- Parchi della Valle d'Aosta
-
- Massiccio del Monte Bianco
Dati
Data: 31/10 - 01/11 2015
Regione e provincia: Valle D'Aosta
Località di partenza: Courmayeur
Località di arrivo: Tete de Licony, Bivacco Luigi Pascal
Tempo di percorrenza: 2 gg.
Chilometri:
Grado di difficoltà:
Descrizione delle difficoltà:
Periodo consigliato:
Segnaletica: ottima
Dislivello in salita: 1700 m. ca.
Dislivello in discesa:
Quota massima: 2930 m.
Accesso stradale:
Descrizione
Una delle escursioni di una trasferta a 800 km. durata complessivamente dieci giorni, del tutto fuori stagione e "senza ragione".
Il titolo ispiratore di questo viaggio potrebbe essere "va' dove ti porta il cuore". Quante volte capita che alcuni dei migliori spettacoli offerti dalla Natura, per giunta non improvvisi bensì prevedibilissimi, vadano in scena di fronte a platee colpevolmente deserte ! L'autunno è uno di questi : si ripete puntuale e resta lì, sembrando solo chiedere che venga scongiurata la dissipazione di tanta bellezza e aspettando di essere apprezzato. Per rispondere a questo silenzioso appello, talvolta basterebbe uno sforzo tutto sommato non così insormontabile per adeguare le scansioni spesso burocratiche del calendario di noi umani.
Del resto tutti gli amanti - vorrei dire adoratori - dell'autunno conoscono bene il senso fanciullesco di attesa che ogni anno, a un certo punto, comincia ad accompagnarli verso la "propria" stagione ed i suoi colori, odori e sapori più espressivi. Ma sanno altrettanto bene che i frutti e le atmosfere autunnali sono fuggevoli come pochi e per goderne occorre quasi ghermirli, all'insegna del carpe diem. Occorre bandire i tentennamenti per non rischiare di veder appassire e dileguare in un attimo, come un sogno in dissolvenza, quel tripudio di sfumature, di contrasti, di differenze che rende l'autunno tutt'altro che malinconico ad onta di immeritati stereotipi; perché poi la natura impiega pochissimo a rannicchiarsi nei suoi letarghi invernali, con l'essenzialità stilizzata delle sue forme immobili, spoglie e disadorne, che tutt'al più possono esibire solo la candida bellezza - quella sì malinconica - dell'uniformità.
Il "foliage" valdostano è sicuramente una delle migliori espressioni dell'autunno : una simbiosi estetica tra i vividi acquerelli in cui si trasfigura il mondo vegetale, ed il mondo minerale entro cui sono incastonati e impreziositi: una cornice ininterrotta di guglie ispide e pinnacoli impervi, in livrea costantemente innevata.
Questo spettacolo per pochi estimatori è poi esaltato dalla solitudine regalata dal periodo, un'oasi di pace tra la "coda" dell'affollamento estivo e le prime sporadiche avanguardie di quello invernale. Anche nei centri abitati cala un'atmosfera ovattata e rarefatta, simile a quella ferragostana delle grandi città, scevra dal loro rumoroso e spasmodico brulichio umano.
Non c'è adrenalina, perché la mente non coglie l'ambiente circostante come una sfida. Non ci sono sveglie antelucane, anzi la mattina si indugia tranquilli nel tepore del letto senza frette, quasi predisposti a non avere orari, mete precise, tempi da rispettare. Non si vagheggiano avventurismi su vette iperuraniche, pendenze rambistiche o superfici acrobatiche. I movimenti vengono ridotti alla loro minima, incomprimibile lentezza; la fatica resta, ma si mantiene temperata e priva di strappi, senza mai diventare una prova muscolare, senza tentazioni prestazionali. Mai come in questa atmosfera si esalta l'aforisma di Julius Kugy : "Non cercate in un monte un'impalcatura dove arrampicare, cercate la sua anima".
