Viviamo nell' era della
disintermediazione di cui tanto si straparla in politica, ma che ha avuto un vero e proprio boom nel campo dei consumi, con la progressiva scomparsa del piccolo commerciante.
Non parlo del semplice acquistare in rete ma del superamento della prassi, inevitabile fino a 20 anni fa,
di accettare il consiglio di un personaggio in palese conflitto di interessi con un processo, appunto, di "disintermediazione" .
Questo ha generato una forte curiosità per un ramo della conoscenza fino a qualche anno fa sconosciuto (e che oggi pochi chiamano con il suo nome: la
merceologia )
In fondo il post tanto criticato da
@Henry Thoreau (l'utente, non lo scrittore

) non è altro che un saggio di merceologia nel settore "tende da campeggio". Francamente è sembrato eccessivo anche a me, ma sono io il primo a perdermi in ricerche per decidere cosa è meglio acquistare per me senza finire nella tagliola di un commerciante che cerca semplicemente di vendermi cosa è meglio per lui.
E' questo contrario a quell'
umanesimo e
rispetto dell' ambiente che si preannunciano come obiettivo imprescindibile della società nei prossimi anni?
A mio avviso no, "
uomo informato è mezzo salvato", forse è anche per la mania di tanti merceologi dilettanti che (per fare un esempio) si può dar seguito al bando dei
PFAS quei "simpatici" prodotti chimici usati per trattare l'abbigliamento per escursionismo che dagli scoli delle fabbriche si infiltrano nella falda e minano la salute di chi beve poi quelle acque, con il paradossale risultato di causarci il cancro solo per farci restare asciutti durante una escursione in montagna.
E' giusto forse ricordare che nella Enciclopedia di Rousseau, una delle pietre miliari nell' inizio dell' illuminismo, ampio spazio si dava alla descrizione dei processi di fabbricazione delle "cose"... non è lo stesso oggi per wikipedia, l' Enciclopedia del terzo millennio?
Lasciamo quindi che i merceologi dilettanti (razza a cui mi iscrivo ovviamente) facciano il loro lavoro da oscuri nerd del sapere spicciolo.
Colui che si impegna a conoscere ciò di cui agli altri non sembra importar nulla ha una sua funzione sociale.
Forse la società si cambia in meglio anche scrivendo una recensione su Amazon, almeno quanto non la si migliori condividendo le proprie pippe mentali (absit iniuria verbis) su un forum.
Come al solito sai centrare, isolare e focalizzare con acutezza nelle questioni complesse quelli che ne sono i punti cruciali, spesso non chiari o almeno non definiti in primis a chi le questioni le pone (in questo caso il sottoscritto).
Comincio dal primo, riassumibile in una sola parola ("merceologia") e che mi ha fatto decisamente sorridere. Dico questo perché mi ha richiamato esattamente una mia materia universitaria della quale, ai tempi (parlo di 30 anni fa) diedi pure il relativo esame e che ora mi sono reso conto - proprio rileggendo il termine da te scritto - di essermene incredibilmente dimenticato la stessa esistenza

: qualcosa per me inaudito e che mi ha lasciato esterrefatto.
Soltanto ora, facendo mente locale, riesco a malapena a farmene (forse) una pietosa ragione : si trattava della materia-cenerentola, anzi a dirla tutta appariva un contenitore informe di che non si sapeva neppure bene cosa fosse di preciso, senza alcun apparente aggancio alla benchè minima altra materia, senza possibilità di rientrare in alcuna "famiglia" di insegnamenti in qualche modo affini : e quindi tanto meno si poteva capire a cosa potesse servire in una facoltà di economia i cui studenti, tutt'al più, si bipartivano tra chi era più appassionato all'economia teorica macro e micro (manco a dirlo io tra quelli), e chi più all'economia aziendale, alla finanza e affini (i futuri - almeno aspiranti - a posti di manager, city londinesi e simili).
Merceologia : sì, qualcosa di troppo vasto per essere riducibile a una semplice "materia" ; e allo stesso tempo, però, una volta effettivamente ridotta a materia di un solo semplice esame, troppo generica sfumata e improbabile per essere considerata qualcosa di serio, anzi forse persino un po' ridicola nella sua apparente pretesa di invadere campi di tutt'altre e ben più pertinenti facoltà tecniche.
Di qui il suo essere cenerentola e, probabilmente, di qui anche la sua inconsapevole e involontaria "rimozione mentale" da parte mia.
