Diario delle sensazioni

"PARTIRE E' UN PO' MORIRE"

Le previsioni del tempo per questo week-end di Pasqua mi hanno indotto a scombussolare i programmi. Come già l'anno scorso e come nelle migliori tradizioni, la pioggia sembra "aspettare" apposta le agognate feste per tornare a presentarsi, tanto più beffarda in quanto ritardataria (da quanto manca a Roma ? Un mese? Non credo di meno ).
Semprechè le previsioni si rivelino esatte (anche i pastrocchi "al contrario" non si contano: ricordo in TV albergatori che volevano chiedere i danni ai meteorologi per aver indotto centinaia di migliaia di persone in Versilia a disdettare "le prenotazioni causa maltempo", per poi scoprire che ci sarebbe stato il sole), ho fatto quello che di solito non faccio mai: ossia anticipare al sabato quanto programmato per la domenica.

Come ho detto nella presentazione, il mio pallino è la bicicletta.
La considero null'altro che una sorta di "protesi" del corpo per fare esattamente lo stesso che, altrimenti, farei camminando: andare a immergermi in quei "quadri" naturali che, spesso, mi capita solo di ammirare in foto, vedere in lontanazna oppure solo immaginare nella fantasia. E diventare "parte" (vivente) di quei quadri.
"Datemi una leva e vi solleverò il mondo" diceva Archimede alludendo al miracolo moltiplicativo delle forze consentito da semplici leggi fisiche. E allo stesso modo per me la bicicletta è la "leva moltiplicativa" del trekking, quella che mi consente cioè di fare "cinque in uno", o di restringere un'esperienza in un quarto del tempo.

Purtroppo il fatto è che a Roma, in giorni feriali, per girare in bici (almeno finchè non si esce dalla città, ma sono comunque chilometri) bisogna prima votarsi a qualche santo. Si rischia la pelle. Potrei fare un elenco lungo come un papiro, un'autentica galleria degli orrori, delle manovre spericolate o semplicemente incoscienti dei "bravi automobilisti" che ci ritroviamo in giro, forse proprio in quanto "sempre, costantemente ...zzati come una bestia" (secondo l'esilarante parodia che ne faceva qualche anno fa un noto comico). Ridiamoci, su queste mine vaganti...giusto per non dover piangere.

Ho aggirato il problema partendo alle 14, ora in cui i romani si ritrovano ancora coi piedi sotto il tavolo, o assorti in pennichelle, o sui divani o comunque, in gran parte, NON in giro !
E mi sono diretto (perdonate se solo per qualche riga mi rivolgo ai romani; agli altri i posti che citerò diranno poco o nulla) verso Monte Morra, dalla cui cima comincia il sentiero verso i laghetti di Percile. In realtà le strade sono due, che "aggrediscono" il monte da due versanti diversi. Entrambe le strade si dipartono dalla provinciale che unisce l'abitato di Marcellina (in basso) con quello di San Polo dei Cavalieri (più in alto): la prima partendo da poco sopra l'abitato di Marcellina; l'altra, invece, direttamente dal paese di San Polo dei Cavalieri.
Per chi non lo sapesse (e giusto per far notare quante volte, persininconsapevolmente, noi trekkaroli approfittiamo di piccoli grandi scempi perpetrati in un lontano passato) si tratta di due strade che dovevano essere una sola, ossia costituire un collegamento tra i due paesi del tutto alternativo alla provinciale già esistente, con l'unica differenza di passare da più in alto, appunto dal Morra. Tra i due tronconi manca il tratto centrale, che non fu mai costruito perchè a loro tempo gli ambientalisti si opposero ferocemente a quello che sarebbe stato un autentico squarcio nella montagna, passante proprio dalla cima. Considerando che oltetutto la strada nei giorni feriali è praticamente deserta, ciò dà l'idea della concezione folle che si aveva del rapporto con l'ambiente appena qualche decina d'anni fa: si riusciva a elaborare progetti simili a sfregi fini a se stessi, che oggi una qualsiasi valutazione d'impatto ambientale boccerebbe seduta stante addirittura "a vista" per la sciaguratezza e il non-senso.
Sta di fatto, però, che i due tronconi son rimasti ed oggi fungono a tutti gli effetti da strade-picnic della domenica, quello che io chiamo l'effetto-funivia: rendere artificialmente accessibile a tutti (grazie alle auto) quei tesori che la natura di per sè dispenserebbe solo ai "meritevoli" e al giusto prezzo di una sana fatica.