Si avverte insomma una totale antitesi con l' "altra" montagna, che pure è rimane sempre lì a portata di sguardo ma come sottofondo scenografico : quella delle rocce instabili, degli sfasciumi, dei salti e dei crepacci, dei ghiacci vitrei, del pericolo che fagocita l'attenzione, facendo stare in tensione. Se quella montagna regala la sensazione di un crampo, questa viceversa fa provare quella, piacevole, di una contrattura che si distende.
L'escursionista autunnale diventa una sorta di spugna umana, e prova l'esperienza di un assorbimento continuo. Le sensazioni si dilatano : quella del tempo (in una giornata sembra di averne vissute dieci) ; dello spazio ("una valle tutta per me !" è l'esclamazione interiore che viene spontanea e ricorrente) ; degli elementi naturali : un'aria mattutina frizzante che schiaffeggia, colori che seducono, odori che stordiscono.
Quest'escursione ha un'origine ben precisa : una per metà del tutto analoga svolta, quasi un anno esatto prima, da Flavio (Berserker) e relazionata a questo link.
http://www.avventurosamente.it/xf/threads/tête-de-liconi-2930m-da-verrand.41449/
In quell'occasione l'arrivo al Rifugio Pascal, partendo da Courmayeur, fu accompagnato dalla riflessione "potrebbe essere una buona idea passarvi una notte prima o poi". Ciò in quanto il rifugio costituì solo un momento di passaggio prima che l'escursione terminasse nella stessa giornata ridiscendendo da un altro versante.
Ebbene, vedendo quel bivacco nella sua relazione sono rimasto stregato : ho potuto solo intuire cosa potesse significare ritrovarsi davanti a quel panorama spaziale a 360° sul massiccio del Bianco al momento del tramonto e poi all'alba successiva dopo aver pernottato direttamente sul luogo. Intuirlo e decidere su due piedi di "doverlo" e volerlo vivere è stato un tutt'uno. E così, prese armi e bagagli, sono salito a trovar Flavio e insieme a lui la sua idea, lasciata così in sospeso un anno fa, ha trovato realizzazione.
Alla fine tutto è andato perfino oltre le mie aspettative, certe sensazioni sono difficili da descrivere con le parole ma io ci ho provato lo stesso, nei commenti alle singole foto (scattate tutte da Flavio).
Ringrazio dal profondo del cuore il mio amico. E' un vero privilegio avere accanto una persona così visceralmente innamorata di un territorio da conoscerlo fin nelle sue pieghe più recondite senza tuttavia esserne mai sazio e men che meno assuefatto, sempre incuriosito, mai sopraffatto dall'abitudine, con occhi sempre pronti a meravigliarsene: praticamente un tutt'uno con esso. E allo stesso tempo una persona con cui si vibra così all'unisono, come un diapason, nel modo stesso di vivere il cammino : essenzialmente una piccola grande avventura introspettiva.
-----------------------------------------------------------
L'escursione di Flavio dell'autunno 2014 partì direttamente da Courmayeur.
Stavolta c'è molta meno fretta poiché non si tratta di compiere un anello, bensì appunto di fermarsi a metà percorso a pernottare al Bivacco Pascal. Tuttavia le giornate sono corte, fa buio prima delle 18, ce la prendiamo sin troppo comoda e verso mezzogiorno ancora non siamo partiti. Decidiamo così di recuperare almeno mezz'ora salendo in macchina fino al parcheggio dell'Ermitage, poco sopra Courmayeur : 30 minuti che si riveleranno provvidenziali, poiché saranno proprio gli ultimi di piena luce diurna che, arrivati al Pascal, ci permetteranno di godere di tutte le fasi del tramonto.
Si comincia così, col Bianco che resterà a portata di sguardo per tutti i due giorni.
Come si fa a non farselo immortalare dietro ?
Anche in due.
