunto un tipo di finta pelle cerata – sui quali annotava i suoi viaggi per il mondo.
Lo scrittore inglese, scomparso nel 1989, li acquistava presso una piccola cartoleria parigina in Rue de l'Ancienne Comédie e li preparava per raccogliere i suoi appunti di viaggio sempre secondo lo stesso rituale: numerava le pagine e scriveva all'interno il suo nome e almeno due indirizzi nel mondo, con la promessa di una ricompensa per la restituzione in caso di smarrimento. Suggerì il sistema anche all'amico Luis Sepùlveda e gli regalo un moleskine per un viaggio in Patagonia.
“Le vrai moleskine n'est plus“, questo il lapidario annuncio della cartolaia quando nel 1986 chiuse i battenti l'ultima manifattura artigianale a Tours. Chatwin, in procinto di partire alla volta dell'Australia per raccogliere materiale sul nomadismo, acquistò tutti i taccuini rimanenti, che però non furono sufficienti.
Chatwin muore tre anni dopo e del moleskine si perdono le tracce, finché, nel 1997, un piccolo editore milanese scopre che il marchio non è stato mai registrato e decide di farlo proprio, riproponendo quel taccuino che aveva viaggiato nello zaino dello scrittore, ma anche nelle tasche di Hemingway, Picasso, Van Gogh, Matisse.
E così il moleskine è di nuovo sulla strada, compagno di avventura degli inguaribili giramondo che per i propri ricordi non si accontentano dello sguardo limitato di una fotocamera.
La scrittura induce infatti a soffermarsi, a non dare niente per scontato, a riassaporare momenti vissuti; il taccuino è dunque il compagno ideale del viaggiatore indipendente, che troverà anche il modo di appuntare luoghi, nomi, incontri a eventuale uso futuro.
Con un taccuino in tasca anche un paracarro, una pietra, il tavolino di un'osteria diventano luoghi adatti a una pausa di scrittura e riflessione.
Lo scrittore inglese, scomparso nel 1989, li acquistava presso una piccola cartoleria parigina in Rue de l'Ancienne Comédie e li preparava per raccogliere i suoi appunti di viaggio sempre secondo lo stesso rituale: numerava le pagine e scriveva all'interno il suo nome e almeno due indirizzi nel mondo, con la promessa di una ricompensa per la restituzione in caso di smarrimento. Suggerì il sistema anche all'amico Luis Sepùlveda e gli regalo un moleskine per un viaggio in Patagonia.
“Le vrai moleskine n'est plus“, questo il lapidario annuncio della cartolaia quando nel 1986 chiuse i battenti l'ultima manifattura artigianale a Tours. Chatwin, in procinto di partire alla volta dell'Australia per raccogliere materiale sul nomadismo, acquistò tutti i taccuini rimanenti, che però non furono sufficienti.
Chatwin muore tre anni dopo e del moleskine si perdono le tracce, finché, nel 1997, un piccolo editore milanese scopre che il marchio non è stato mai registrato e decide di farlo proprio, riproponendo quel taccuino che aveva viaggiato nello zaino dello scrittore, ma anche nelle tasche di Hemingway, Picasso, Van Gogh, Matisse.
E così il moleskine è di nuovo sulla strada, compagno di avventura degli inguaribili giramondo che per i propri ricordi non si accontentano dello sguardo limitato di una fotocamera.
La scrittura induce infatti a soffermarsi, a non dare niente per scontato, a riassaporare momenti vissuti; il taccuino è dunque il compagno ideale del viaggiatore indipendente, che troverà anche il modo di appuntare luoghi, nomi, incontri a eventuale uso futuro.
Con un taccuino in tasca anche un paracarro, una pietra, il tavolino di un'osteria diventano luoghi adatti a una pausa di scrittura e riflessione.
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