Trekking Courmayeur - Lago e Tete de Licony - Bivacco L. Pascal

Parchi della Valle d'Aosta
  1. Massiccio del Monte Bianco
Dati

Data: 31/10 - 01/11 2015
Regione e provincia: Valle D'Aosta
Località di partenza: Courmayeur
Località di arrivo: Tete de Licony, Bivacco Luigi Pascal
Tempo di percorrenza: 2 gg.
Chilometri:
Grado di difficoltà:
Descrizione delle difficoltà:
Periodo consigliato:
Segnaletica: ottima
Dislivello in salita: 1700 m. ca.
Dislivello in discesa:
Quota massima: 2930 m.
Accesso stradale:


Descrizione

Una delle escursioni di una trasferta a 800 km. durata complessivamente dieci giorni, del tutto fuori stagione e "senza ragione".

Il titolo ispiratore di questo viaggio potrebbe essere "va' dove ti porta il cuore". Quante volte capita che alcuni dei migliori spettacoli offerti dalla Natura, per giunta non improvvisi bensì prevedibilissimi, vadano in scena di fronte a platee colpevolmente deserte ! L'autunno è uno di questi : si ripete puntuale e resta lì, sembrando solo chiedere che venga scongiurata la dissipazione di tanta bellezza e aspettando di essere apprezzato. Per rispondere a questo silenzioso appello, talvolta basterebbe uno sforzo tutto sommato non così insormontabile per adeguare le scansioni spesso burocratiche del calendario di noi umani.

Del resto tutti gli amanti - vorrei dire adoratori - dell'autunno conoscono bene il senso fanciullesco di attesa che ogni anno, a un certo punto, comincia ad accompagnarli verso la "propria" stagione ed i suoi colori, odori e sapori più espressivi. Ma sanno altrettanto bene che i frutti e le atmosfere autunnali sono fuggevoli come pochi e per goderne occorre quasi ghermirli, all'insegna del carpe diem. Occorre bandire i tentennamenti per non rischiare di veder appassire e dileguare in un attimo, come un sogno in dissolvenza, quel tripudio di sfumature, di contrasti, di differenze che rende l'autunno tutt'altro che malinconico ad onta di immeritati stereotipi; perché poi la natura impiega pochissimo a rannicchiarsi nei suoi letarghi invernali, con l'essenzialità stilizzata delle sue forme immobili, spoglie e disadorne, che tutt'al più possono esibire solo la candida bellezza - quella sì malinconica - dell'uniformità.

Il "foliage" valdostano è sicuramente una delle migliori espressioni dell'autunno : una simbiosi estetica tra i vividi acquerelli in cui si trasfigura il mondo vegetale, ed il mondo minerale entro cui sono incastonati e impreziositi: una cornice ininterrotta di guglie ispide e pinnacoli impervi, in livrea costantemente innevata.
Questo spettacolo per pochi estimatori è poi esaltato dalla solitudine regalata dal periodo, un'oasi di pace tra la "coda" dell'affollamento estivo e le prime sporadiche avanguardie di quello invernale. Anche nei centri abitati cala un'atmosfera ovattata e rarefatta, simile a quella ferragostana delle grandi città, scevra dal loro rumoroso e spasmodico brulichio umano.

Non c'è adrenalina, perché la mente non coglie l'ambiente circostante come una sfida. Non ci sono sveglie antelucane, anzi la mattina si indugia tranquilli nel tepore del letto senza frette, quasi predisposti a non avere orari, mete precise, tempi da rispettare. Non si vagheggiano avventurismi su vette iperuraniche, pendenze rambistiche o superfici acrobatiche. I movimenti vengono ridotti alla loro minima, incomprimibile lentezza; la fatica resta, ma si mantiene temperata e priva di strappi, senza mai diventare una prova muscolare, senza tentazioni prestazionali. Mai come in questa atmosfera si esalta l'aforisma di Julius Kugy : "Non cercate in un monte un'impalcatura dove arrampicare, cercate la sua anima".
Si avverte insomma una totale antitesi con l' "altra" montagna, che pure è rimane sempre lì a portata di sguardo ma come sottofondo scenografico : quella delle rocce instabili, degli sfasciumi, dei salti e dei crepacci, dei ghiacci vitrei, del pericolo che fagocita l'attenzione, facendo stare in tensione. Se quella montagna regala la sensazione di un crampo, questa viceversa fa provare quella, piacevole, di una contrattura che si distende.

