Tagjikistan, Kirgjikistan e Afghanistan
All’inizio era il Pakistan il nostro obiettivo, andare sullo Shandur Pass a vedere la più famosa gara di Polo a tremila e trecento metri di quota e scendere dentro il Chitral, patria del Polo e regione molto remota a confine tra Pakistan e l’Afghanistan. Terra di Pashtun e tecnologia.
Sette mesi fa però la notizia che in quel Paese a primavera ci sarebbero state le elezioni e probabili disordini (oggi so che non sarebbe avvenuto nulla di grave), ci ha convinti a desistere ed optare per altri lidi.
Troviamo la possibilità di noleggiare a buon prezzo due moto da enduro così, l’Avventura per raggiungere dopo il Pamir, l’Afghanistan; può iniziare.
L’Avventura in verità inizia prima del viaggio in se; una settimana prima perdo la patente e la carta di credito ma non mi scoraggio, prendo la carta prepagata e alla fine la patente (pronta una fasulla), torna a galla da una sacca da mare della mia compagna.
Meglio così.
Ma le sorprese non sono che all’inizio; al mio compare Tal (così si farà chiamare per il resto del Viaggio), viene perduto il bagaglio contenente casco, stivali e tuta antipioggia. Lo ritroveremo intonso al rietro.
Le moto di Krzysztof Samborski
http://en.advfactory.com/ ci stanno aspettando a casa di Memo, un vicentino trapiantato a Biskek sposato a Chinara e nella sua casa ci sono tutte le cose che servono per organizzare un viaggio in moto in quelle zone, dal noleggio al supporto logistico. Per info
dolonsky78@mail.ru.
Tal non si era spiegato bene con Krzy e così il polacco ci aspettava all’aeroporto il giorno prima; oggi si fa con il taxi.
Le moto sono due Suzuki DR 650, muli da battaglia che vanno sempre ma, forse un poco trascurate nella manutenzione. Ci dobbiamo subito arrabattare per sistemare la presa corrente su una e installarne una nuova sull’altra sprovvista; le borse in dotazione sono robuste ma a forma di banana e stivarci la nostra roba non è stato facile. Molte cose sono rimaste alla casa e, sia io che Tal abbiamo dovuto installare uno zaino all’esterno. Tutto questo fare, non ci ha consentito di accorgerci che mancava la chiave per smontare le ruote e la chiave candela.
Facciamo un giro al bazar dell’autoricambio e troviamo un casco per Tal.
Decidiamo in breve di partire la sera stessa. La voglia è tanta e anche un po’ di rabbia per la condizione delle moto.
Riusciamo a salire fino a Suusamyr (180km) in una simpatica e tergiversa guest house dove facciamo un buon bagno di acqua calda usando il mestolino all’interno di una “sauna” in versione “miseria”. In compenso si dorme divinamente.
Il giorno successivo becchiamo l’acqua e due belle forature.
Abbiamo le camere di scorta (buche), il compressore per gonfiare, le leve per stallonare, le pezze per otturare ma…, ma non abbiamo la chiave per smontare la ruota.
Dopo tre/quattro ore riusciamo a ripartire con la ruota riparata ma che si sgonfierà di nuovo la sera stessa a causa di una riparazione fatta male e di un altro chiodo.
Troviamo da dormire in un orripilante gastinitza con cesso maleodorante, senza chiave alla porta, senza ristorante e con tutta un’avventura per poter acquistare un paio di cose da mettere sotto i denti. (442km).
Terzo giorno inizia con la dissenteria galoppante e c’è da passare il confine Tagjiko, salire a quattromilatrecento metri di quota e arrivare a Karakul, la porta del Pamir. Solamente novantatre chilometri ma la spossatezza dovuta alla dissenteria e forse alla salita in quota veloce con la moto, mi hanno distrutto e l’unico desiserio è fermarmi e riposare. Stiamo fermi poi due notti in quel posto, entrambi abbiamo dissenteria, spossatezza e vediamo appannato come avessimo delle cateratte. Purtroppo a causa di questo malessere non riesco che a malapena accorgermi di quanto sia bello il posto.
Alla ripartenza sembrerebbe che le cose vadano meglio ma, la dissenteria me la porterò dietro fino alla fine del viaggio anzi, anche ora che sono nella mia casa, a distanza di una settimana ancora ne soffro.
Il Pamir, un altipiano di centomila chilometri quadrati alti tra i tremila e i quattromila metri e contornato di montagne alte anche settemila metri.
Pazzesco! È questa l’espressione di meraviglia che m’è venuta in mente mentre percorro quella strada.
Dalle mie parti c’è una piana famosa per la spettacolarità e l’ampiezza, Castelluccio di Norcia, 15km/q; con la moto ci si metteno dieci minuti per percorrerla. Un piccolo fiore in confronto.
L’M41 del Pamir ha bisogno di giorni interi e condizioni meteo buone per percorrerla; al rientro abbiamo preso un po’ di neve e freddo intenso, in pieno agosto.
