"Penso che nella vita di tutti ci sia, o ci sia stato, un momento in cui una qualche montagna ha scosso la nostra fantasia, ha ferito il nostro cuore e vi ha lasciato una nostalgia profonda. La montagna ha sempre sul cuore dell’uomo una specie di suggestione, quasi un incantesimo che ammalia questa piccola creatura, esaltando da una parte la sua voglia di avventura e di rischio e dall'altra facendole sentire tutto il tormento di un limite insuperabile.
[...]
Sempre e dappertutto la montagna diventa un elemento di mistero mentre rivela la potenza insuperabile della natura nella sua forza smisurata, nelle sue espressioni violente così superiori alla piccola statura dell'uomo, e mentre con un fascino irresistibile attira l'uomo a scommettere e a volerla vincere. Nasce di qui tutto lo sport che conduce alla montagna, dalle escursioni adatte a tutte le età, alle ascensioni più ardite.
La montagna diventa così un luogo sacro, nel senso che rivela all'uomo un'altra realtà che lo supera e lo soggioga, lo attira come qualcosa che gli appartiene e nel medesimo tempo gli fa sentire la sua abissale differenza. Così, nell'animo umano nasce e cresce un atteggiamento di contemplazione, di silenzio stupito, di rispetto devoto, un atteggiamento che gli rivela la sua più piena e più genuina verità. Non c’è più posto all'orgoglio della tecnica che vuole tutto soggiogare distruggendo ritmi ed equilibri nell'uomo e nelle cose, non si può più sentirsi capaci di tutto, unici giudici di se stessi, illusi assoluti che vorrebbero dominare anche i propri simili.
La montagna insegna l'umiltà, quella umiltà che è la verità serena di se stessi, la gioia di essere così piccoli e grandi, potenti e deboli, genera quella universale fratellanza che fa sentire tutti scolari di questa unica grande maestra: la montagna conduce a quella essenzialità che fa godere le piccole cose, liberando dalla schiavitù di bisogni indotti e di un consumismo che svuota invece di riempire. Soprattutto, la montagna scava nel cuore dell'uomo una inestinguibile sete di infinito, di eterno, di purità, di bellezza, di pace e di amore, come quando dall'alto di una cima si può allargare lo sguardo senza incontrare confini: è la vertigine dell'immenso che entra nella piccolezza delle dimensioni umane.
Anche la fatica, la sofferenza, la tensione spasmodica talvolta, il pericolo sempre in agguato, plasmano l'animo e rendono l'uomo più vero, capace di leggere nel fondo del cuore proprio e altrui, tolgono quelle incrostazioni che impediscono una vera comunicazione, un rapporto più limpido. Forse nascono di qui quella severità e quel silenzio che spesso caratterizzano l'uomo dei monti.
È per questo che su molte cime è piantata una croce, segno di passione e di morte, segno di amore e di vita, una croce aperta ai quattro venti, a indicare tutte le direzioni che si spalancano al cuore dell' uomo.
Questa è la montagna quando la si avvicina con animo attento e libero, quando ci si lascia invadere dalla sua grandezza, quando ci si mette alla sua scuola. Perché sia così, però, oggi è necessario ritrovare la propria verità di creature, di uomini progrediti e colti e proprio per questo consapevoli del proprio limite e della propria collocazione in seno alla Natura. E’ necessario recuperare quella capacità estetica e quella ricchezza emotiva che giacciono nel cuore di ogni uomo e che ora sono soffocate da sovrastrutture paralizzanti.
Qui, si innesta il bisogno di una educazione alla Montagna, cioè di una azione semplice e saggia che conduca i ragazzi, i giovani e - perché no? - gli adulti a una esperienza montanara della montagna e non cittadina, una esperienza immediata e non manipolata, sempre nuova e mai ripetitiva.
E’ necessario riscoprire la forza suggestiva e aggregante dei "canti della montagna", che pur nella loro origine spesso legata alle guerre, offrono tuttavia tracce luminose di vita e di fratellanza senza divisioni.
È necessario il coraggio di ore e ore di cammino, di salite silenziose ritmate al battito del cuore e da segrete parole ripescate nel bagaglio delle proprie convinzioni più personali, quando si fa più intenso e facile il dialogo con la propria ombra disegnata dal sole sul sentiero che sale.
E’ necessario attingere a quella sorgente del mistero, che sgorga limpida e invitante da tutti gli anfratti della montagna, e ritrovare il senso del sacro, il rispetto della bellezza impervia e dura delle altezze che aprono all'invisibile. Le loro armonie immediate, le parole più semplici, le storie ingenue raccontate anche con sgrammaticature, conducono in aree trasognate e aprono a fresche luminosità.
E’ necessario aprire l'animo, il cuore e la mente alla contemplazione e sentire la montagna come un segno grandioso del Creatore che ha voluto lasciare tracce affascinanti della sua bellezza, e così leggere tutta la vita, pur nella sua durezza quotidiana, nella chiave della grandezza e della gioia.