L'escursionista autunnale diventa una sorta di spugna umana, e prova l'esperienza di un assorbimento continuo. Le sensazioni si dilatano : quella del tempo (in una giornata sembra di averne vissute dieci) ; dello spazio ("una valle tutta per me !" è l'esclamazione interiore che viene spontanea e ricorrente) ; degli elementi naturali : un'aria mattutina frizzante che schiaffeggia, colori che seducono, odori che stordiscono.

Quest'escursione ha un'origine ben precisa : una per metà del tutto analoga svolta, quasi un anno esatto prima, da Flavio (Berserker) e relazionata a questo link.
http://www.avventurosamente.it/xf/threads/tête-de-liconi-2930m-da-verrand.41449/
In quell'occasione l'arrivo al Rifugio Pascal, partendo da Courmayeur, fu accompagnato dalla riflessione "potrebbe essere una buona idea passarvi una notte prima o poi". Ciò in quanto il rifugio costituì solo un momento di passaggio prima che l'escursione terminasse nella stessa giornata ridiscendendo da un altro versante.
Ebbene, vedendo quel bivacco nella sua relazione sono rimasto stregato : ho potuto solo intuire cosa potesse significare ritrovarsi davanti a quel panorama spaziale a 360° sul massiccio del Bianco al momento del tramonto e poi all'alba successiva dopo aver pernottato direttamente sul luogo. Intuirlo e decidere su due piedi di "doverlo" e volerlo vivere è stato un tutt'uno. E così, prese armi e bagagli, sono salito a trovar Flavio e insieme a lui la sua idea, lasciata così in sospeso un anno fa, ha trovato realizzazione.
Alla fine tutto è andato perfino oltre le mie aspettative, certe sensazioni sono difficili da descrivere con le parole ma io ci ho provato lo stesso, nei commenti alle singole foto (scattate tutte da Flavio).
Ringrazio dal profondo del cuore il mio amico. E' un vero privilegio avere accanto una persona così visceralmente innamorata di un territorio da conoscerlo fin nelle sue pieghe più recondite senza tuttavia esserne mai sazio e men che meno assuefatto, sempre incuriosito, mai sopraffatto dall'abitudine, con occhi sempre pronti a meravigliarsene: praticamente un tutt'uno con esso. E allo stesso tempo una persona con cui si vibra così all'unisono, come un diapason, nel modo stesso di vivere il cammino : essenzialmente una piccola grande avventura introspettiva.

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L'escursione di Flavio dell'autunno 2014 partì direttamente da Courmayeur.
Stavolta c'è molta meno fretta poiché non si tratta di compiere un anello, bensì appunto di fermarsi a metà percorso a pernottare al Bivacco Pascal. Tuttavia le giornate sono corte, fa buio prima delle 18, ce la prendiamo sin troppo comoda e verso mezzogiorno ancora non siamo partiti. Decidiamo così di recuperare almeno mezz'ora salendo in macchina fino al parcheggio dell'Ermitage, poco sopra Courmayeur : 30 minuti che si riveleranno provvidenziali, poiché saranno proprio gli ultimi di piena luce diurna che, arrivati al Pascal, ci permetteranno di godere di tutte le fasi del tramonto.


Si comincia così, col Bianco che resterà a portata di sguardo per tutti i due giorni.


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Come si fa a non farselo immortalare dietro ?

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Anche in due.