Langar è la nostra meta prossima, un villaggio Tagjko a ridosso del fiume Pamir e vicino alla confluenza con il fiume Wakhan, oltre il fiume la terra Afghana, la méta.
Nella guest house finalmente troviamo una doccia calda corroborante e del buon cibo.
Da notare che ogni volta ti propinano il Chay, thé nero o verde che lo si usa al posto dell’acqua. L’acqua, se la si vuole, si deve acquistare rigorosamente al market e verificare che il sigillo del tappo sia integro; meglio se sia gassata perché a volte sembra che il tappo venga via senza rompersi quindi se è acqua gassata è sicuramente una bottiglia integra. L’uso di amuchina è consigliato a volte anche nel chay ma, cambia il sapore.
Poco più avanti di Lagar, il giorno seguente, si raggiungono le terme di Bibi Fatima, vicino ad una antica fortezza. Non è sulla strada ma bisogna salire una quindicina di minuti una polverosa strada sulla montagna.
Fare il bagno nella vasca a quaranta gradi però è una cosa da non perdere; ci voleva proprio.
Raggiungiamo Iskashim, primo valico utile per l’Afghanistan. Purtroppo la dogana è chiusa a causa del ramadan che però mi risulta sia terminato il 7 agosto. Aleggia la notizia che ci sia una epidemia di tifo e la dogana sarà chiusa per altri quattro giorni.
Passiamo la notte nella guest house più ricercata con docce calde e una buona cena a base di riso, verdure, carne e birra.
Facciamo una bella chiacchierata con le guardie della dogana che ci offrono un nome di un ufficiale che forse riesce a farci aprire….tutto il mondo è paese. Ovviamente una volta entrati non è detto che si possa uscire dall’Afghanistan a meno di trovare un altro graduato corrompibile.
Lasciamo perdere a il giorno seguente andiamo a Khorug, lì c’è un'altra dogana, magari siamo più fortunati.
L’idea era di entrare ad Iskashim e visitare il grande bazar che si crea una volta a settimana nella terra di nessuno, tra la frontiera Tagjika e quella Afghana. A Khorug invece, c’è un altro bazar ma è ad un’ora di auto dalla frontiera, in pieno territorio Afghano. Puntiamo a questo.
C’è da attendere almeno un giorno e dopo aver preso i contatti tramite la ragazza dell’ufficio informazioni turistiche, facciamo un paio di scorribande al nord per vedere un paio di posti montani.
Khorug è una città universitaria creata durante la gestione russa e qui, quasi tutti parlano l’inglese, la cittadina è molto vivace e benissimo servita, c’è anche un aeroporto. Si dorme al Pamir Lodge che è confortevole salvo non sia strapieno di turisti.
Quindi saliamo prima alla ricerca di uno smeraldino laghetto in quota, Koffh ma, è troppo alto per i nostri gusti e ci limitiamo a raggiungere uno stazzo a tremiladuecento metri compreso l’attraversamento di un impetuoso guado che ci costringe alla sosta forzata per far asciugare scarpe ed indumenti.
Ciò serve per fare conoscenza con nonno e nipotino simpaticissimi con i quali scambiamo qualche parola e gesto. Gli occhi del bimbo che riceve in regalo una pila di quelle a bobina mi rimarranno impressi per un bel po’ di tempo.
Prossima puntata la valle di Bartang.
Questa valle sarebbe stata ottima per creare un percorso ad anello per il ritorno infatti, la sua strada tornerebbe a Karakul ma, ci dicono che molto in quota ci sia un guado molto difficile da fare in moto e per questo motivo torneremo poi per la Higway classica M41 del Pamir. L’ingresso della valle di Bartang è abbastanza scialbo ma, dopo soli quattro cinque chilometri, lo spettacolo inizia; il fiume lambisce la strada in più punti e sopra le teste ci sono strapiombanti e instabili montagne. La valle è larga circa duecento metri e continua così per decine di chilometri.
Questo è l’unico giorno in cui abbiamo dei problemi tra noi due dovuti alla stanchezza e alla frustrazione dei giorni di attesa nell’entrare in Afghanistan.
Dormiremo in zone diverse, Tal sotto una pianta di mele ospitato da una famiglia della valle di Bartang ed io di nuovo al Lodge a Khorog.
Nessun problema; il giorno dopo ci ricongiungiamo e, Amici come sempre.
Finalmente siamo al giorno dell’ingresso nella terra of Islam.
Da qualche giorno guardiamo dall’altra parte del fiume una conturbante stradina che ci fa l’occhiolino e adesso siamo lì che attraversiamo il ponte di ferro.
Ci attende la guida con un taxi ma, prima bisogna registrarsi all’ufficio doganale.
Ci sono all’esterno tre hummer ex americane e una schiera di quad militarizzati; ma il personale è tranquillo, cordiale e poco.
Foto di rito sotto il cartello di benvenuto ma della guida e del taxi neanche l’ombra.
Ovvio che siamo consapevoli che in questi posti l’appuntamento in perfetto orario non è uno stile di vita ma, dopo mezz’ora decidiamo di andare a piedi e da soli; la guida se è scaltra ci troverà.
