Ho iniziato a scrivere, saltando da un episodio all'altro in forma disordinata, proprio per non dimenticare, per fissare i momenti più importanti di un'esperienza unica, estrema, pazzesca e indimenticabile.
Perché hai tentato di uccidermi? Perché mi hai rifiutato?
Eppure durante le mie salite, in quella fatica immane, ho sempre recitato una serie di preghiere, utilizzate come un mantra che mi desse la forza e che, in qualche modo, mi proteggesse.
Un Padre Nostro, un’Ave Maria e una preghiera alla Dea del turchese, al Cho Oyu, era questa la sequenza, il mantra.
Ti ho pregato, ti ho rispettato, ti ho chiesto di lasciarmi salire, di poter sfiorare i tuoi fianchi e tu, tu hai tentato di ammazzarmi!
Perché?
Questo disagio, questa tristezza, questa delusione di amante rifiutato mi ha accompagnato fino all’ultimo giorno in cui, arrivati gli yack da caricare, stavamo lasciando il campo base.
Ho preso il mio zaino e ho iniziato a camminare, felice di tornare verso casa, deciso a dimenticare quando, all’improvviso, prima che lei sparisse definitivamente dietro le altre montagne mi sono girato, ho accennato un mezzo sorriso, l’ho salutata con la mano.
Un gesto rapido, quasi frettoloso ma vero, sincero.
Più tardi, nel fuoristrada, sulla via di Zangmu, ho finalmente capito!
La montagna non comanda il vento, la montagna è piantata a terra, è la terra, la montagna è nemica del vento, il vento la consuma, la corrode, la sgretola, la uccide giorno per giorno.
La montagna mi ha protetto dal vento!
Ha appesantito i mie passi, mi ha rallentato, ha risposto alle mie preghiere, mi ha amato come io ho amato lei, mi ha salvato la vita.
Non l’ho conquistata, non l’ho violata, non l’ho posseduta ma forse è giusto così, è così che doveva andare perché l’amore, quello vero, non conquista, non viola, non possiede e mai può arrivare a svelare completamente il mistero profondo dell’essere che si ama.
Antonio