La compostezza è il costante tratto distintivo del foliage, e tutto sembra invitare a rispettarla e a farsene coinvolgere.
Si prende e si va. Incamminandosi, col sottofondo ritmato dei propri passi nel silenzio che aleggia ovunque, i pensieri diventano estremamente elementari oppure, semplicemente, si dileguano leggeri come piume. L'aria si fa di cristallo, il sole dismette l'aspetto estivo estivo di uno schiaffo bruciante sulla faccia e assume quello di una tiepida endovena che scalda da dentro, con gentilezza.
La vegetazione produce ricami bucolici : nei tratti boschivi gli aghi dei larici, scossi dai minimi refoli di vento, cadono impalpabili e simili alle codette di un dolce, formando sui sentieri una spessa e soffice coltre color ocra su cui si spegne anche il residuo rumore dei passi, che diventando felpati e silenziosi regalano la sensazione di procedere in pantofole.
La luce, laterale, soffusa e mai aggressiva, filtra attraverso i rami e la schermatura crea un effetto stroboscopico, quasi psichedelico.
A partire da ca. quota 2200 m. il percorso si fa innevato.
In alto la cresta su cui dovremo arrivare, per svalicarla, poi ridiscendere leggermente e infine affrontare l'ultima salita fino al Bivacco. Interessante il confronto con questo stesso periodo dell'anno precedente (nel thread di Flavio), poiché allora le superfici erano completamente asciutte. Quest'anno invece c'è la neve, ma in compenso sta per iniziare su tutta Italia - quindi anche qui - uno dei periodi anticiclonici e siccitosi più duraturi degli ultimi anni, che si protrarrà per almeno 3 mesi con temperature sopra la media e facendo del 2015 una sorta di "anno senza inverno".
Alle nostre spalle, sull'altro versante, la Testa Bernarda, ovvero il bastione digradante dal quale ridiscenderemo il giorno successivo, una specie di lunga platea sull'intero Massiccio del Bianco.
Svalicata la cresta, per chi proviene dal nostro versante si dischiude la vista sul Lago di Licony. Un gioiello esaltato dal valore aggiunto di un abito autunnale che durerà poche settimane.
Finalmente, da sotto, compare in alto il bivacco. Affrontiamo l'ultima salita, ormai del tutto in ombra.
Ed eccoci infine arrivati. Appena in tempo per gustarci l'ultima mezz'ora di luce ed il tramonto, che a dispetto delle apparenze arriverà in men che non si dica.
C'è panchina e panchina. Ecco il tipo di panchina sulla quale mi piacerebbe vedermi seduto anche ad 80 anni.

La parete frontale del bivacco. Su una parete, a fianco della finestra che inquadra al centro il Monte Bianco, è appesa la dedica alla guida alpina cui è intitolato, scritta da uno dei suoi amici che ne hanno curato e finanziato la costruzione. La guida si chiamava Luigi Pascal, valdostano di Morgex, che morì nel luglio 1999 travolto da una valanga sul ghiacciaio del Miage (quello che si vede dietro il collo della ...bottiglia di sinistra) mentre accompagnava tre turisti bergamaschi, rimasti invece tutti miracolosamente illesi. La dedica di questo amico, Bruno Rossini di Pavia, imprenditore e appassionato sportivo ma "iniziato" all'alpinismo proprio da Pascal, si conclude con parole che - vado a memoria - suonano così : "abbiamo costruito questo rifugio facendolo bene, come avresti desiderato tu; ma anche in fretta, come ti sarebbe piaciuto quando dicevi che il tempo non va sprecato". E' datata 2009, a tratti commovente ed ancor più considerando che lo stesso Rossini morirà a sua volta prematuramente solo tre anni più tardi, stroncato da tumore.
Chissà se in quelle bottiglie c'era un bianco : di sicuro, però, quello con la maiuscola sta dietro
Come cambiano in fretta, in pochi minuti, i colori. Questa è la finestra poc'anzi accennata : l'unicità del panorama si commenta da sola.
