Come vi sentite quando non riuscite a raggiungere la vetta?

Ciao, oggi sono andato a racchettare per la prima volta con mia madre, lei però racchetta già da un paio di anni.
Partiamo da San bernardino (Svizzera) alle ore 10:30
Il percorso doveva durare 2 ore a salire e 1:30 a scendere.
C'era poco vento, ma salendo aumentava sempre di più e con se anche le raffiche.
A un certo punto capiamo che la situazione era diventata insostenibile, il vento era talmente forte che facevamo perfino fatica a camminare, e per giunta non avevamo le maschere da sci, quindi il vento ci arrivava in faccia e negli occhi, e non era piacevole.
Mancavano 20 min alla vetta... per me é la prima volta che non riesco a raggiungere la vetta =( é una sensazione bruttissima, ti senti impotente, e nello stesso momento sei deluso.
Eppure il tempo era fantastico, purtroppo c'era sto vento da nord che ci ha rovinato la giornata.

Vi sono già capitate situazioni simili? Come le avete affrontate?



Questo sono io :rofl::rofl:

foto2xt.jpg
 
ciao ... di solito cerco la vetta o l'obiettivo , prendendo anche qualche rischio :) ....
cmq e' un buon motivo per ritornarci ;)
 
personalmente la prendo con calma, annoto mentalmente di rifarlo magari scegliendo un altro periodo dell'anno.
Mi è capitato proprio pochi giorni fa, andando a Piano Cervi da Portella Colla (i siciliani sanno di che parlo, per gli altri c'è questo post di IT9RGY che mi ha ispirato il percorso e che ringrazio).
Faceva freddo, il vento tagliava la faccia e impediva talvolta di camminare senza scivolare su alcuni tratti di neve ghiacciata (non avevamo ciaspole). A quel punto abbiamo rinunciato. Un peccato perché non ero ancora sazio di quei bei luoghi, ma ci tornerò! Facendo più attenzione alle previsioni meteo, soprattutto del vento considerata l'orografia del luogo.

Più in generale, a mio parere, dipende da perchè vai e cosa cerchi. A me piace la strada, la bellezza di quello che incontro. La meta è quasi un optional, infatti spesso cambio percorso, seguendo l'istinto o la bellezza dei luoghi.
Magari non raggiungerò la meta prevista ma così scoprirò posti nuovi e magari anche più belli!
 
Ho letto da poco l'ultimo libro di simone moro, pensa un pò a quando ha dovuto rinunciare lui alla vetta di un 8000 (più di una volta): Energie "buttate", soldi che se ne vanno, gente che ti scredita, ma penso che se non avesse avuto il CORAGGIO DI TIRARSI INDIETRO ora non sarebbe uno dei più grandi alpinisti viventi.
Anche io come Mauro S tendo a prendermi qualche rischio pur di raggiungere la meta, ma credo che sia proprio un brutto vizio (già una volta l'ho pagato). Sono anche convinto che ce l'avresti fatta ad arrivare in cima, nonostante il vento, ma avresti anche in parte compromesso la tua sicurezza, e non in merito al vento che poteva farti volare via :rofl: ma a tutti quei fattori che derivano da quella situazione: tempi raddoppiati, stanchezza e ciò che ne consegue come la possibilità che faccia buio prima dell'avvenuto rientro o la perdità di attenzione nel piantere i piedi a terra. E anche se il percorso che stavi facendo pareva banale l'insidia è sempre dietro l'angolo. Poi a volte un pò di rischio si prende, ma devi vedere te se il gioco vale la candela.

PS: mi è venuto in mente il documentario "k2 il sogno l'incubo" dove 2 membri della spedizione k2freedom arrivano in vetta alle 18.00 circa ( mi pare eh) e solo un riesce a tornare indietro
 
Ultimamente per me non è più importante la meta ma piuttosto il percorso, che peraltro non pianifico nemmeno più: scelgo una zona e improvviso sul momento.