Posso dire che non tutto il male vien per nuocere: domani e ancor più dopodomani quelle strade sarebbero state un inferno, una sorta di Via del Corso in trasferta, e questo a prescindere dal brutto tempo, anzi, ancor più con un eventuale bel tempo "a sorpresa" (è un classico che questi posti facciano da "rimedio-last minute" per tutta la gente preparata alla pioggia e invece presa in castagna da un sole inaspettato).
Invece oggi era il deserto ! Sì, quella solitudine meravigliosa che lo diventa ancor più al pensiero che già l'indomani sarà un ricordo !

Tale era la felicità, talmente magico il clima (quel prodigioso equilibrio tra caldo, freddo, brezza e umidità, tutti modulati da una mano invisibile sul "tasto benessere"), quella luce tersa, una luce "di taglio" che crea nel paesaggio giochi di ombre e profili netti e che rendeva visibile addirittura il mare in lontananza, che la conseguente (chissà..) moltiplicazione di energie mi ha spinto a fare entrambi i versanti, salendo, discendendo, risalendo e poi definitivamente ridiscendendo.

Per chi conosce quei posti, la strada "bassa" (quella molto più ripida e lunga) è indiscutibilmente anche la più bella. Tornante dopo tornante, sono giunto su, in quella sorta di enorme anfiteatro a "imbuto" leggermente declinante, coperto da prati, punteggiato da animali al pascolo e tutt'intorno dalla più varia vegetazione, sono sceso di bici, l'ho appoggiata a una quercia gigantesca e mi sono seduto vicino a questa, in un punto strategico dal quale si inquadravano in modo perfetto e in successione, come in un obiettivo fotografico, il vicino paese, poi la lontana distesa pianeggiante con Roma, infine la costa e il mare, luccichìì compresi.
Girando lo sguardo, quindi appena a "prezzo" di una semplice torsione del collo, tutto questo scompariva e lasciava spazio alla visione di tutto ciò che stava più in alto. E da una parte le prime chiazze di verde in tanto grigio, il modo in cui una natura fremente di energia per la milionesima primavera occhieggiava a chiunque l'avesse degnata di attenzione; dall'altra un brullo ghiaione, quasi a ricordare che la stessa natura è "anche" l'immobile e immutabile pietra. Cambiamento ed immobilità; vita e morte accostate; un paesaggio diviso tra un "sopra" e un "sotto", la dominazione e il soggiogamento, anch'essi a portata di una girata di sguardo.

Ecco: in quel momento mi è presa la sensazione fatale. Quella di voler "restare lì". Assopirmi sotto i rami di quella quercia secolare, già punteggiati di gemme, in una lenta ma irresistibile eutanasia, quasi al canto di una sirena interiore, lasciarmi andare all'immaginazione di trovarmi in una fiaba.
Non ho ceduto. Una volta mi è accaduto davvero di addormentarmi, e non vi dico il turbo che ho dovuto mettere al ritorno per non farmi travolgere dal buio incombente.
Però quando non cedo a quella sensazione ne sorge, altrettanto fatale, una di segno opposto: partire è un po' morire.

Ecco, è questo che volevo condividere con voi e sapere se mai vi è capitato: arrivare in un posto così coinvolgente, nel quale vi sentite così carpiti nell'anima, in cui provate sensazioni che vanno al di là del fisico (quindi si potrebbe dire meta-fisiche) da non voler più andar via, da volervi quasi lasciar "rapire" da quel luogo. Ho pensato a questo perchè dev'essere qualcosa di atavico, qualcosa di strano scritto nel codice genetico di chi ama la montagna questa sorta di sindrome di Stoccolma, amare il proprio rapitore. A livelli più estremi, quanti alpinisti sfidano il pericolo ben al di là dei normali limiti proprio perchè l'ipotesi di restare per sempre "lì" non li spaventa, anzi, ma sarebbe il loro anelito inconfessato. Qualche volta è stato lasciato scritto persino nei loro diari.