Comunque io e Flavio non passeremo la serata attaccati al fiasco
bensì divertendoci a leggere l'intero libro degli ospiti, e a chiuderlo noi lasciandoci un messaggio scritto sull'ultimo ritaglio di cartone rimasto libero sulla terza di copertina. L'ultimo messaggio lasciato risale a quasi due mesi prima, a conferma che questo bivacco di vetta viene usato per pernottare solo nel periodo estivo.
Siamo dunque gli unici a farlo in pieno autunno, il che restituisce una sensazione del tutto particolare di privilegio e di intimità come uno sbarco lunare, l'incontro tra una pochezza e una grandezza.
Quando non può più assorbire l'energia di un sole che se ne va, un pannello può però restituire il riflesso del suo commiato: il più bel saluto a cui si possa assistere.
Momenti che con nessuna cifra si potrebbe mai comprare. Nei quali ci si sente incredibilmente soli e, allo stesso tempo, in simbiosi con qualsiasi altro essere vivente di questo pianeta. Legati in un unico destino come su un'astronave della quale, da qui, si intuisce allo stesso tempo la grandezza ma anche la limitatezza. Un senso di infinito pur sempre "finito".
Considerato il periodo (prima notte di novembre) e la quota (quasi 3000 m.), non è affatto freddo : consultando a casa le registrazioni della centralina meteo piazzata proprio davanti il rifugio, appureremo che la temperatura era di appena (o bisognerebbe dire "ben") zero gradi.
Al calar della notte, tutti i rifugi assumono tra loro una inconfondibile e meravigliosa somiglianza. Sono circa le 23 ed il mese di ottobre, per quest'anno, sta per consumare la sua ultima ora di vita.
Ci attende la prima alba novembrina.
Ed eccola, l'alba. Abbastanza "avviata", per la verità : paghiamo le ore piccole della sera prima.
La luce sembra proiettata da un'immensa brace.
Nelle tre foto successive ci siamo portati alla vetta (la Tete de Licony) : appena 120 secondi di ascensione, un record di brevità : sì, perché in pratica sta dieci metri sopra il Bivacco
Sembra di stare in un altro mondo, eppure basta appena affacciarsi - come su un balcone - per scorgere Courmayeur : così vicina e così lontana, col suo odore di civiltà.
A malincuore, è giunto il momento di ridiscendere...
...ma ne approfittiamo per immortalare nuovamente il lago di Licony, stavolta in atmosfera mattutina.
Ci siamo riportati alla quota-neve dei 2200 m. ripercorrendo il cammino dell'andata; da qui in poi lo abbandoniamo dovendo passare sull'altro versante per raggiungere la Testa Bernarda, visibile oltre le rade chiome boschive.
Qui siamo già in parte risaliti, nel frattempo si è già fatta ora di pranzo e approfittiamo di questo pianoro per rifocillarci. Lungo la risalita abbiamo sorpassato una coppia che poi ci raggiungerà durante la nostra sosta per fermarsi a sua volta a mangiare (nella foto). Solo dopo averci scambiato qualche parola riconosciamo in lui un nome che ci ricorda qualcosa, Massimo Martini: il coautore di una guida su tutti i rifugi della Valle D'Aosta, che Flavio teneva a casa e nella quale appena la sera prima mi ero affondato a leggere per un paio d'ore.
Il declivio della Testa Bernarda visto in retrospettiva. Da qui si può apprezzare il profilo del grande anfiteatro che abbiamo sostanzialmente percorso dopo la discesa dal bivacco.
Quando si dice essere delle pulci rispetto alla maestosità...e tali si resta anche ingrandendo le foto.
