Trascrivo per intero un articolo apparso sulla rivista National Geographic di Gennaio 2009.
E' la storia di Gianfry, che vive in solitudine sulle montagne della Val Grande.
La prima impressione che se ne ricava è quella di una persona che nella sua devianza esprime un disagio sociale, ma il suo non completo rifiuto della società civile, il rispetto per la terra, il modo ecologico di comportarsi, la religiosità convinta, non sono facilmente riscontrabili nei disadattati.
Cosa ne pensate?
AMBIENTE ITALIA - VAL GRANDE
RITORNO ALLA NATURA
Un eremita di oggi in un parco del Piemonte
considerato la più vasta area wilderness d'Italia.
DI ANTONIO POLITANO
Usa l'acqua delle sorgenti e la cenere dei fuochi per lavarsi e pulire. Va scalzo, sempre, su qualunque superficie, con qualsiasi clima, per recuperare il contatto diretto con la terra. "La montagna è il mio guru, attraverso le prove quotidiane mi insegna l'umiltà. Per rispetto la calpesto a piedi nudi", racconta.
Cala la sera sull'Alpe Vald nel Parco Nazionale della Val Grande.
Dopo aver acceso un falò, Gianfry (l'uomo che vive come un'eremita nella valle) suona un corno di rame, ricavato da un vecchio lampadario, per poi dedicarsi alle sue meditazioni.
Con il sole o il freddo, la pioggia o la neve, si veste con poco o niente, "in inverno mi copro soltanto la sera". Dorme per terra, in un bivacco. Mangia bacche, funghi, piante o ciò che trova abbandonato, recupera "gli avanzi
degli altri", vive "di quel che la natura dà". Alterna periodi di dialogo e apertura a periodi di digiuno e silenzio, ormai familiare agli animali, che quasi non scappano più davanti a lui, e altro dagli uomini che avverte arrivare per l'odore del sapone sopra la pelle, del detersivo sugli indumenti che il suo olfatto percepisce a distanza.
Andando anche oltre le consuetudini alpigiane, Gianfry si nutre di funghi, bacche e fiori selvatici.
Lo chiamano il selvatico, l'eremita, l'uomo del bosco. Milanese, 53 anni, un'infanzia difficile trascorsa tra collegi duri e nonni impietosi, ex-autista di scuolabus, Gianfry “così mi chiamavano i ragazzi che accompagnavo”, da 11 anni ha scelto di vivere in Val Grande, nel Piemonte settentrionale, fra il Lago Maggiore e la Val d'Ossola.
"L'eremita" della Val Grande su una roccia affacciata sulla piscina naturale creata dl torrente che attraversa la Val Grande.
Una sorgente naturale accanto al bivacco di Gianfry.
Parco nazionale da 15 anni, la VaI Grande è la più estesa area "wilderness" d'Italia, oltre che dell’intero arco alpino: la più grande porzione di territorio nazionale senza presenza umana, strade, insediamenti permanenti. Un mondo a parte, a 100 chilometri da Milano, dove la natura ha ripreso lentamente il sopravvento dopo l'abbandono nel secondo dopoguerra delle attività secolari legate alla pastorizia e al disboscamento. Non la montagna spettacolare dei paesaggi alpini entrati a far parte dell'immaginario. Ma valloni scoscesi, creste dirupate, cime solitarie. Forre profonde, boschi impenetrabili, acque trasparenti. Faggi, rododendri, betulle, camosci, aquile, falchi, vipere, trote, cavalli selvaggi. Vestigia di mulattiere, terrazzamenti, alpeggi.