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La compostezza è il costante tratto distintivo del foliage, e tutto sembra invitare a rispettarla e a farsene coinvolgere.
Si prende e si va. Incamminandosi, col sottofondo ritmato dei propri passi nel silenzio che aleggia ovunque, i pensieri diventano estremamente elementari oppure, semplicemente, si dileguano leggeri come piume. L'aria si fa di cristallo, il sole dismette l'aspetto estivo estivo di uno schiaffo bruciante sulla faccia e assume quello di una tiepida endovena che scalda da dentro, con gentilezza.

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La vegetazione produce ricami bucolici : nei tratti boschivi gli aghi dei larici, scossi dai minimi refoli di vento, cadono impalpabili e simili alle codette di un dolce, formando sui sentieri una spessa e soffice coltre color ocra su cui si spegne anche il residuo rumore dei passi, che diventando felpati e silenziosi regalano la sensazione di procedere in pantofole.
La luce, laterale, soffusa e mai aggressiva, filtra attraverso i rami e la schermatura crea un effetto stroboscopico, quasi psichedelico.

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A partire da ca. quota 2200 m. il percorso si fa innevato.

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In alto la cresta su cui dovremo arrivare, per svalicarla, poi ridiscendere leggermente e infine affrontare l'ultima salita fino al Bivacco. Interessante il confronto con questo stesso periodo dell'anno precedente (nel thread di Flavio), poiché allora le superfici erano completamente asciutte. Quest'anno invece c'è la neve, ma in compenso sta per iniziare su tutta Italia - quindi anche qui - uno dei periodi anticiclonici e siccitosi più duraturi degli ultimi anni, che si protrarrà per almeno 3 mesi con temperature sopra la media e facendo del 2015 una sorta di "anno senza inverno".

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Alle nostre spalle, sull'altro versante, la Testa Bernarda, ovvero il bastione digradante dal quale ridiscenderemo il giorno successivo, una specie di lunga platea sull'intero Massiccio del Bianco.

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Svalicata la cresta, per chi proviene dal nostro versante si dischiude la vista sul Lago di Licony. Un gioiello esaltato dal valore aggiunto di un abito autunnale che durerà poche settimane.

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Finalmente, da sotto, compare in alto il bivacco. Affrontiamo l'ultima salita, ormai del tutto in ombra.

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Ed eccoci infine arrivati. Appena in tempo per gustarci l'ultima mezz'ora di luce ed il tramonto, che a dispetto delle apparenze arriverà in men che non si dica.

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C'è panchina e panchina. Ecco il tipo di panchina sulla quale mi piacerebbe vedermi seduto anche ad 80 anni. :roll::D

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La parete frontale del bivacco. Su una parete, a fianco della finestra che inquadra al centro il Monte Bianco, è appesa la dedica alla guida alpina cui è intitolato, scritta da uno dei suoi amici che ne hanno curato e finanziato la costruzione. La guida si chiamava Luigi Pascal, valdostano di Morgex, che morì nel luglio 1999 travolto da una valanga sul ghiacciaio del Miage (quello che si vede dietro il collo della ...bottiglia di sinistra) mentre accompagnava tre turisti bergamaschi, rimasti invece tutti miracolosamente illesi. La dedica di questo amico, Bruno Rossini di Pavia, imprenditore e appassionato sportivo ma "iniziato" all'alpinismo proprio da Pascal, si conclude con parole che - vado a memoria - suonano così : "abbiamo costruito questo rifugio facendolo bene, come avresti desiderato tu; ma anche in fretta, come ti sarebbe piaciuto quando dicevi che il tempo non va sprecato". E' datata 2009, a tratti commovente ed ancor più considerando che lo stesso Rossini morirà a sua volta prematuramente solo tre anni più tardi, stroncato da tumore.