Nuovamente la luce pomeridiana ad accompagnarci nell'imminente discesa finale. E ancora il colore saturo degli aghi dei larici a incorniciare il progressivo commiato da una di quelle esperienze destinate a restare indelebili nel cuore. Semplici ed elementari, eppure proprio di quelle che fanno riconciliare con la vita nonostante le amarezze del quotidiano, apprezzarla nel profondo, e percepire quanto valga la pena amarla.
Data: 31/10 - 01/11 2015
Regione e provincia: Valle D'Aosta
Località di partenza: Courmayeur
Località di arrivo: Tete de Licony, Bivacco Luigi Pascal
Tempo di percorrenza: 2 gg.
Chilometri:
Grado di difficoltà:
Descrizione delle difficoltà:
Periodo consigliato:
Segnaletica: ottima
Dislivello in salita: 1700 m. ca.
Dislivello in discesa:
Quota massima: 2930 m.
Accesso stradale:
Descrizione
Una delle escursioni di una trasferta a 800 km. durata complessivamente dieci giorni, del tutto fuori stagione e "senza ragione".
Il titolo ispiratore di questo viaggio potrebbe essere "va' dove ti porta il cuore". Quante volte capita che alcuni dei migliori spettacoli offerti dalla Natura, per giunta non improvvisi bensì prevedibilissimi, vadano in scena di fronte a platee colpevolmente deserte ! L'autunno è uno di questi : si ripete puntuale e resta lì, sembrando solo chiedere che venga scongiurata la dissipazione di tanta bellezza e aspettando di essere apprezzato. Per rispondere a questo silenzioso appello, talvolta basterebbe uno sforzo tutto sommato non così insormontabile per adeguare le scansioni spesso burocratiche del calendario di noi umani.
Del resto tutti gli amanti - vorrei dire adoratori - dell'autunno conoscono bene il senso fanciullesco di attesa che ogni anno, a un certo punto, comincia ad accompagnarli verso la "propria" stagione ed i suoi colori, odori e sapori più espressivi. Ma sanno altrettanto bene che i frutti e le atmosfere autunnali sono fuggevoli come pochi e per goderne occorre quasi ghermirli, all'insegna del carpe diem. Occorre bandire i tentennamenti per non rischiare di veder appassire e dileguare in un attimo, come un sogno in dissolvenza, quel tripudio di sfumature, di contrasti, di differenze che rende l'autunno tutt'altro che malinconico ad onta di immeritati stereotipi; perché poi la natura impiega pochissimo a rannicchiarsi nei suoi letarghi invernali, con l'essenzialità stilizzata delle sue forme immobili, spoglie e disadorne, che tutt'al più possono esibire solo la candida bellezza - quella sì malinconica - dell'uniformità.
Il "foliage" valdostano è sicuramente una delle migliori espressioni dell'autunno : una simbiosi estetica tra i vividi acquerelli in cui si trasfigura il mondo vegetale, ed il mondo minerale entro cui sono incastonati e impreziositi: una cornice ininterrotta di guglie ispide e pinnacoli impervi, in livrea costantemente innevata.
Questo spettacolo per pochi estimatori è poi esaltato dalla solitudine regalata dal periodo, un'oasi di pace tra la "coda" dell'affollamento estivo e le prime sporadiche avanguardie di quello invernale. Anche nei centri abitati cala un'atmosfera ovattata e rarefatta, simile a quella ferragostana delle grandi città, scevra dal loro rumoroso e spasmodico brulichio umano.
Non c'è adrenalina, perché la mente non coglie l'ambiente circostante come una sfida. Non ci sono sveglie antelucane, anzi la mattina si indugia tranquilli nel tepore del letto senza frette, quasi predisposti a non avere orari, mete precise, tempi da rispettare. Non si vagheggiano avventurismi su vette iperuraniche, pendenze rambistiche o superfici acrobatiche. I movimenti vengono ridotti alla loro minima, incomprimibile lentezza; la fatica resta, ma si mantiene temperata e priva di strappi, senza mai diventare una prova muscolare, senza tentazioni prestazionali. Mai come in questa atmosfera si esalta l'aforisma di Julius Kugy : "Non cercate in un monte un'impalcatura dove arrampicare, cercate la sua anima".