Cercherò nel tempo di raccogliere qui e condividere le varie sensazioni che possono prendere chi cammina. Oggi ho voluto inaugurare questa sorta di diario con la prima, che ho sintetizzato in "partire è un po' morire" (dove magari potrei mettere in fondo il punto interrogativo). In altre parole, sovviene mai nel "cammino", ogni tanto, in certe circostanze, il pazzo estemporaneo desiderio di non voler "tornare" ? E non perchè magari in quel momento ci sono tornati in mente i soliti problemi della quotidianità; ma semplicemente perchè all'improvviso ci sembra di essere stati catapultati in una sorta di estasi, la consapevolezza che in qualunque altro posto, per quanto possiamo star bene, non riusciremmo mai a star meglio che lì in quel momento.

Un saluto.
 
Io condivido pienamente. Spesso mi capita di non voler tornare indietro ma anche, e io la chiamo la sindrome di Ulisse, di proseguire per vedere cosa c'è dietro la curva del sentiero o una collina o un boschetto. Forse viene dal DNA: sentirsi a proprio agio nell'ambiente nel quale ha avuto origine la specie Uomo
 

Mais

Guest
Mi soffermo solo a rimarcare il piacere di riscontrare che in qesto forum ritrovo gente e sensazioni per le quali fino a poco tempo fa mi sentivo un estraneo nel mondo ...

Grazie!
 
Molto bella questa prima pagina di diario e aspetto di leggere le prossime.

Conosco bene le due salite che nomini (fatte solo in macchina però, anche se la salita per Monteflavio l'ho fatta in bici, quindi vorrei fare anche queste quest'anno) quindi ho potuto far corrispondere le immagini a quello che leggevo
 
se non ci fornissero emozioni così profonde non ameremmo tanto andare in certi luoghi ^_^ Grazie dello sguardo nel tuo animo
 
"PARTIRE E' UN PO' MORIRE"

.......In altre parole, sovviene mai nel "cammino", ogni tanto, in certe circostanze, il pazzo estemporaneo desiderio di non voler "tornare" ? E non perchè magari in quel momento ci sono tornati in mente i soliti problemi della quotidianità; ma semplicemente perchè all'improvviso ci sembra di essere stati catapultati in una sorta di estasi, la consapevolezza che in qualunque altro posto, per quanto possiamo star bene, non riusciremmo mai a star meglio che lì in quel momento.

Un saluto.


Purtroppo SI, dico purtroppo perchè poi, si torna sempre anche se con un ricordo bellissimo in più in grembo.

Condivido pienamente questo pensiero quasi metafisico ma, lo provo troppo spesso per ricordarne solo qualche affioramento.
Non perchè mi trovo spesso in chissà quali Paradisi, ma è proprio perchè alcuni luoghi, nonchè la mia sete di conoscere e di andarmi a guardare ogni angolino, molto spesso mi fanno amare il luogo che in quel momento diventa la mia Dimora Temporanea.
La maggior parte delle volte, provo questa sensazione quando sono immerso in una faggeta intricata ove non sento che profumi di Natura, versi di animali, lo strusciare dei rami sui rami, il vociare del vento tra le fronde.
E' una bellissima sensazione cui con amarezza mi allontano mio malgrado per ritornare tra le mura domestiche.
Spesso mi faccio tentare dall'oblio di fermarmi lì, e una sana pennichella sotto un faggio, al limitare del bosco, me la faccio e quando mi rialzo scopro di avere dentro una piacevole sensazione di sopimento (non dovuta al sonno in se) che mi spinge a pensare che...tornare e ricominciare tutte quelle faccende di lavoro, di casa, della vita solita, è un lasciarsi morire lentamente e che in realtà mi stanno facendo perdere tempo.

Ho detto alla mia donna di accompagnarmi in un determinato posto il giorno che mi ritroverò in fin di vita...mi basterà poter avere la forza di percorrere un quarto d'ora con le mie forze per lasciarmi andare alla vita e precipitare in quel posto che mi ospiterà in eterno,...chissà, probabilmente accadrà tutto il contrario, ma ci spero sempre.

Grazie di questo post.
 