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Chissà se in quelle bottiglie c'era un bianco : di sicuro, però, quello con la maiuscola sta dietro :biggrin:

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Come cambiano in fretta, in pochi minuti, i colori. Questa è la finestra poc'anzi accennata : l'unicità del panorama si commenta da sola.
Comunque io e Flavio non passeremo la serata attaccati al fiasco
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:) bensì divertendoci a leggere l'intero libro degli ospiti, e a chiuderlo noi lasciandoci un messaggio scritto sull'ultimo ritaglio di cartone rimasto libero sulla terza di copertina. L'ultimo messaggio lasciato risale a quasi due mesi prima, a conferma che questo bivacco di vetta viene usato per pernottare solo nel periodo estivo.
Siamo dunque gli unici a farlo in pieno autunno, il che restituisce una sensazione del tutto particolare di privilegio e di intimità come uno sbarco lunare, l'incontro tra una pochezza e una grandezza.

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Quando non può più assorbire l'energia di un sole che se ne va, un pannello può però restituire il riflesso del suo commiato: il più bel saluto a cui si possa assistere.

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Momenti che con nessuna cifra si potrebbe mai comprare. Nei quali ci si sente incredibilmente soli e, allo stesso tempo, in simbiosi con qualsiasi altro essere vivente di questo pianeta. Legati in un unico destino come su un'astronave della quale, da qui, si intuisce allo stesso tempo la grandezza ma anche la limitatezza. Un senso di infinito pur sempre "finito".

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Considerato il periodo (prima notte di novembre) e la quota (quasi 3000 m.), non è affatto freddo : consultando a casa le registrazioni della centralina meteo piazzata proprio davanti il rifugio, appureremo che la temperatura era di appena (o bisognerebbe dire "ben") zero gradi.

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Al calar della notte, tutti i rifugi assumono tra loro una inconfondibile e meravigliosa somiglianza. Sono circa le 23 ed il mese di ottobre, per quest'anno, sta per consumare la sua ultima ora di vita.
Ci attende la prima alba novembrina.

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Ed eccola, l'alba. Abbastanza "avviata", per la verità : paghiamo le ore piccole della sera prima.

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La luce sembra proiettata da un'immensa brace.

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Nelle tre foto successive ci siamo portati alla vetta (la Tete de Licony) : appena 120 secondi di ascensione, un record di brevità : sì, perché in pratica sta dieci metri sopra il Bivacco :p

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Sembra di stare in un altro mondo, eppure basta appena affacciarsi - come su un balcone - per scorgere Courmayeur : così vicina e così lontana, col suo odore di civiltà.

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A malincuore, è giunto il momento di ridiscendere...

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...ma ne approfittiamo per immortalare nuovamente il lago di Licony, stavolta in atmosfera mattutina.

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Ci siamo riportati alla quota-neve dei 2200 m. ripercorrendo il cammino dell'andata; da qui in poi lo abbandoniamo dovendo passare sull'altro versante per raggiungere la Testa Bernarda, visibile oltre le rade chiome boschive.

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Qui siamo già in parte risaliti, nel frattempo si è già fatta ora di pranzo e approfittiamo di questo pianoro per rifocillarci. Lungo la risalita abbiamo sorpassato una coppia che poi ci raggiungerà durante la nostra sosta per fermarsi a sua volta a mangiare (nella foto). Solo dopo averci scambiato qualche parola riconosciamo in lui un nome che ci ricorda qualcosa, Massimo Martini: il coautore di una guida su tutti i rifugi della Valle D'Aosta, che Flavio teneva a casa e nella quale appena la sera prima mi ero affondato a leggere per un paio d'ore.

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Il declivio della Testa Bernarda visto in retrospettiva. Da qui si può apprezzare il profilo del grande anfiteatro che abbiamo sostanzialmente percorso dopo la discesa dal bivacco.

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Quando si dice essere delle pulci rispetto alla maestosità...e tali si resta anche ingrandendo le foto.

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Nuovamente la luce pomeridiana ad accompagnarci nell'imminente discesa finale. E ancora il colore saturo degli aghi dei larici a incorniciare il progressivo commiato da una di quelle esperienze destinate a restare indelebili nel cuore. Semplici ed elementari, eppure proprio di quelle che fanno riconciliare con la vita nonostante le amarezze del quotidiano, apprezzarla nel profondo, e percepire quanto valga la pena amarla.