Comunque, per me andare in montagna ha sempre significato GODERE (anche delle avversità), e se vedo che, per qualsiasi motivo, non sto più godendo (per avversità eccessive o, più probabile, per sovraffollamento umano) rinuncio o quanto meno rivedo i miei piani piuttosto a cuor leggero.
 
hai ragione solidpippo , cmq prendere qualche rischio e' anche il bello della montagna secondo me , il fascino del rischio ... sempre conscio però di quello che sto facendo .
Invece la vedo in modo diverso da Scarpinatore , le volte che non sono arrivato alla meta , ci son tornato non in tempi migliori , ma equipaggiato meglio :) .
tipo una volta salendo in Grigna ho incontrato una bufera di neve , non era previsto proprio in quel giorno , bhe dopo mezz'ora di cammino oltre il limite per il ritorno al chiaro ho rimandato ( piu di una volta son sceso al buio ma su vie che conoscevo ) , ma per la risalita ho aspettato quasi le stesse condizioni , ma salendo attrezzato , maschera e passamontagna ... riuscita la vetta e soddisfatto , secondo me le difficoltà non vanno aggirate .
E come se arrampicando , non riuscendo a fare un 6 mi dicessi " e va bhe faccio il 5 che vado su facile " ... bho io la vedo cosi ...

alla fine la parola "rinunciare" non dovrebbe esistere ... al massimo "rimandare" ... ;)
 
beh si, ovviamente non si intende rinunciare in senso assoluto...
visto che è già stato citato Simone Moro, riporto una sua frase: "rinunciare non è da sfigati, è da virtuosi se vedi nella rinuncia solamente la posticipazione del successo"
 
Mi è successo solo due volte: la prima perché c'era troppa neve - ma il mese dopo sono ritornato e arrivato in cima, anche con un ginocchio malandato; la seconda perché ho litigato con la morosa, che era con me - ma poi abbiamo risolto e ora ho in progetto di ritornarci.

Andare in montagna è una cosa seria, e non vale la pena continuare in condizioni non di sicurezza perché "poi ci si sente delusi". Basta ritornare :)
 
sono convinto che una delle più grandi doti che un alpinista/escursionista possa avere sia proprio quella del "saper rinunciare"...;)


Quotone....hai sedici anni, non avere fretta, le Montagne resteranno lì anche dopo la nostra fine.
Dici che vi ha rovinato la giornata ma, pensa a come ti si poteva rovinare la stessa in maniera ben peggiore.
Se Tu la mamma, avete deciso di rientrare è perchè avete la testa abbastanza aposto, non la avreste a posto se, pensando che non sia il caso, continuereste ad andare avanti.
 
Grazie a tutti, adesso capisco che l'importante non è arrivare in vetta, ma godersi il paesaggio e la "fatica".
La montagna non deve essere una sfida, ma un piacere.
Allora appena avremo tempo ci riproveremo :)
 
Grazie a tutti, adesso capisco che l'importante non è arrivare in vetta, ma godersi il paesaggio e la "fatica".
La montagna non deve essere una sfida, ma un piacere.
Allora appena avremo tempo ci riproveremo :)

Per quanto bello da leggere non riesco a riscontrarlo nella mia zucca :mumble:
Per me la sfida è parte integrante dell'escursione, che sia stare sotto i tempi stimati x un percorso o mettere a prova la mia resistenza. E l'arrivo in vetta, beh magnifico, ti ripaga di ogni sforzo, hai raggiunto l'obbiettivo, il panorama mozzafiato, il vento che si fa più forte e sbatte sulla giacca con quel rumore caratteristico..
(senza nulla togliere al viaggio)
 
Bè, il tuo ragionamento può anche esistere in chi vede la Sfida in ogni luogo, ovvio che si prefissi un obiettivo.
Ma il rischio può essere alto e sicuramente, dovrai per forza di cose aggiungere sempre qualche variabile in più altrimenti, non ha molto senso.