Ci vogliono ore di cammino per raggiungere .uno dei suoi accessi. "Andare dentro" e "venire fuori", dicono i locali, come a evocare una frontiera da varcare. È un territorio impervio, in cui ci si può perdere facilmente se si esce dai sentieri o se cambia il tempo, soprattutto nella parte più interna e bassa della valle, quella che ospita la riserva integrale, che si chiude a strapiombo protetta da un anello di montagne. Ogni anno si registrano incidenti, anche mortali, spesso dovuti alla leggerezza con cui si affronta; senza le corrette informazioni, la valle. Per l'asprezza e la posizione geografica, la Val Grande è stata teatro di guerra, luogo di rifugio, regno di bracconieri: le fortificazioni militari alpigiane, della linea Cadorna, realizzate durante la Prima guerra mondiale nel timore di un attacco austro-tedesco attraverso la Svizzera, passavano da lì. Nel 1944 i partigiani si rifugiarono a centinaia nella valle, senza riuscire a scampare al sanguinoso rastrellamento nazifascista; sembra che le Brigate Rosse la usarono per anni come luogo di addestramento. " È un territorio con una doppia anima, naturale e antropica", spiega il direttore del parco, Tullio Bagnati: "Un paesaggio bio-culturale». Prima, popolata al punto da esser definita "città estiva" per la diffusione di alpeggi ( oggi ve ne sono 178, fazzoletti di terra strappati alla montagna per il pascolo del bestiame che si ravvivavano in primavera ed estate, la Val Grande era una specie di residenza stagionale delle popolazioni dei paesi circostanti. Poi, luogo abbandonato, che dopo essere stata la "valle dell'uomo" diventa il luogo della natura selvaggia su cui si chiude un "sipario di foglie” È il fenomeno della wilderness di ritorno, tratto distintivo dell'area ma con conseguenze anche negative. "Tre anni di ricerca sui pascoli e le praterie alpine": spiega Bagnati, "hanno mostrato che la dinamica naturale che ha progressivamente colonizzato, con arbusti e alberi, i prati e i pascoli abbandonati, i valichi e gli alpeggi, determina nel breve periodo una perdita di specie qualificate a livello ecologico". È nato così «un progetto-pilota di recupero di un alpeggio in quota, l'Alpe Straolgio, introducendo quest' anno circa 70 capre, nella convinzione che la biodiversità sia frutto, come in tutto l'arco alpino, anche dell'azione dell'uomo". Se si escludono i paesi ai margini, nessuno vive all'interno del parco. L'unico vero abitante della VaI Grande è Gianfry. L'uomo che vive fuori dal mondo, a due passi dalla cosiddetta civiltà, a piedi nudi. Un irregolare che di tanto in tanto scende dai monti, per depositare rifiuti non degradabili e recuperare libri e giornali, si apre al mondo e poi svanisce di nuovo. Lui chiede solo di vivere nella sua dimora silvestre, in pace, libero, pronto a dare una mano a tutti "qui incontro persone di continuo, molte di più che a valle". Questo è il secondo inverno che trascorre "dentro" senza interruzioni. L'anno scorso ha quasi rischiato di morire: la neve aveva bloccato la bocca del camino del bivacco e il fuoco della sua candela aveva consumato quasi tutto l'ossigeno prima che se ne accorgesse e riuscisse ad aprire la porta, anch'essa ostruita dalla neve. Ricorda che quando, all'inizio della sua avventura, ha voluto provare per la prima volta a restare, lo ha fatto d'inverno, perché "è quando la montagna trema per il vento e la pioggia, e la neve e il ghiaccio bloccano tutto e sei prigioniero delle montagne, che capisci se puoi farcela a vivere qui".
Le emergenze della Val Grande sono altre.
La qualità dell'aria, per esempio, che, secondo le rilevazioni della Carovana delle Alpi di Legambiente sulle concentrazioni di ozono, è "pessima”: il secondo valore più elevato di tutto l'arco alpino. Sembra paradossale, per un'area selvaggia e disabitata, ma come spiega Amelia Alberti, presidente del Circolo Legambiente di Verbano, «le brezze spostano facilmente l'ozono nelle zone alpine, dove è più persistente e meno degradabile, proprio a causa dell'aria più pulita. L'altissimo valore medio di concentrazione in ozono in Val Grande è il risultato dell'inquinamento delle zone di pianura urbanizzate e industriali, vicine e lontane. Non esistono più isole felici».
Le autorità del parco stimano in 12-15 mila, di cui almeno la metà stranieri (soprattutto svizzeri, tedeschi, olandesi), i passaggi annui di turisti con pernottamenti nei bivacchi e rifugi. "Il parco è una risorsa importante per i paesi attorno", dice Luca Caretti, che frequenta la VaI Grande da sempre. "È un'opportunità per il territorio questa wilderness che non si è trasformata. Qui vieni perché trovi l'anima, quando entri è come se chiudessi un cancello dietro le spalle rispetto alla quotidianità, basti dire che il cellulare non prende da nessuna parte".
Rallenti il ritmo, riscopri cos'è il cielo, l'ebbrezza delle quattro stagioni. Per Gianfry, "l'incontro con la Val Grande è anche spirituale, qui mi sento ai confini con Dio".
Ha costruito piccoli altari nei bivacchi che frequenta, ornati da un Crocefisso, una Madonna con il Bambino, piume di uccello, fiori di campo, un pupazzetto azzurro, a volte anche Shiva o Ganesh. E la corona di rosario consumata dalle preghiere, "una meditazione ripetuta che porta a concentrarti su quel che fai", con cui tiene il ritmo del passo nei suoi spostamenti.
"Sono libero perché non ho niente, come un bambino. Il bambino che qui è venuto fuori, che prima non avevo mai potuto essere".