A me pare che, vista così, la montagna offre una spiritualità. C'è una spiritualità della strada, di ogni strada, anche di quella che si snoda sui fianchi della montagna, anche quella costruita metro per metro arrampicandosi sulla roccia.
A noi la gioia di viverla, di testimoniarla come un dono: a tutti!"
Don Giorgio Basadonna
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Sempre e dappertutto la montagna diventa un elemento di mistero mentre rivela la potenza insuperabile della natura nella sua forza smisurata, nelle sue espressioni violente così superiori alla piccola statura dell'uomo, e mentre con un fascino irresistibile attira l'uomo a scommettere e a volerla vincere. Nasce di qui tutto lo sport che conduce alla montagna, dalle escursioni adatte a tutte le età, alle ascensioni più ardite.
La montagna diventa così un luogo sacro, nel senso che rivela all'uomo un'altra realtà che lo supera e lo soggioga, lo attira come qualcosa che gli appartiene e nel medesimo tempo gli fa sentire la sua abissale differenza. Così, nell'animo umano nasce e cresce un atteggiamento di contemplazione, di silenzio stupito, di rispetto devoto, un atteggiamento che gli rivela la sua più piena e più genuina verità. Non c’è più posto all'orgoglio della tecnica che vuole tutto soggiogare distruggendo ritmi ed equilibri nell'uomo e nelle cose, non si può più sentirsi capaci di tutto, unici giudici di se stessi, illusi assoluti che vorrebbero dominare anche i propri simili.
La montagna insegna l'umiltà, quella umiltà che è la verità serena di se stessi, la gioia di essere così piccoli e grandi, potenti e deboli, genera quella universale fratellanza che fa sentire tutti scolari di questa unica grande maestra: la montagna conduce a quella essenzialità che fa godere le piccole cose, liberando dalla schiavitù di bisogni indotti e di un consumismo che svuota invece di riempire. Soprattutto, la montagna scava nel cuore dell'uomo una inestinguibile sete di infinito, di eterno, di purità, di bellezza, di pace e di amore, come quando dall'alto di una cima si può allargare lo sguardo senza incontrare confini: è la vertigine dell'immenso che entra nella piccolezza delle dimensioni umane.
Anche la fatica, la sofferenza, la tensione spasmodica talvolta, il pericolo sempre in agguato, plasmano l'animo e rendono l'uomo più vero, capace di leggere nel fondo del cuore proprio e altrui, tolgono quelle incrostazioni che impediscono una vera comunicazione, un rapporto più limpido. Forse nascono di qui quella severità e quel silenzio che spesso caratterizzano l'uomo dei monti.
È per questo che su molte cime è piantata una croce, segno di passione e di morte, segno di amore e di vita, una croce aperta ai quattro venti, a indicare tutte le direzioni che si spalancano al cuore dell' uomo.
Questa è la montagna quando la si avvicina con animo attento e libero, quando ci si lascia invadere dalla sua grandezza, quando ci si mette alla sua scuola. Perché sia così, però, oggi è necessario ritrovare la propria verità di creature, di uomini progrediti e colti e proprio per questo consapevoli del proprio limite e della propria collocazione in seno alla Natura. E’ necessario recuperare quella capacità estetica e quella ricchezza emotiva che giacciono nel cuore di ogni uomo e che ora sono soffocate da sovrastrutture paralizzanti.
Qui, si innesta il bisogno di una educazione alla Montagna, cioè di una azione semplice e saggia che conduca i ragazzi, i giovani e - perché no? - gli adulti a una esperienza montanara della montagna e non cittadina, una esperienza immediata e non manipolata, sempre nuova e mai ripetitiva.
E’ necessario riscoprire la forza suggestiva e aggregante dei "canti della montagna", che pur nella loro origine spesso legata alle guerre, offrono tuttavia tracce luminose di vita e di fratellanza senza divisioni.
È necessario il coraggio di ore e ore di cammino, di salite silenziose ritmate al battito del cuore e da segrete parole ripescate nel bagaglio delle proprie convinzioni più personali, quando si fa più intenso e facile il dialogo con la propria ombra disegnata dal sole sul sentiero che sale.
E’ necessario attingere a quella sorgente del mistero, che sgorga limpida e invitante da tutti gli anfratti della montagna, e ritrovare il senso del sacro, il rispetto della bellezza impervia e dura delle altezze che aprono all'invisibile. Le loro armonie immediate, le parole più semplici, le storie ingenue raccontate anche con sgrammaticature, conducono in aree trasognate e aprono a fresche luminosità.
E’ necessario aprire l'animo, il cuore e la mente alla contemplazione e sentire la montagna come un segno grandioso del Creatore che ha voluto lasciare tracce affascinanti della sua bellezza, e così leggere tutta la vita, pur nella sua durezza quotidiana, nella chiave della grandezza e della gioia.
A me pare che, vista così, la montagna offre una spiritualità. C'è una spiritualità della strada, di ogni strada, anche di quella che si snoda sui fianchi della montagna, anche quella costruita metro per metro arrampicandosi sulla roccia.
A noi la gioia di viverla, di testimoniarla come un dono: a tutti!"
Don Giorgio Basadonna