Mais

Guest
"PARTIRE E' UN PO' MORIRE"

.......In altre parole, sovviene mai nel "cammino", ogni tanto, in certe circostanze, il pazzo estemporaneo desiderio di non voler "tornare" ? E non perchè magari in quel momento ci sono tornati in mente i soliti problemi della quotidianità; ma semplicemente perchè all'improvviso ci sembra di essere stati catapultati in una sorta di estasi, la consapevolezza che in qualunque altro posto, per quanto possiamo star bene, non riusciremmo mai a star meglio che lì in quel momento.

Un saluto.

Quel pazzo estemporaneo desiderio di cui parli Henry a me sovviene da un po' di tempo sempre più spesso e sempre più forte ...

Aiuto!
 
CICALE E FORMICHE

Oggi era una bellissima giornata. Almeno i tanti che abitano a Roma e dintorni se ne saranno accorti: uno "stacco" netto, nitido, quasi un "reset" nell'aria, nel clima, credo - di conseguenza - anche nel fisico.

Certo, ventosa. Ma mai come dopo i lunghi assedi del caldo soffocante, come quello (che sembra) finito ieri, il vento ha un effetto refrigerante, dà una sensazione di rinascita, e soprattutto ha sui colori del paesaggio l'effetto che si vede nella pubblicità quando si passa la spugna imbevuta di Mastrolindo sulle piastrelle: queste da opache diventano subito lucide e scintillanti. Improvviasamente scompare quella fastidiosa foschia opprimente, carica di umidità, che si frappone negli spazi come una coltre grigiastra, e tutto ridiventa vivido, acquista volumi, intensità cromatica, i contorni riprendono contrasto, tutte le figure in successione riprendono il giusto rilievo. Sembra una liberazione per l'occhio, che torna a spaziare, a vedere allungarsi le linee d'orizzonte, sono quei magici momenti in cui si torna a riassaporare un dono - quello della vista - che ovviamente per il 99,99% del tempo della nostra vita neppure ci accorgiamo di avere.

Certo, anche quando le pianure sono soffocate in montagna si respira un'aria diversa.
Nel salirci sembra di forare le nuvole come quando si vola in aereo, per poi guardare dall'alto, con un pizzico di sadismo, la tortura a cui sono condannati tutti quelli che stanno "sotto" di noi. Ma quando arrivano giornate come queste, allora è l'apoteosi, non c'è più separazione, il vento spazza tutto, in alto, in basso, si intrufola, sembra indebolirsi, e invece riacquista forza, gira, cambia direzione (sembra di averlo quasi sempre contro !) e pare di assistere a una ininterrotta "lucidatura" dell'aria, e sembra cambiare perfino la luce, trovare anch'essa spazi prima preclusi, e donare nuove sfumature, nuovi profili, nuovi contrasti.

In questa giornata così, però, la cosa su cui alla fine mi sono soffermato di più è stata tutt'altra. Per ore, anche all'ombra dei boschi, nonostante la rinfrescata, è stato un continuo frinire di cicale nelle orecchie. Sarà capitato anche a voi ? In questo periodo, tutti gli anni, è un suono assordante, asfissiante, praticamente peggio delle trombette sudafricane (le vuvuzelas), un trapano... che si riesce a sopportare solo "imponendosi" di non farci caso e pensando a tutt'altro: che se ci si fa caso, è la fine.
E fin qui tutto nel normale ordine delle cose.
Proprio sul ritorno a casa, però, ai limti della città, mi son fermato a una fontanella, e poi seduto sotto una pensilina dei bus che stava lì accanto. Chino gli occhi a terra e l'attenzione mi cade su alcune formiche, in particolare una che stava trascinando qualcosa di "mostruosamente" più grande di lei, che sembrava una specie di crosta di pane. Anche qui, cosa normale osservare il lavoro indefesso delle formiche intente sempre a trasportare qualcosa, e spesso più grande di loro. Ma mai avevo visto tale sproporzione. Mi chino di più, guardo meglio, e scopro che in realtà le formiche son due, e quella non era una crosta di pane, ma una piccola lamina di legno (lo strato più esterno della corteccia). Due formiche - e a un certo punto addirittura tre ! - che si coordinavano in modo mirabile a trasportare quel colosso, barcamenandosi su un tappeto di aghi di pino rinsecchiti, passandoci talvolta sopra, talvolta sotto, talvolta di lato, con una delle due formiche che ogni tanto, di fronte a un ostacolo particolarmente difficile, si "sganciava" lasciando ferma l'altra, andava in avanscoperta per individuare il percorso migliore e poi tornava !
Roba che mi sono detto: fossi bravo a far trekking come queste qui a superare ostacoli 100 volte più grandi di loro, andare sull' Everest sarebbe una gita !