Si avverte insomma una totale antitesi con l' "altra" montagna, che pure è rimane sempre lì a portata di sguardo ma come sottofondo scenografico : quella delle rocce instabili, degli sfasciumi, dei salti e dei crepacci, dei ghiacci vitrei, del pericolo che fagocita l'attenzione, facendo stare in tensione. Se quella montagna regala la sensazione di un crampo, questa viceversa fa provare quella, piacevole, di una contrattura che si distende.
L'escursionista autunnale diventa una sorta di spugna umana, e prova l'esperienza di un assorbimento continuo. Le sensazioni si dilatano : quella del tempo (in una giornata sembra di averne vissute dieci) ; dello spazio ("una valle tutta per me !" è l'esclamazione interiore che viene spontanea e ricorrente) ; degli elementi naturali : un'aria mattutina frizzante che schiaffeggia, colori che seducono, odori che stordiscono.
Quest'escursione ha un'origine ben precisa : una per metà del tutto analoga svolta, quasi un anno esatto prima, da Flavio (Berserker) e relazionata a questo link.
http://www.avventurosamente.it/xf/threads/tête-de-liconi-2930m-da-verrand.41449/
In quell'occasione l'arrivo al Rifugio Pascal, partendo da Courmayeur, fu accompagnato dalla riflessione "potrebbe essere una buona idea passarvi una notte prima o poi". Ciò in quanto il rifugio costituì solo un momento di passaggio prima che l'escursione terminasse nella stessa giornata ridiscendendo da un altro versante.
Ebbene, vedendo quel bivacco nella sua relazione sono rimasto stregato : ho potuto solo intuire cosa potesse significare ritrovarsi davanti a quel panorama spaziale a 360° sul massiccio del Bianco al momento del tramonto e poi all'alba successiva dopo aver pernottato direttamente sul luogo. Intuirlo e decidere su due piedi di "doverlo" e volerlo vivere è stato un tutt'uno. E così, prese armi e bagagli, sono salito a trovar Flavio e insieme a lui la sua idea, lasciata così in sospeso un anno fa, ha trovato realizzazione.
Alla fine tutto è andato perfino oltre le mie aspettative, certe sensazioni sono difficili da descrivere con le parole ma io ci ho provato lo stesso, nei commenti alle singole foto (scattate tutte da Flavio).
Ringrazio dal profondo del cuore il mio amico. E' un vero privilegio avere accanto una persona così visceralmente innamorata di un territorio da conoscerlo fin nelle sue pieghe più recondite senza tuttavia esserne mai sazio e men che meno assuefatto, sempre incuriosito, mai sopraffatto dall'abitudine, con occhi sempre pronti a meravigliarsene: praticamente un tutt'uno con esso. E allo stesso tempo una persona con cui si vibra così all'unisono, come un diapason, nel modo stesso di vivere il cammino : essenzialmente una piccola grande avventura introspettiva.
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L'escursione di Flavio dell'autunno 2014 partì direttamente da Courmayeur.
Stavolta c'è molta meno fretta poiché non si tratta di compiere un anello, bensì appunto di fermarsi a metà percorso a pernottare al Bivacco Pascal. Tuttavia le giornate sono corte, fa buio prima delle 18, ce la prendiamo sin troppo comoda e verso mezzogiorno ancora non siamo partiti. Decidiamo così di recuperare almeno mezz'ora salendo in macchina fino al parcheggio dell'Ermitage, poco sopra Courmayeur : 30 minuti che si riveleranno provvidenziali, poiché saranno proprio gli ultimi di piena luce diurna che, arrivati al Pascal, ci permetteranno di godere di tutte le fasi del tramonto.
Si comincia così, col Bianco che resterà a portata di sguardo per tutti i due giorni.