Da considerare anche un altro aspetto; a volte l'obiettivo non è la meta, ma il Viaggio. Tutte quelle cose che Tu dici, solidpippo (avessi un nome vero), le puoi trovare senza gran difficoltà anche durante il Viaggio, a quel punto la Meta, è riposo. E, se riesci a vederla così, ogni Viaggio diventa inesorabilmente Obiettivo, Soddisfazione, Meta.
Potrei pensare che questi due modi di vedere le cose, dividano quello che è un Viaggiatore da un Primatista.

Personalmente, non faccio mai gare con nessuno da secoli. ;)
 
E l'arrivo in vetta, beh magnifico, ti ripaga di ogni sforzo, hai raggiunto l'obbiettivo, il panorama mozzafiato, il vento che si fa più forte e sbatte sulla giacca con quel rumore caratteristico..

Anch'io in passato ero affascinato dalla "vetta", e più questa era acuminata (nei limiti dell'escursionismo), tanto più la trovavo affascinante e gratificante.

Non si trattava solo di vanagloria personale, ma soprattutto del fatto che se la bellezza di un viaggio o quanto meno di un percorso sta nel percorso stesso, quella "meta" (che poi meta non era perchè ero solo a metà gita) rappresentava "l'apice" (in ogni senso) del tragitto: vista disorientante, aria gelida e sferzante, già solo l'idea di non poter più salire ma solo scendere. Non si trattava solo di "firmare" una conquista, ma, appunto, di completare un viaggio.

Se però, quella meta io per qualsiasi motivo, anche raggiungendola, non me la fossi goduta (nebbia da non vedere niente; raggiungerla a gattoni e non potere alzare la testa per il vento; il rischio di arrivare sù e vedere solo il fulmine che mi salderà alle rocce; dover fare la fila perchè in vetta ci si sta solo in 10 per volta), il fatto di poter dire: "IO CI SONO STATO", non avrebbe ripagato minimamente lo sforzo.
 
il come mi sono sentito in merito alla rinuncia è sempre stata l'ultima delle mie sensazioni.
l'ultima perchè prima c'era la lunga lista delle motivazioni che mi hanno fatto tornare indietro.
fatica, difficoltà, buio, maltempo o problemi logistici.
tutte cose che ti provano e che ti portano a decidere cum grano salis, purchè quindi tu non sia un folle, a ritornare sui tuoi passi. la meta? sarà per un'altra volta, perchè di pelle ne abbiamo una sola :)
 
(Certo che ho un nome, anche facilmente intuibile dall'ID :biggrin:). Forse non sono in grado di descrivere a pieno la follia, chiamatelo masochismo, che mi spinge ad affrontare ogni escursione dando sempre il massimo, fino a sputare l'anima se necessario :-x Pure a me piacciono le escursioni tranquillone dove nemmeno senti il fiatone ma dentro di me non lasciano il segno come quelle che considero "le mie piccole imprese", cose ridicole per molti che per me invece, per l'impegno che c'ho messo, sono grandissime.
Tempo fa girando per youtube le parole di un video sul Cerro Torre di Ermanno Salvaterra mi hanno colpito:

"Questi sforzi, le svegliatacce, gli zaini che ti tagliano le spalle, i crampi che hai al termine di una giornata, i chilometri fatti e rifatti, tutto il corpo che sembra gridare vendetta, sono come preghiere di una liturgia fatta di una sofferenza che poi prende corpo in qualcosa di più grande che ci portiamo orgogliosi fino alla porta di casa nostra e che non vogliamo più dimeticare.... Ci si abitua, anche se non si accettano volentieri, in quel momento non le vorresti fare ma quando torni a casa ti mancano, perchè sono parole di un grande romanzo, piccole parole che spesso maledico ma che alla fine sempre cerco."
 
e aggiungo, la vetta non è solo la ciliegina sulla torta. E' ciò che ti ripaga di tutto lo sforzo, completa l'avventura. Quando non raggiungo l'obbiettivo rimane un conto in sospeso con me stesso, non con la montagna!
 
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