Sono rimasto lì, affascinato, per un buon quarto d'ora... ed è lì che il pensiero mi è riandato alle cicale di qualche ora prima, e mi ha suggerito il classico confronto del noto proverbio. In una giornata comunque torrida, le cicale lì fisse a frinire, e le formiche a dannarsi l'anima per trasportare, mettere da parte, costruire.
Tra non molto sarà autunno, e poi l'inverno. E i destini saranno differenti.
 
M

millamilla

Guest
Sono rimasto lì, affascinato, per un buon quarto d'ora... ed è lì che il pensiero mi è riandato alle cicale di qualche ora prima, e mi ha suggerito il classico confronto del noto proverbio. In una giornata comunque torrida, le cicale lì fisse a frinire, e le formiche a dannarsi l'anima per trasportare, mettere da parte, costruire. Tra non molto sarà autunno, e poi l'inverno. E i destini saranno differenti.

E già... L'eterno dilemma è: cicala o formica? La cicala, canta, non pensa al domani, sta lì, si vive la vita e tutto ciò che ha intorno: la formica lavora e fatica, a non finire, pensa al domani, sembra che viva solo per quello e non si vive solo per quello... Però, però... Credo, anzi, sono certa, che la giusta via sia ancora una volta quella di mezzo, quella dell'equilibrio... Viversi la vita perchè ne abbiamo una e le cose non tornano, ma non dimenticare mai che il lavoro della formica è importantissimo, costruire, pensare al domani... Credo di esserci quasi... ;)
 
Non avevo mai visto 2-3 formiche interagire in quel modo stupefacente nel riuscire a fare quello che per noi sarebbe l'equivalente di trasportare in due almeno un paio di tronchi (diciamo 7-800 kg. a testa) lungo l'intero tragitto di un nostro trekking scavalcando rocce, dirupi, aggirando ostacoli di tutti i tipi.

In precedenza le avevo sempre viste muoversi da sole, ma a colpirmi è stata soprattutto l'armonia dell'intesa nei movimenti .

Di conseguenza, pur avendo avuto anni per farlo, mi son voluto togliere qualche curiosità su Wikipedia. E in effetti le curiosità a cui danno luogo sono tantissime, e danno luogo a un lenzuolata che però merita davvero di essere letta (come comunicano, i ruoli, l'intelligenza, il comportamento, ecc.).
Le curiosità più ovvie sono il peso e l'età. Bene: che ciascuna pesa in media 8 milligrammi: come dire che per fare 8 kg ce ne vogliono un milione, e ciascuno di noi "equivale" in peso, più o meno, a 7-10 milioni di formiche: non male ! Sospettavo una cosa simile, ma non fino a questo punto: mi affascinano, non so perchè, gli animali estremamente grandi e quelli estremamente piccoli, trovo che uno dei più bei miracoli della natura sia vedere impressi interi complessi di istinti genetici e codici comportamentali in esseri così "miniaturizzati" dove già verrebbe solo da chiedersi come possano "distinguersi" i singoli organi !
Quanto all'età, le regine (formiche riproduttrici, che stanno sempre nei formicai senza uscire mai allo scoperto) possono arrivare fino a 26 anni !!!!!!!!!!
A parte il contrasto ancora più stridente con le cicale (che nel loro canto a squarciagola per una sola estate sembrano quindi ancor più l'emblema della vita fatua che non lascia tracce) ...direi che sarà il caso d'ora in poi di pensarci due volte prima di schiacciarle, anche per sbaglio: potrebbero in qualche caso essere perfino più vecchie di molti di voi !!!! :biggrin:

Un saluto.
 
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