Seguiamo un po’ il fiume in mezzo ai campi, la sensazione è strana, stiamo camminando in Afghanistan, terra dei Talebani cattivissimi e che hanno fatto un sacco di casino negli USA e che prima ai Russi ora all’UN Force, sta tenendo scacco come niente fosse anzi, dalle ultime notizie sembra che il settanta per cento dell’Afghanistan sia ora in mano ai Talebani.
Una musica si ode avvicinarsi, pian piano sempre più e si scorgono genti sotto degli alberi, sembrerebbe una festa.
Giunti lì, qualcuno ci presenta al capo famiglia, è una festa di matrimonio, una delle due che si svolgono; questa è quella per le donne. Siamo invitati ed accettati come ospiti d’onore e possiamo rimanere per un intero mese l’importante, che non facciamo fotografie.
Le donne stanno tutte accovacciate, sedute all’ombra di grandiose betulle fronzose, sopra tappeti e manto erboso. I loro vestiti sono di colori sgargianti, dal rosso fuoco al viola, dal verde acqua al blu cobalto, dall’arancio al giallo limone; uno spettacolo di colori e lì in mezzo, due danzatrici alla volta che sfilano la loro danza davanti la coppia degli sposi. Davanti nodi due, seduti ai margini su un tappeto, un uomo che ci tiene piena la tazza di chay ogni volta che si svuota.
C’è un ragazzo che parla bene inglese ed è il “fotografo” ufficiale dell’evento. Ci spiega che in questa regione i Taliban non sono mai stati e che qui non si usano i burqa; qui sono Ismaeliti e quindi molto meno integralisti visto che non hanno neanche i minareti.
Ci congediamo a malincuore ma lascio alla sposa un barattolo di crema Nivea per mantenersi così bella come è adesso.
La nostra guida è arrivata e ci attende il bazar.
La priorità è acquistare qualche cosa di tipicamente Afghano e, cosa di meglio che non il tipico cappello, il Pakul che troneggia anche in tutte le fotografie dell’eroe Massud, il Leone del Pamir. (direi una sorta di Ché Asiatico).
Il bazar è grande e si snoda lungo un paio di vie principali del villaggio di Bosor. Strada in terra battuta, polvere e chioschi in legno e terra. Tutti i chioschi danno direttamente sulla via e gli oggetti in vendita sono lì sulla strada. C’è un po’ di tutto, dalle spezie alle theiere, dalle pentole a pressione alle scope di cannucciaie, dal fornetto a microonde alla tele ad LCD; in un posto dove la corrente è altalenante.
Dopo vari tentativi troviamo però il nostro amato Pakul e ne prendiamo uno a testa; meritato trofeo per una meta difficile anche solamente da immaginare.
A volte mi soffermo sulle notizie che ci bombardano e descrivono in mille colori diversi luoghi lontani; come in questo caso, ben pochi sono quelli che pensano all’Afghanistan come meta di un viaggio.
Anche noi non facciamo differenza, i timori c’èrano e ci sono tutt’ora perché non tutte le aree sono miti e tranquille ma, bisogna saper filtrare un poco le notizie. E’ risaputo che le tivvù ti propinano la propaganda del momento e quindi bisogna cercarsi le notizie anche altrove. Internet in questo ci da una grande mano.
Se non avessimo dovuto attendere l’apertura della frontiera forse avremmo preso anche il permesso di entrare con le moto e starci tre o quattro giorni; quella stradina del fiume ed altre che si inerpicavano sui monti erano un richiamo irresistibile. Peccato.
Giunge così il tempo di rientrare verso Biskek; saliamo a Bulunkul dove avremmo dovuto sostare e ammirare lo splendido lago ma le condizioni meteo sono pessime ed è tanto freddo; un po’ di fiocchi di neve fanno il resto… via diretti a Murgab per macinare più chilometri possibili e tentare di uscire dalle nubi.
A quella quota se c’è sole, è talmente caldo e secco che ti viene il sangue al naso tanto vengono carteggiate dalla polvere le narici ma, se il sole scompare dietro una coltre nuvolosa, la temperatura scende immediatamente verso lo zero.
Di nuovo scorgiamo tutti quei colori della roccia poi il valico di confine poi la discesa verso Osh. Ormai il più è fatto, oltre i ricordi ci rimane la dissenteria sempre presente in maniera più o meno evidente ma…sempre lì.
Dormiamo ancora una volta a Suusamyr e lì scopriamo evidentemente il “senso del Krgjiso per lo Yogurt” e tutto quello che ci ruota attorno…
Lasciamo velocemente la piana di Fergana e raggiungiamo Biskek trovandoci una locanda confortevole con la doccia. Biskek è grande convulsa e offre mercati enormi; giusto quello cui abbiamo bisogno prima del rientro.
Bighelloniamo in attesa del giorno dell’aereo.
Per la cronaca, questa volta i bagagli persi dall’Aeroflot sono addirittura due. Battuti dei record.
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