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Veramente speciale, tutto: luoghi, foto e racconto. La tua elegia dell'autunno mi ha fatto grandemente rivalutare una stagione che non è tra le mie preferite. Complimentissimi e grazie per aver condiviso questa esperienza
 
Ciao, Andrea, sei er mejo!
bellissima e commovente descrizione
Non si vagheggiano avventurismi su vette iperuraniche, pendenze rambistiche o superfici acrobatiche. I movimenti vengono ridotti alla loro minima, incomprimibile lentezza; la fatica resta, ma si mantiene temperata e priva di strappi, senza mai diventare una prova muscolare, senza tentazioni prestazionali.
e questo è il passo in cui maggiormente mi ci ritrovo! Grazie mille per avermi fatto riflettere.
 
Ciao @Piervi , leggerti in romanesco fa un po' strano (un po' come quando Papa Wojtila se ne uscì col "volemose bene")
Scherzi a parte, in effetti non mi stupisce affatto, anzi, il tuo esserti ritrovato in quella descrizione, perché in fondo ne rappresenti l'incarnazione.

Leggendo qua e là vedo che, ad esempio, qualcuno "teme" (scherzosamente) che riuscire a scalare un 4000 possa poi diventare una droga sentendosi rispondere da qualcun altro che per lui è stato effettivamente così (v. qui : http://www.avventurosamente.it/xf/threads/ludwigshohe-4-342-m-e-balmenhorn-4-167-m.44712/#post-816818 ).
Evidentemente siamo fatti in modi molto diversi perché, per quanto mi riguarda, di 4000 ne ho fatti un paio, e neppure tra i più semplici, eppure non avverto nessuna urgenza di farne altri, ne serbo il ricordo di esperienze belle ma appaganti : e appunto in quanto tali, me ne sento appagato.
Viceversa, proprio mentre scrivo, se solo non fossi fisicamente bloccato starei già a programmare a furor di popolo un'altra trasferta alpina di qui a un paio di settimane, cercando e selezionando qualche altro angolo di paradiso per rivivere ancora una volta l'autunno di lassù : e proprio l'idea di non poterlo fare, e sapere che l'autunno successivo arriverà soltanto dopo un altro interminabile anno ad un'età nella quale si comincia già a rimpiangere il tempo passato, mi mette quasi in uno stato depressivo. Ecco, per me la droga si è rivelata questa, non il 4000.

Non ho scritto a caso le parole in cui ti sei ritrovato, perché si tratta di due piani tra cui è tutto diverso.
Non solo durante il cammino, ma anche nei momenti di sosta, a cominciare proprio dal pernotto in rifugio.
Quando si deve salire il 4000il pernottamento diventa una semplice "necessità" obbligata, spesso francamente anche sgradevole tra affollamento, sonno ridotto a poche ore e pure disturbatissimo, preoccupazioni assortite, l'idea stessa di trovarsi ancora in uno stato "preparatorio" e la classica "ansia da prestazione" derivante dalla sensazione di "dover" centrare l'obiettivo pena il fallimento e la perdita di senso di tutto quanto. Gli aspetti fisici, logistici, tecnici, meteorologici, insomma pratici, prendono il sopravvento su tutto.
Viceversa un pernotto come quello al Pascal è veramente, sotto qualsiasi aspetto, l'antitesi di tutto ciò : preceduto dal tramonto e seguito dall'alba, esaltato dalla posizione del bivacco, esso rappresenta GIA' l'obiettivo.
Si dice che l'alpinista è colui che posa il piede dove gli altri posano soltanto lo sguardo, ed è vero; però è anche vero che c'è posizione e posizione da cui posare lo sguardo, e farlo da una privilegiata come quella vale quasi quanto posare il piede. Anzi per certi versi di più, perché non c'è l'appannamento della fatica estrema bensì la lucidità fisica e psichica e la serenità di fondo dello stato d'animo. Ed anche perché non c'è nemmeno la fretta di andar via : quel desiderio di dilatare e prolungare attimi piacevoli può trovare meravigliosa soddisfazione. Si gode e si gusta, nel senso più pieno e più completo dei due termini.

