Mi ero ripromesso di non intervenire più in questo 3d per una serie di
ragioni, in primis il fatto che, come ho detto sin dai primi post, risulta molto
difficile comprendere alcuni argomenti senza le sufficienti basi; altrettanto
difficile è riuscire a dare delle spiegazioni che non risultino “criptiche”.
Sarebbe necessario iniziare l’argomentazione da molto lontano, rispetto al
topic, con certezza di risultare prolisso e sicuramente noioso.
Inoltre, vi sono i grossi limiti del mezzo mediatico che stiamo usando,
formidabile per certi aspetti ma anche in grado di generare gravi
incomprensioni, data la particolarità di certi temi e la mancanza di
supporto del linguaggio visuale.
Sia chiaro solo che non è mia intenzione offendere alcuno, seppure intraveda
in certi atteggiamenti delle oggettive responsabilità; ma è solo un mio
punto di vista, non un giudizio.
Posso ribadire solo quanto ho già detto, consigliandovi di andare quanto più
potete nell’ambiente naturale e di osservare, senza pregiudizi, le dinamiche
agro-silvo pastorali di un territorio cercando di comprendere perché in
quella zona esiste un ambiente (semi)naturale piuttosto che un area residenziale od
agricola; cercando di trovare una spiegazione del tipo di “uso del suolo”
che non sia istintiva e “romantica” ma basata su riflessioni più razionali che
tengano conto del contesto economico e della “sostenibilità” di certe scelte.
La caccia rappresenta, ad un esame più obiettivo, una delle ragioni per cui
tante aree sono tutt’oggi preservate da un diverso destino, che la
motivazione piaccia o meno. Il potere economico/politico gestito dai cacciatori
permette loro di godere di alcuni “privilegi” dei quali beneficia indirettamente anche
l’escursionista, ad esempio la possibilità di entrare in fondi privati (è
ovvio che in teoria potrebbe entrare solo chi intento nell’attività venatoria, ma
in pratica questo permette a tutti un facile accesso in zone che sarebbero
altrimenti chiuse).
Riguardo all’aspetto etico dell’attività venatoria, mi sembra più doveroso
il rispetto della coerenza delle nostre azioni che non ci dovrebbe portare a
giudizi ipocriti. In ogni caso, che piaccia o meno, la caccia è davvero una
forma d’arte e l’attività venatoria non può essere banalizzata al tiro di un
grilletto. Prima di quell’ultima azione c’è un mondo di conoscenze complesse
che vanno esplicate: dalla selezione, allevamento e addestramento degli
ausiliari (i cani), allo studio del territorio, all’applicazione di tante
strategie d’azione tramandate nei secoli e che richiedono tempo, fatica e
costanza per essere conosciute, che fanno parte del patrimonio umano.
Consiglio a tutti la lettura di Mario Rigoni Stern, in particolare,
relativamente a questo tema, il libro: “Il Bosco degli Urogalli”. Sono
sicuro, lo dico con fiducia e stima, rimuoverete molti preconcetti.
Riguardo l’aspetto dei rischi connessi all’attività venatoria è da
sottolineare quanto questi siano in assoluto molto bassi e soprattutto relativi a chi
quest’attività la svolge, con particolare riferimento a specifiche situazioni
(battute agli ungulati) piuttosto che ad un pericolo concreto che possa
correre un escursionista. Il singolo caso, l’incidente, non fa testo (con tutto il
rispetto dovuto alle vittime).
Del resto, qualunque attività noi compiamo, in un modo o nell’altro
coinvolge il prossimo; ragionando obiettivamente, in teoria, un escursionista che con
la sua auto lascia la città per andare a fare un trekking in una zona distante
200 Km, sta determinando la possibilità di un incidente che coinvolga terzi, con
una probabilità più alta di quella in cui incorrerebbe, una volta giunto in
zona, di essere ferito da un cacciatore.
Non per questo si vietano gli spostamenti in auto…
Basta solo un po’ di buon senso e di tolleranza reciproca.
@ BlackShoot: non c’è bisogno che mi dai del “Lei”.. non è usanza nei forum
e personalmente non ci tengo a certe formalità, neanche nel quotidiano. Anche
i doppi sensi e le attribuzioni ironiche te le puoi tenere per te; quanto sto
scrivendo non è basato su un’idea maturata sulla base di qualche “uscitina”
ma su un percorso di conoscenza dell’ambiente molto lungo; iniziato da bambino
sulle orme dei miei genitori, proseguito da ragazzo con gli amici di
“scorribande” , continuato in maggiore età con gli studi nel corso di laurea
in Scienze Forestali ed Ambientali (concluso con lode) , proseguito con il
superamento dell’Esame di Stato ed il conseguimento dell’abilitazione
professionale per l’esercizio della professione di dottore forestale,
applicato in tanti anni di lavoro in boschi e foreste, che tutt’ora svolgo con grande
passione.
Credo siano sufficienti credenziali per predisporti in modo differente, se
vuoi imparare qualcosa dal mio insegnamento, altrimenti resta della tua
idea, per me non è un problema.
Un consiglio però non posso fare a meno di dartelo: cambia nick; con i
timori che tu hai, non andrei in giro per boschi chiamandomi “Sparo Nero”