E' la storia di Gianfry, che vive in solitudine sulle montagne della Val Grande.
La prima impressione che se ne ricava è quella di una persona che nella sua devianza esprime un disagio sociale, ma il suo non completo rifiuto della società civile, il rispetto per la terra, il modo ecologico di comportarsi, la religiosità convinta, non sono facilmente riscontrabili nei disadattati.
Cosa ne pensate?
AMBIENTE ITALIA - VAL GRANDE
RITORNO ALLA NATURA
Un eremita di oggi in un parco del Piemonte
considerato la più vasta area wilderness d'Italia.
DI ANTONIO POLITANO
Usa l'acqua delle sorgenti e la cenere dei fuochi per lavarsi e pulire. Va scalzo, sempre, su qualunque superficie, con qualsiasi clima, per recuperare il contatto diretto con la terra. "La montagna è il mio guru, attraverso le prove quotidiane mi insegna l'umiltà. Per rispetto la calpesto a piedi nudi", racconta.
Cala la sera sull'Alpe Vald nel Parco Nazionale della Val Grande.
Dopo aver acceso un falò, Gianfry (l'uomo che vive come un'eremita nella valle) suona un corno di rame, ricavato da un vecchio lampadario, per poi dedicarsi alle sue meditazioni.
Con il sole o il freddo, la pioggia o la neve, si veste con poco o niente, "in inverno mi copro soltanto la sera". Dorme per terra, in un bivacco. Mangia bacche, funghi, piante o ciò che trova abbandonato, recupera "gli avanzi
degli altri", vive "di quel che la natura dà". Alterna periodi di dialogo e apertura a periodi di digiuno e silenzio, ormai familiare agli animali, che quasi non scappano più davanti a lui, e altro dagli uomini che avverte arrivare per l'odore del sapone sopra la pelle, del detersivo sugli indumenti che il suo olfatto percepisce a distanza.
Andando anche oltre le consuetudini alpigiane, Gianfry si nutre di funghi, bacche e fiori selvatici.
Lo chiamano il selvatico, l'eremita, l'uomo del bosco. Milanese, 53 anni, un'infanzia difficile trascorsa tra collegi duri e nonni impietosi, ex-autista di scuolabus, Gianfry “così mi chiamavano i ragazzi che accompagnavo”, da 11 anni ha scelto di vivere in Val Grande, nel Piemonte settentrionale, fra il Lago Maggiore e la Val d'Ossola.
"L'eremita" della Val Grande su una roccia affacciata sulla piscina naturale creata dl torrente che attraversa la Val Grande.
Una sorgente naturale accanto al bivacco di Gianfry.
Parco nazionale da 15 anni, la VaI Grande è la più estesa area "wilderness" d'Italia, oltre che dell’intero arco alpino: la più grande porzione di territorio nazionale senza presenza umana, strade, insediamenti permanenti. Un mondo a parte, a 100 chilometri da Milano, dove la natura ha ripreso lentamente il sopravvento dopo l'abbandono nel secondo dopoguerra delle attività secolari legate alla pastorizia e al disboscamento. Non la montagna spettacolare dei paesaggi alpini entrati a far parte dell'immaginario. Ma valloni scoscesi, creste dirupate, cime solitarie. Forre profonde, boschi impenetrabili, acque trasparenti. Faggi, rododendri, betulle, camosci, aquile, falchi, vipere, trote, cavalli selvaggi. Vestigia di mulattiere, terrazzamenti, alpeggi.
