C'è del vero nella teoria che l'uomo non è fatto per mangiare latte tutta la vita. A quanto ne so io, quando il consumo di latte viene interrotto per un periodo di tempo abbastanza lungo, il corpo capisce di "essere stato svezzato" e smette di produrre quegli enzimi che favoriscono la digestione del latte.
Penso che per ragioni culturali in Cina non si consumi latte - e quindi la maggior parte della popolazione smette di produrre enzimi - mentre in Norvegia si prosegue tutta la vita - magari perché il latte viene visto come una importante risorsa di vitamine in un paese storicamente povero di verdure.
C'è però da dire che il formaggio, oltre ad essere una delle cose più buone del mondo, contiene grassi che sono più "semplici" da digerire di quelli del latte. E' in un certo senso "predigerito". Il formaggio è in realtà digeribilissimo, in particolare se accoppiato a tanta buona verdura e buon vino
Sono convinto che si possa tenere un regime vegetariano e anche vegano senza alcuna conseguenza sull'organismo, il problema secondo me è la difficoltà pratica di farlo in una società che non gira intorno a quel tipo di dieta.
La mensa dell'ufficio o della fabbrica, o il pasto veloce al bar, danno poche alternative al vegetariano o vegano. Quando sei al ristorante con gli amici non puoi ripiegare sempre sulla mozzarella o la scamorza o la frittata (o per il vegano, gli spinaci ripassati in padella, non so). Piano piano, imparando nuove ricette, assumendo nuove abitudini (come quella di fare il "fagottaro" in ufficio) ecc. si può cambiare dieta radicalmente ma secondo me va fatto con la necessaria gradualità proprio per evitare che diventi una nevrosi.
L'olio di palma è uno dei migliori oli vegetali e non a caso ne è permesso l'uso per fare il cioccolato (in Italia fino a poco tempo fa non poteva essere denominato "cioccolato" un prodotto che faceva uso di olio di palma, ma nel resto d'Europa in genere non era così).
La scelta vegana come scevra da "sfruttamento" mi sembra il massimo della sega mentale. Le api riconoscono l'apicoltore e non lo aggrediscono. Evidentemente l'apicoltore vive in simbiosi con le api. Le api ottengono dall'apicoltore dei servizi, come la predisposizione di una capace arnia (un sacco di fatica risparmiata), e verosimilmente la difesa dai predatori, forse da alcune malattie, non so. Fatto sta che le api NON SI LAMENTANO dell'essere in arnia, altrimenti potrebbero sciamare via tranquillamente per mai più tornare.
Qual'è il grado di sega mentale di uno che non consuma miele perché "sfrutta" le api? E' fuori scala.
I maiali bradi dei monti lepini, lasciati a pascolare senza cani, ma anche mucche, tori ecc. potrebbero, immagino, ben tentare la fuga. Se non lo fanno, immagino sia perché temono i lupi. Il maiale, la mucca, allevati allo stato brado ricevono dall'uomo una vita relativamente tranquilla, cibo assicurato tutti i giorni, e se potessimo chiedere loro perché rimangono vicino al carnefice (che al campo ci viene magari due volte a settimana) ci risponderebbero forse "perché non sono fesso". Stando vicino all'uomo muoiono una volta sola e chissà quando, stando alla mercé dei lupi hanno un infarto a notte e vivono meno. I maiali sono bestie razionali.
Riguardo la incompatibilità ambientale della carne (per fare una porzione di carne "consumo" dieci porzioni di cereali, se consumassi i cereali darei da mangiare al decuplo della gente), come sottolineato da altri penso sia un discorso superficiale.
Ieri sulla via del Campo di Segni ho incontrato un gregge di capre. Le graziose bestiole come noto brucano arbusti su terreni scoscesi. L'uomo mai e poi mai potrebbe né mangiare quegli arbusti, né coltivare quei terreni troppo scoscesi, troppo sassosi, troppo secchi ecc. La capra trasforma in cibo (carne, latte) biomasse non utilizzabili dall'uomo.
Da sempre l'uomo alleva il maiale a costo 0, non a caso è allevato in tutto il pianeta - pregiudizi religiosi a parte - cioè vai in Cina, in Tailandia e trovi il maiale.
Il pollo richiede pur sempre granaglie. Il maiale d'aia si nutre letteralmente di immondizia. Il maiale d'aia è un fantastico produttore di cibo gratis anche dal punto di vista ecologico.
C'è poi il fattore distanza che nessuno ha citato.
Se l'Abruzzo è tanto ricco di pascoli non è perché nessuno è stato così intelligente da pensare di coltivare la terra. La coltivazione della terra richiede - oltre ad acqua e climi adeguati - la prossimità al mercato di smercio. La campagna romana o l'entroterra napoletano sono densamente popolati e coltivati perché, da sempre, c'è l'ampio mercato romano, o napoletano, da rifornire.
Se coltivi pomodori in una sperduta e inaccessibile valle abruzzese poi dove li porti? Quanto cosa portarli al mercato? Qual'è il tuo margine? Come ci arrivano?
La pecora trasforma erba
lontana dal mercato di smercio in carne facilmente avvicinabile al mercato di smercio. L'economia pastorale della Sardegna, la Scozia, l'Abruzzo ecc. sono il risultato di una semplice verità di geografia economica*.
Coi mezzi moderni puoi produrre fiori di zucca ovunque e trasportarli in aereo prima che appassiscano, ma il problema della competitività rimane. Per molte zone, il pascolo rappresenta una concreta forma di sfruttamento possibile e a basso rischio, mentre l'agricoltura rappresenterebbe una forma di sfruttamento del suolo ad alto rischio economico.
Ancora: gli animali che impestano di letame le faggete che frequentano (Monti Lepini) francamente penso che non bruchino solo arbusti, ma anche faggiole, ghiande. L'uomo "coltiva" le foreste non solo per il legname (come energia, come materiale da costruzione) ma anche perché la foresta è in sé stessa pascolo. Non si potrebbero, concretamente, mangiare tutte quelle ghiande e tutte quelle faggiole. Le si converte in carne e latte. Non c'è un "costo opportunità", non avremmo ottenuto 10 porzioni di faggiole da 1 porzione di carne.
* Con questo non intendo mica dire che in quei posti non si pratichi l'agricoltura, naturalmente.