Approfitto dell'occasione per dire che però riguardo al Pascal, nello specifico, c'è anche altro.
In momenti successivi mi è venuto da riflettere su uno di quei paradossi che rende unica la montagna : questo rifugio (e quindi le esperienze bellissime che permette) si può dire che sia nato sulle ceneri di una tragedia, perché è stato costruito e intitolato proprio alla memoria di una guida alpina che la montagna ha voluto trattenere per sempre con sé.
Luigi Pascal - o quel che ne resta - sta lì, dirimpetto al rifugio, nel ghiacciaio del Miage.
E' veramente un tutt'uno con la sua montagna. Ma se non fosse rimasto tragicamente lì, da quando aveva appena 30 anni, ora non ci sarebbe neanche il rifugio. Ed io - come tanti altri - non avrei mai potuto provare certe sensazioni e raccontarle.
A sua volta, chi ha costruito il rifugio ha fatto appena in tempo a godere della sua realizzazione perché poi, per quelle crudeli vicissitudini della vita, se n'è andato prematuramente anche lui : ma se non ci fosse stato lui, proprio ed esclusivamente lui, non ci sarebbe stato neppure il rifugio poiché nessun altro avrebbe avuto un'amicizia così profonda in nome della quale trovare la forza e le motivazioni per realizzarlo (ed anche metterci i soldi).
Sembra cioè che questo bivacco sia stato non solo il frutto tangibile di un'amicizia senza la quale non sarebbe mai esistito : ma anche la testimonianza di una tale profondità di quel rapporto, da essere sopravvissuto persino alla morte di entrambi. Permettendo a tante altre persone autentiche esperienze di vita. Come dire: "fecondate" da due morti.
E' un pensiero, questo, che mi ha fatto un po' accapponare la pelle.
E non mi ha fatto esitare un attimo, quand'è arrivato il momento, a donare il 5 per mille all'omonima fondazione che lo cura. Il minimo che potessi fare per esserne stato ospite, insieme con @berserker (Flavio), ed esprimere gratitudine per quella notte magica.

Un caro saluto.
 
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Poesia, magia, perfezione, bellezza. Queste sono le parole che mi vengono in mente guardando le vostre foto (le foto sono tue, ma l'avventura l'hai condivisa e vissuta con Flavio).
In più una chicca: andare a letto la sera e svegliarsi la mattina con quel panorama credo vale cento volte di più di qualsiasi hotel a cinque stelle, e so di persona cosa voglia dire dormire in quota in luoghi da sogno.
Complimenti, e grazie della condivisione Andrea
 
Ed anche perché non c'è nemmeno la fretta di andar via : quel desiderio di dilatare e prolungare attimi piacevoli può trovare meravigliosa soddisfazione. Si gode e si gusta, nel senso più pieno e più completo dei due termini
gioia e dolore della mia vita...la certezza che prolungare certi momenti sia possibile, contrapposta alla consapevolezza che ciò può accadere molto raramente, e in un lasso di tempo così limitato da volare via in un attimo
 
foto davvero orrbili....ahahah... sto giro lo metto nella cartella! bellissimo..
una domanda...
in invernale come giudicate la sicurezza del tragitto? rischio slavine?
 
foto davvero orrbili....ahahah... sto giro lo metto nella cartella! bellissimo..
una domanda...
in invernale come giudicate la sicurezza del tragitto? rischio slavine?