Come si fa a non farselo immortalare dietro ?
Anche in due.
La compostezza è il costante tratto distintivo del foliage, e tutto sembra invitare a rispettarla e a farsene coinvolgere.
Si prende e si va. Incamminandosi, col sottofondo ritmato dei propri passi nel silenzio che aleggia ovunque, i pensieri diventano estremamente elementari oppure, semplicemente, si dileguano leggeri come piume. L'aria si fa di cristallo, il sole dismette l'aspetto estivo estivo di uno schiaffo bruciante sulla faccia e assume quello di una tiepida endovena che scalda da dentro, con gentilezza.
La vegetazione produce ricami bucolici : nei tratti boschivi gli aghi dei larici, scossi dai minimi refoli di vento, cadono impalpabili e simili alle codette di un dolce, formando sui sentieri una spessa e soffice coltre color ocra su cui si spegne anche il residuo rumore dei passi, che diventando felpati e silenziosi regalano la sensazione di procedere in pantofole.
La luce, laterale, soffusa e mai aggressiva, filtra attraverso i rami e la schermatura crea un effetto stroboscopico, quasi psichedelico.
A partire da ca. quota 2200 m. il percorso si fa innevato.
In alto la cresta su cui dovremo arrivare, per svalicarla, poi ridiscendere leggermente e infine affrontare l'ultima salita fino al Bivacco. Interessante il confronto con questo stesso periodo dell'anno precedente (nel thread di Flavio), poiché allora le superfici erano completamente asciutte. Quest'anno invece c'è la neve, ma in compenso sta per iniziare su tutta Italia - quindi anche qui - uno dei periodi anticiclonici e siccitosi più duraturi degli ultimi anni, che si protrarrà per almeno 3 mesi con temperature sopra la media e facendo del 2015 una sorta di "anno senza inverno".
Alle nostre spalle, sull'altro versante, la Testa Bernarda, ovvero il bastione digradante dal quale ridiscenderemo il giorno successivo, una specie di lunga platea sull'intero Massiccio del Bianco.
Svalicata la cresta, per chi proviene dal nostro versante si dischiude la vista sul Lago di Licony. Un gioiello esaltato dal valore aggiunto di un abito autunnale che durerà poche settimane.
Finalmente, da sotto, compare in alto il bivacco. Affrontiamo l'ultima salita, ormai del tutto in ombra.
Ed eccoci infine arrivati. Appena in tempo per gustarci l'ultima mezz'ora di luce ed il tramonto, che a dispetto delle apparenze arriverà in men che non si dica.
C'è panchina e panchina. Ecco il tipo di panchina sulla quale mi piacerebbe vedermi seduto anche ad 80 anni.

La parete frontale del bivacco. Su una parete, a fianco della finestra che inquadra al centro il Monte Bianco, è appesa la dedica alla guida alpina cui è intitolato, scritta da uno dei suoi amici che ne hanno curato e finanziato la costruzione. La guida si chiamava Luigi Pascal, valdostano di Morgex, che morì nel luglio 1999 travolto da una valanga sul ghiacciaio del Miage (quello che si vede dietro il collo della ...bottiglia di sinistra) mentre accompagnava tre turisti bergamaschi, rimasti invece tutti miracolosamente illesi. La dedica di questo amico, Bruno Rossini di Pavia, imprenditore e appassionato sportivo ma "iniziato" all'alpinismo proprio da Pascal, si conclude con parole che - vado a memoria - suonano così : "abbiamo costruito questo rifugio facendolo bene, come avresti desiderato tu; ma anche in fretta, come ti sarebbe piaciuto quando dicevi che il tempo non va sprecato". E' datata 2009, a tratti commovente ed ancor più considerando che lo stesso Rossini morirà a sua volta prematuramente solo tre anni più tardi, stroncato da tumore.
