FRABUSAN. La piccola storia di un grande coltello.

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I ricordi dell'infanzia sono più belli.
Li portiamo con noi per tutta la vita.
E col passare del tempo i loro colori non affievoliscono ma sì intensificano perché carichi della memoria di un tempo che non c'è più.
Da ragazzo passavo gli inverni fra i monti e le valli del mio piccolo Piemonte, conservo memoria intatta di tutti quei momenti; mi piaceva molto stare a sentire le storie che raccontavano i vecchi.
Le tradizioni e abitudini, i modi di fare e anche i modi di dire. Spesso la sera sentivo storie di mestieri antichi, di vecchi strumenti e di rivalità... sì, le rivalità non sono mai mancate fra i piccoli paesi distanti pochi respiri eppure così lontani.
Quelle sere, quei ricordi prendevano enfasi e si coloravano forse per merito del calore del camino acceso o del buon vino delle nostre colline o dal piacere della compagnia; ma di tutte le storie che sentivo, le più interessanti erano sicuramente quelle sui coltelli.
Forse proprio da lì è nata la mia passione, che con piacere condivido con voi.
Ricordo un anziano signore che mi parlava di un coltello a me sconosciuto, sicuramente dimenticato, che non ha avuto la stessa fortuna di altri suoi illustri colleghi.
Questo antico strumento di lavoro si chiama Frabosan, o meglio Frabusan, nome che anche questa volta deriva dal luogo di origine.
Siamo a Frabosa in provincia di Cuneo e anche qui come in tantissimi altri Borghi d'Italia le persone conducevano una vita semplice; erano artigiani, agricoltori, alcuni allevatori, molti vignaioli.
Per affrontare la quotidianità avevano bisogno di uno strumento essenziale.
Ma vuoi per campanilismo o per caparbietà tipica delle zone di cui vi sto parlando, scelsero di non affidarsi ai prodotti di zone limitrofe ma iniziarono a realizzare un coltello tutto loro.

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Quando si parla di strumenti antichi è davvero difficile se non impossibile parlare di date esatte.
Le origini si perdono nel tempo, alle volte capita di trovare un antico esemplare cercare di datarlo e da li iniziare a scrivere una storia.
Storia che è rimasta nelle menti e nei cuori delle persone di quel tempo, che si è tramandata di generazione in generazione e che alle volte ha fatto perdere le sue tracce. Ma queste sono solo nozioni che ai miei occhi non hanno grande interesse.
Comunque da quel che si dice, la storia dei coltellinai frabosani risale alla metà del settecento, ma nulla ci vieta di pensare che possa essere più antica.
Il Frabusan aveva la particolarità di non essere un singolo coltello.
Ne esistevano diverse versioni come differenti sono gli usi e gli scopi.
La lama poteva essere fissa o pieghevole, in quest'ultimo caso era priva di blocco.
Un coltello semplice e meno ricercato, direi pragmatico. Ma di grande fascino.
La lama era in acciaio al carbonio, con incavo per l'unghia, ricavata da materiali di recupero.
Essa poteva avere tre forme:

Scimitarra.
Foglia di salice.
Roncola.

La lama è imperniata al manico tramite un chiodo ribattuto sulla fascetta, un rudimentale pivot.
La fascetta aveva lo scopo di rinforzare il coltello nella zona di maggiore sforzo, come accade in molti coltelli da tasca.
Il manico era in legno locale, solitamente si usava il bosso. Veniva decorato con uno o più solchi ortogonali al suo asse. Ma anche con sigle o iniziali dell'artigiano, o semplicemente con la dicitura "Frabosa".
Una sorta di DOCG dell'epoca.
La lama a scimitarra era la più usata in quanto molto versatile e piacevole.
Era destinata ai vignaioli e agli agricoltori. Ma andava bene un po' per tutto.
Quella a foglia di salice era preferita dagli allevatori e dai cacciatori in quanto penetrava meglio il malcapitato animale.
Quella a roncola non ha bisogno di spiegazioni, ricordiamo solo che la sua curva variava a seconda delle necessità.
Questo coltello, nelle dimensioni e nella forma, non aveva delle caratteristiche standard ma era plasmato in base alle esigenze dell'utilizzatore; così come dovrebbe essere per qualunque attrezzo che non sia schiavo della moda del momento.
Ma in quei tempi non si poteva parlare di moda ma soltanto di necessità.
Dalle immagini e dalle parole avete intuito che questo tradizionale, per quanto bello, non aveva tratti distintivi tali da renderlo unico o riconoscibile fra gli altri.
Ma era speciale per la gente del posto, era il loro coltello. E questo bastava.
Ciò però non fu sufficiente a decretarne un successo fuori dai confini del territorio.
La sua fama di coltello estremamente tagliente era nota solo nelle terre limitrofe.
Era conosciuto così: "Frabusan chi tajo".
Traducibile con facilità, significava il Frabusan che taglia, frase usata dagli artigiani per sottolinearne l'indole.
A questo i rivali rispondevano: "Vernantin chi brüso", che brucia, come vi raccontai qualche giorno fa.
Rivalità fra genti vicine, memorie del tempo passato, con le quali ho aperto ed ora concludo la nostra storia.

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Grazie per la condivisione, non conoscevo questo regionale.
E' bello vedere come questo tipo di chiudibili a frizione con manico monolitico e fascetta metallica siano diffusi su tutto l'arco alpino, dal più famoso Opinel (che inizialmente non aveva il blocco) al Bergamasco, ai meno noti Bellunese e Drudenmesser tirolese.
 
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