Siamo a Cortina d’Ampezzo (Belluno).
Quello che vedete è un soggetto che - come tantissimi altri - palesa (non per colpa sua) lacune gravi ed evidenti in materia di educazione, rispetto e approccio alla fauna selvatica. A destra molti analfabeti funzionali irrecuperabili continuano a vedere “Bambi”, io invece vedo semplicemente un bell’esemplare di cervo (Cervus elaphus), per la precisione un maschio adulto, potenzialmente la specie di mammifero di gran lunga più pericolosa dei nostri boschi. Roba che i tanto demonizzati lupi, in confronto, sono dei carlini vestiti a festa.
Eh sì, perché forse sarebbe ora di ficcarcelo nella zucca: il cervo è una bestia particolarmente pericolosa. Un maschio adulto può raggiungere e superare i 200 kg, può contare su una muscolatura possente ed esplosiva (ma li avete mai visti nei documentari due cervi fronteggiarsi e incrociare i palchi, diobono???) e su palchi enormi, ramificati, appuntiti e imponenti. Aggiungiamoci pure che è una specie-preda, di conseguenza in genere piuttosto nervosetto, imprevedibile e talvolta irascibile, soprattutto quando gli parte l’ormone.
Se in un certo momento nella testa del cervo scattasse non-sappiamo-cosa e decidesse che trovarsi in mezzo a una calca di umani non fosse proprio la sua situazione ideale, diverse persone sarebbero in pericolo di vita. E così Isaia (questo il nome che gli hanno dato, ma sorvoliamo), da dolce personaggio delle fiabe, diventerebbe in un attimo una specie di bulldozer, un evisceratore seriale di umani a caccia di selfie.
Ma anche senza dover per forza diventare un pericolo per le persone, questo cervo corre gravissimi pericoli per sé stesso. E qui non mi sembra il caso di stare a elencare una per una tutte le ragioni per le quali un selvatico non può e non deve essere foraggiato/nutrito/avvicinato dagli esseri umani alla spasmodica e maniacale caccia di un “contatto” con l’animaletto del bosco. Non è un comportamento “carino”, ma una condotta da stigmatizzare senza pietà. Abbiamo già scritto fiumi di parole e continueremo a scriverne, io e tutti i miei colleghi. Ma a questo punto, per farci capire, forse dovremmo cominciare a scrivere in ostrogoto.
Un animale selvatico assuefatto all’uomo, confidente con l’uomo, che associa il cibo all’umano e che si abitua a frequentare l’uomo in cerca di “snack facili” è un ANIMALE MORTO CHE CAMMINA. Perché prima o poi, in un modo o nell’altro, al 99% ci lascia la ghirba per diverse ragioni che ho scritto e scriverò alla nausea.
Alcuni mesi fa fu la volta del cervo “Bambotto” (solo nominare questo appellativo mi fa venire l’orchite), fucilato, guardacaso anche lui abituato ad aggirarsi “amichevolmente” in paese, diventato star di foto, video, selfie, articoletti intrisi di melassa. Praticamente un personaggio pubblico, che la stampa aveva trasformato nel protagonista di un cartone animato. Alla sua uccisione si è giustamente sollevata l’indignazione popolare, con tanto di gogna mediatica nei confronti di chi aveva sparato. Comprensibile sebbene esagerata, ingiustificabile e fuori da ogni buon senso. Ma in pochi hanno osato puntualizzare che la colpa era anche di chi ha “apparecchiato” la tavola abituando quel cervo a cibo e carezzine: queste situazioni vanno prevenute. E prevenzione significa capire, comprendere, informarsi, ascoltare gli esperti del settore a mente aperta anziché rifiutarsi e rinchiudersi nei soliti rassicuranti bias cognitivi - la “comfort zone” del mondo naturale visto come fiaba. Guardacaso, la storia del cervo “Bambotto” ha avuto luogo non troppo distante da dove adesso si aggira questo “nuovo” cervo.
Della serie “errare è umano, ma perseverare è bello”. La lezione non si impara mai. Ma cosa deve succedere?
Questa visione bucolica ed edulcorata del mondo naturale nuoce in primis proprio agli animali che molti dicono di amare. Rispettiamo i cervi per quello che sono: non bambini, né cagnolini o gattini, bensì animali selvatici potenzialmente pericolosi che meritano rispetto, e in questo caso rispetto vuol dire distanza di sicurezza e soprattutto smetterla con questa assurda fantasia/pretesa/convinzione che i selvatici abbiano “bisogno” del nostro aiuto e/o intervento.
È bello sentirsi “salvatori” di una vita, vero? La consapevolezza che qualcuno/qualcosa dipende da noi. Ma se quella vita, della nostra intromissione, facesse volentieri a meno?
Mi appello provocatoriamente alla stampa-spazzatura che il convento passa in questo misero paese, non degno di ospitare siffatto patrimonio naturale: smettetela di scrivere questi articoli ridicoli, forieri solo di danni e malintesi nei confronti del mondo naturale. La gente non ha evidentemente gli strumenti per capire che scrivete solo pattume, e sono convinto che molti “organi di stampa” lo facciano non solo per ignoranza ma anche al solo bieco scopo di accattivarsi lettori e di generare utenza, clic, pubblico. Con buona pace della informazione vera, ormai morta e sepolta. Ma se a scrivere di fauna selvatica, ambiente e natura fossero naturalisti, zoologi, biologi? Chiedo troppo?
Mi appello anche a tutti i lettori, anche a voi che leggete in questo momento: i mezzi di “informazione” non sono chiaramente in grado di offrirvi una visione vera, reale, obiettiva e costruttiva del mondo naturale. Vi raccontano le favolette. Allora vi sprono a munirvi voi stessi, per conto vostro, degli strumenti per filtrare tutta la spazzatura che cercano continuamente di propinarvi.
La natura - quella vera e non quella dei mini pony - ve ne sarà grata.