Chissà se in quelle bottiglie c'era un bianco : di sicuro, però, quello con la maiuscola sta dietro
Come cambiano in fretta, in pochi minuti, i colori. Questa è la finestra poc'anzi accennata : l'unicità del panorama si commenta da sola.
Comunque io e Flavio non passeremo la serata attaccati al fiasco
Siamo dunque gli unici a farlo in pieno autunno, il che restituisce una sensazione del tutto particolare di privilegio e di intimità come uno sbarco lunare, l'incontro tra una pochezza e una grandezza.
Quando non può più assorbire l'energia di un sole che se ne va, un pannello può però restituire il riflesso del suo commiato: il più bel saluto a cui si possa assistere.
Momenti che con nessuna cifra si potrebbe mai comprare. Nei quali ci si sente incredibilmente soli e, allo stesso tempo, in simbiosi con qualsiasi altro essere vivente di questo pianeta. Legati in un unico destino come su un'astronave della quale, da qui, si intuisce allo stesso tempo la grandezza ma anche la limitatezza. Un senso di infinito pur sempre "finito".
Considerato il periodo (prima notte di novembre) e la quota (quasi 3000 m.), non è affatto freddo : consultando a casa le registrazioni della centralina meteo piazzata proprio davanti il rifugio, appureremo che la temperatura era di appena (o bisognerebbe dire "ben") zero gradi.
Al calar della notte, tutti i rifugi assumono tra loro una inconfondibile e meravigliosa somiglianza. Sono circa le 23 ed il mese di ottobre, per quest'anno, sta per consumare la sua ultima ora di vita.
Ci attende la prima alba novembrina.
Ed eccola, l'alba. Abbastanza "avviata", per la verità : paghiamo le ore piccole della sera prima.
La luce sembra proiettata da un'immensa brace.
Nelle tre foto successive ci siamo portati alla vetta (la Tete de Licony) : appena 120 secondi di ascensione, un record di brevità : sì, perché in pratica sta dieci metri sopra il Bivacco
Sembra di stare in un altro mondo, eppure basta appena affacciarsi - come su un balcone - per scorgere Courmayeur : così vicina e così lontana, col suo odore di civiltà.
A malincuore, è giunto il momento di ridiscendere...
...ma ne approfittiamo per immortalare nuovamente il lago di Licony, stavolta in atmosfera mattutina.
Ci siamo riportati alla quota-neve dei 2200 m. ripercorrendo il cammino dell'andata; da qui in poi lo abbandoniamo dovendo passare sull'altro versante per raggiungere la Testa Bernarda, visibile oltre le rade chiome boschive.
Qui siamo già in parte risaliti, nel frattempo si è già fatta ora di pranzo e approfittiamo di questo pianoro per rifocillarci. Lungo la risalita abbiamo sorpassato una coppia che poi ci raggiungerà durante la nostra sosta per fermarsi a sua volta a mangiare (nella foto). Solo dopo averci scambiato qualche parola riconosciamo in lui un nome che ci ricorda qualcosa, Massimo Martini: il coautore di una guida su tutti i rifugi della Valle D'Aosta, che Flavio teneva a casa e nella quale appena la sera prima mi ero affondato a leggere per un paio d'ore.
Il declivio della Testa Bernarda visto in retrospettiva. Da qui si può apprezzare il profilo del grande anfiteatro che abbiamo sostanzialmente percorso dopo la discesa dal bivacco.
Quando si dice essere delle pulci rispetto alla maestosità...e tali si resta anche ingrandendo le foto.
Nuovamente la luce pomeridiana ad accompagnarci nell'imminente discesa finale. E ancora il colore saturo degli aghi dei larici a incorniciare il progressivo commiato da una di quelle esperienze destinate a restare indelebili nel cuore. Semplici ed elementari, eppure proprio di quelle che fanno riconciliare con la vita nonostante le amarezze del quotidiano, apprezzarla nel profondo, e percepire quanto valga la pena amarla.
Allegati
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