Ci vogliono ore di cammino per raggiungere .uno dei suoi accessi. "Andare dentro" e "venire fuori", dicono i locali, come a evocare una frontiera da varcare. È un territorio impervio, in cui ci si può perdere facilmente se si esce dai sentieri o se cambia il tempo, soprattutto nella parte più interna e bassa della valle, quella che ospita la riserva integrale, che si chiude a strapiombo protetta da un anello di montagne. Ogni anno si registrano incidenti, anche mortali, spesso dovuti alla leggerezza con cui si affronta; senza le corrette informazioni, la valle. Per l'asprezza e la posizione geografica, la Val Grande è stata teatro di guerra, luogo di rifugio, regno di bracconieri: le fortificazioni militari alpigiane, della linea Cadorna, realizzate durante la Prima guerra mondiale nel timore di un attacco austro-tedesco attraverso la Svizzera, passavano da lì. Nel 1944 i partigiani si rifugiarono a centinaia nella valle, senza riuscire a scampare al sanguinoso rastrellamento nazifascista; sembra che le Brigate Rosse la usarono per anni come luogo di addestramento. " È un territorio con una doppia anima, naturale e antropica", spiega il direttore del parco, Tullio Bagnati: "Un paesaggio bio-culturale». Prima, popolata al punto da esser definita "città estiva" per la diffusione di alpeggi ( oggi ve ne sono 178, fazzoletti di terra strappati alla montagna per il pascolo del bestiame che si ravvivavano in primavera ed estate, la Val Grande era una specie di residenza stagionale delle popolazioni dei paesi circostanti. Poi, luogo abbandonato, che dopo essere stata la "valle dell'uomo" diventa il luogo della natura selvaggia su cui si chiude un "sipario di foglie” È il fenomeno della wilderness di ritorno, tratto distintivo dell'area ma con conseguenze anche negative. "Tre anni di ricerca sui pascoli e le praterie alpine": spiega Bagnati, "hanno mostrato che la dinamica naturale che ha progressivamente colonizzato, con arbusti e alberi, i prati e i pascoli abbandonati, i valichi e gli alpeggi, determina nel breve periodo una perdita di specie qualificate a livello ecologico". È nato così «un progetto-pilota di recupero di un alpeggio in quota, l'Alpe Straolgio, introducendo quest' anno circa 70 capre, nella convinzione che la biodiversità sia frutto, come in tutto l'arco alpino, anche dell'azione dell'uomo". Se si escludono i paesi ai margini, nessuno vive all'interno del parco. L'unico vero abitante della VaI Grande è Gianfry. L'uomo che vive fuori dal mondo, a due passi dalla cosiddetta civiltà, a piedi nudi. Un irregolare che di tanto in tanto scende dai monti, per depositare rifiuti non degradabili e recuperare libri e giornali, si apre al mondo e poi svanisce di nuovo. Lui chiede solo di vivere nella sua dimora silvestre, in pace, libero, pronto a dare una mano a tutti "qui incontro persone di continuo, molte di più che a valle". Questo è il secondo inverno che trascorre "dentro" senza interruzioni. L'anno scorso ha quasi rischiato di morire: la neve aveva bloccato la bocca del camino del bivacco e il fuoco della sua candela aveva consumato quasi tutto l'ossigeno prima che se ne accorgesse e riuscisse ad aprire la porta, anch'essa ostruita dalla neve. Ricorda che quando, all'inizio della sua avventura, ha voluto provare per la prima volta a restare, lo ha fatto d'inverno, perché "è quando la montagna trema per il vento e la pioggia, e la neve e il ghiaccio bloccano tutto e sei prigioniero delle montagne, che capisci se puoi farcela a vivere qui".
Le emergenze della Val Grande sono altre.
La qualità dell'aria, per esempio, che, secondo le rilevazioni della Carovana delle Alpi di Legambiente sulle concentrazioni di ozono, è "pessima”: il secondo valore più elevato di tutto l'arco alpino. Sembra paradossale, per un'area selvaggia e disabitata, ma come spiega Amelia Alberti, presidente del Circolo Legambiente di Verbano, «le brezze spostano facilmente l'ozono nelle zone alpine, dove è più persistente e meno degradabile, proprio a causa dell'aria più pulita. L'altissimo valore medio di concentrazione in ozono in Val Grande è il risultato dell'inquinamento delle zone di pianura urbanizzate e industriali, vicine e lontane. Non esistono più isole felici».
Le autorità del parco stimano in 12-15 mila, di cui almeno la metà stranieri (soprattutto svizzeri, tedeschi, olandesi), i passaggi annui di turisti con pernottamenti nei bivacchi e rifugi. "Il parco è una risorsa importante per i paesi attorno", dice Luca Caretti, che frequenta la VaI Grande da sempre. "È un'opportunità per il territorio questa wilderness che non si è trasformata. Qui vieni perché trovi l'anima, quando entri è come se chiudessi un cancello dietro le spalle rispetto alla quotidianità, basti dire che il cellulare non prende da nessuna parte".
Rallenti il ritmo, riscopri cos'è il cielo, l'ebbrezza delle quattro stagioni. Per Gianfry, "l'incontro con la Val Grande è anche spirituale, qui mi sento ai confini con Dio".
Ha costruito piccoli altari nei bivacchi che frequenta, ornati da un Crocefisso, una Madonna con il Bambino, piume di uccello, fiori di campo, un pupazzetto azzurro, a volte anche Shiva o Ganesh. E la corona di rosario consumata dalle preghiere, "una meditazione ripetuta che porta a concentrarti su quel che fai", con cui tiene il ritmo del passo nei suoi spostamenti.
"Sono libero perché non ho niente, come un bambino. Il bambino che qui è venuto fuori, che prima non avevo mai potuto essere".
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