Ciao @Zingarellasport
In invernale non saprei dirti poiché non l'ho mai fatto, dovresti chiedere al mio amico anche se credo non l'abbia fatto neanche lui. Ad occhio e croce tuttavia il pericolo di slavine non dovrebbe essere superiore a quello "normale" connesso a particolari condizioni meteo (neve fresca, rialzi termici, ecc.) che potrebbero verificarsi in qualsiasi contesto, poiché i tratti in pendenza sono severi ma non certo impossibili né ci sono particolari morfologie che favoriscono accumuli nevosi, o seracchi, ecc.
Addirittura in certi punti la salita è stata "gradinata", come si vede nella foto allegata dove gli scalini sono stati però già in buona parte coperti da neve (ma è solo per ribadire l'accessibilità delle pendenze). Di solito la localizzazione di questo tipo di rifugi tiene conto anche del percorso necessario per arrivarci, che per ovvi motivi non dovrebbe comportare pericoli superiori alla media.
Semmai il problema potrebbe essere la neve troppo alta che mette fuori uso anche le ciaspole, come accaduto al mio amico su un altro percorso che aveva tentato due anni fa dovendo tornare indietro a metà; e che invece, anche quello, abbiamo poi invece portato a conclusione insieme l'anno dopo (anche di quello metterò foto e relazione, e il confronto con l'anno prima renderà perfettamente l'idea della differenza tra autunno e inverno).
 

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Poesia, magia, perfezione, bellezza. Queste sono le parole che mi vengono in mente guardando le vostre foto (le foto sono tue, ma l'avventura l'hai condivisa e vissuta con Flavio).
In più una chicca: andare a letto la sera e svegliarsi la mattina con quel panorama credo vale cento volte di più di qualsiasi hotel a cinque stelle, e so di persona cosa voglia dire dormire in quota in luoghi da sogno.
Complimenti, e grazie della condivisione Andrea

No, no, le foto sono SUE, lo avevo pure scritto nella relazione. Anzi, colgo l'occasione per ripeterlo perché ci tiene (anche se non lo dà a vedere :D ) : sono SUE , sue, sue :rofl: (tranne solo ovviamente quelle in cui è ripreso lui).
Io in quell'occasione non avevo ancora la macchinetta adatta e comunque, quand'anche l'avessi avuta, penso non sarei stato all'altezza di farle come lui.

Ci vuol tempo e soprattutto ci vogliono occasioni per farci la mano: quelle che - beato lui - ha avuto per due anni mentre io stavo senza macchinetta proprio perché non avrei neppure saputo dove usarla.
 
Viceversa, proprio mentre scrivo, se solo non fossi fisicamente bloccato starei già a programmare a furor di popolo un'altra trasferta alpina di qui a un paio di settimane, cercando e selezionando qualche altro angolo di paradiso per rivivere ancora una volta l'autunno di lassù : e proprio l'idea di non poterlo fare, e sapere che l'autunno successivo arriverà soltanto dopo un altro interminabile anno ad un'età nella quale si comincia già a rimpiangere il tempo passato, mi mette quasi in uno stato depressivo
Non so, io non la vedo proprio così; è il desiderio il vero snodo intenzionale dell’essere umano (e anche degli altri animali comunque), è la più immediata espressione della nostra soggettività, che oltrepassa il bisogno e in un certo senso gli dà significato: vivo in quanto desidero, vivo nell’esprimere dei desideri che mi pervadono e danno forma alla mia presenza.
Insomma è il desiderio che ci tiene vivi. E a me, insieme a queste meravigliose immagini e al tuo racconto, continua a risuonare nella testa una frase, trovata nelle pagine informative su questa escursione: itinerario percorribile con cani al seguito... (insieme a quella "non ce posso fare..." :unsure:). Conoscendomi, lo so come finirà. Se non quest'anno, il prossimo. E anche di questo vi ringrazio, tu e Berseker
 
di 4000 ne ho fatti un paio, e neppure tra i più semplici, eppure non avverto nessuna urgenza di farne altri, ne serbo il ricordo di esperienze belle ma appaganti : e appunto in quanto tali, me ne sento appagato.
E' anche la mia filosofia personale.
La meta .... è giusto raggiungerla perchè se no non si chiamarebbe "meta".
Non guardo mai l'altezza del monte ma quello che esso mi suscita nella mente e nel cuore: può essere il toponimo, quel che esso significa per me, la forma o anche l' impegno che ci devo mettere per raggiungerlo.
Può essere una cima sconosciuta a cui nessuno pensa: è bello (solo per me) essere quasi il primo.
Può essere un qualsiasi posto fantastico senza nome.
Può essere anche un bivacco di cui ti sei innamorato che magari impieghi qualche giorno per manutenerlo
Può essere anche una montagna di 700 mt d'altezza che tanti scagnano perchè piccola ma a te ha dato tanto
Per questo prediligo le cime di 2980 metri o 1990 che essendo sottovalutate dai cacciatori (che sono i più), ti possono dare veramente tanto.
 
Non so, io non la vedo proprio così; è il desiderio il vero snodo intenzionale dell’essere umano (e anche degli altri animali comunque), è la più immediata espressione della nostra soggettività, che oltrepassa il bisogno e in un certo senso gli dà significato: vivo in quanto desidero, vivo nell’esprimere dei desideri che mi pervadono e danno forma alla mia presenza.
Insomma è il desiderio che ci tiene vivi. E a me, insieme a queste meravigliose immagini e al tuo racconto, continua a risuonare nella testa una frase, trovata nelle pagine informative su questa escursione: itinerario percorribile con cani al seguito... (insieme a quella "non ce posso fare..." :unsure:). Conoscendomi, lo so come finirà. Se non quest'anno, il prossimo. E anche di questo vi ringrazio, tu e Berseker

Scusami se ti rispondo solo adesso, in mezzo agli altri post me l'ero perso :)

Non mi soffermo sul precedente (l'elegia dell'autunno) solo perché nel frattempo si è aggiunto questo che tocca "il" punto.
Anch'io sono sempre stato un convinto sostenitore dell'equazione "desiderio = vita". Probabilmente il male oscuro di gran parte della società è proprio di non desiderare nulla con sufficiente forza, di non avere uno o più "oggetti d'amore" intendendo con ciò cose che non siano mode, infatuazioni, semplici hobby, o persino passioni ma prive di quella frequenza, costanza, sistematica sete di conoscenza approfondita, che solo gli oggetti d'amore hanno ("Si conosce solo ciò che si ama" diceva Sant'Agostino).

Però, forse anche per le vicissitudini seriali che mi hanno perseguitato appunto impedendomi di soddisfare gran parte di questi desideri, soprattutto negli anni migliori della mia vita, posso dire con cognizione di causa che le cose son due : se uno si crogiola nei desideri senza però mai provare l'urgenza di soddisfarne mai nessuno, allora vuol dire che non sono realmente desideri; se invece sono veramente desideri, a un certo punto cominciano a scottare, a bruciare, diventano indilazionabili. E in quel caso si getta il cuore oltre l'ostacolo; oppure, se l'ostacolo è insormontabile, si sta male.

A un certo punto nella vita si smette di dire la fatidica famigerata frase "Sarà per un'altra volta". Perché capisci che un'altra volta avrà un sapore diverso, oppure risulterà un' "altra cosa", oppure ancora rischierà proprio di non esserci, un' "altra volta". A quel punto resta solo il carpe diem.

Ciao.
 
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No, no, le foto sono SUE, lo avevo pure scritto nella relazione. Anzi, colgo l'occasione per ripeterlo perché ci tiene (anche se non lo dà a vedere :D ) : sono SUE , sue, sue :rofl: (tranne solo ovviamente quelle in cui è ripreso lui).
Io in quell'occasione non avevo ancora la macchinetta adatta e comunque, quand'anche l'avessi avuta, penso non sarei stato all'altezza di farle come lui
chiedo venia! :biggrin: bellissime le foto di Flavio, il quale a questo punto, ha condiviso con te questa bella avventura :si:
 
Caro Andrea, verrà il giorno in cui farò una breve vacanza fuori stagione sulle Alpi soltanto per avere il piacere di gustarmi le prime nevi che contrastano con i larici dorati. Purtroppo per un inguaribile romantico del cavolo come me, non ci sono speranze e la montagna non riuscirò mai ad affrontarla con la "necessaria" rudezza di un vero montanaro.
Soffermarmi sempre su certe sfumature e particolari per me è necessario. Che ce posso fà? E poi mi piace così.
 
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