Eppure, come dicevo, il punto è probabilmente proprio questo : a quell'epoca (30 anni fa), quando ancora era di là da venire quella "dis-intermediazione" da te perfettamente messa nel mirino e citata, una materia come la "merceologia" sembrava appunto non avere alcun senso e utilità pratica. A cosa serviva, in fondo, lo "studio delle merci" quando ancora imperava la vera e propria categoria sociale dei commercianti e nel rigoroso rispetto del loro ruolo se ne pendeva dalle labbra in termini di opinioni su prodotti, varietà, disponibilità, assortimenti ? il tutto per giunta esasperato da quel formidabile coltello tenuto (da loro) dalla parte del manico e costituito dagli invalicabili perimetri "fisici" di ogni possibile ricerca, nella logica per la quale : un qualsiasi oggetto che servisse a Roma lo si poteva cercare soltanto a Roma ; uno che fosse servito a Caltanissetta, soltanto a Caltanissetta ; ed era appunto competenza dei commercianti tenere le fila degli eventuali(ssimi) trasferimenti dell'oggetto in questione da una città all'altra. Per fare il caso della tenda : all'epoca, un negozio che ti avesse proposto una tenda conica, di un unico dato modello, di un unico dato materiale e dimensioni, e di un unico dato produttore magari inglese, olandese o americano, sarebbe già passato per un esercizio fornitissimo, per ciò soltanto sarebbe magari vissuto di rendita sulla reputazione di miglior negozio tendarolo dell'intero Centro Italia : adesso invece, da soli, si cercano 15 produttori sparsi per il mondo, 3 materiali, 20 dimensioni, 125 modelli… e senza muoversi da una sedia.
In altri termini, il famigerato abbattimento delle frontiere per le merci era appannaggio esclusivo della discrezionalità (e degli interessi) di una vera e propria categoria professionale, quella del commerciante, del tutto diversa e contrapposta dalla categoria del "cliente finale", il cui spazio di libertà poteva al massimo consistere nel visitare qualche diverso negozio nel raggio di qualche chilometro (senza contare tutti gli altri discorsi-satellite rispetto a questo, tipo l'assoluta mancanza di concorrenza, ecc. altrimenti non ne usciremmo più).
Quindi, per quanto sopra, hai detto benissimo : internet, scardinando letteralmente la categoria dell'intermediario, ha fatto "scendere" a livello del cliente finale la necessità di interessarsi della famigerata "merceologia", spogliandola di ogni bizantinismo teorico e anzi rivalutando e facendo risaltare, di quest'ultima, tutti gli aspetti e le utilità pratiche.
Il che rappresenta una medaglia a doppia faccia, fatta cioè di onori ed oneri, perché mette in capo alla figura dell'utente-profano la libertà ma anche le responsabilità ed i rischi connessi ad ogni scelta. Ed il punto è che l'utente-profano rappresenta un prototipo, cioè la regola e non l'eccezione : in primis perché viene concentrato tutto su di lui l'onere di un'infinità di valutazioni che prima erano parcellizzate in capo a tante tipologie di commercianti quante erano le categorie di merci trattate. Per capirsi : i consigli del commerciante di turno potevano anche essere in conflitto d'interessi, ma pur in mezzo a tale conflitto qualcosa di oggettivo e spassionato restava pur sempre possibile sentirselo dire. E non solo oggettivo e spassionato ma anche competente: poiché bene o male informazioni sui fiori le si chiedevano a un fioraio, qualcosa sui cacciaviti a una ferramenta e così via. Oggi, invece, le informazioni su tutto di tutto sono un sentiero accidentatissimo che va percorso integralmente in prima persona, destreggiandosi tra articoli, tutorial, blog e quant'altro, che tra l'altro ha creato di fatto veri e propri mestieri come quello di "recensore" dove non di rado l'estrema disomogeneità di quanto recensito fa sospettare di essere esposti al rischio di recepire cazzate non minore del precedente rischio di recepire consigli interessati. Un esempio per tutti, il sito di Salvatore Arenzulla che pure ha fatto una fortuna proponendosi come un unicum di recensibilità dell'intero scibile umano : ma l'effettiva attendibilità ?
Per di più, tutto ciò è ulteriormente amplificato dal fatto che oggi la quantità e qualità di merci sono a loro volta enormemente aumentate rispetto ad allora : ossia la dis-intermediazione è cresciuta proprio in parallelo a una maggior mole di informazioni da reperire la quale avrebbe richiesto, semmai, una maggior intermediazione !
Ora, stando così le cose, quali le possibili vie per uscirne ?
Una via accessibile e praticabile sembrerebbe essere proprio la condivisione di informazioni "tra" utenti finali, dove ogni utente recensisce solo ciò che lo interessa e lo condivide : basta allora che si crei una comunità di utenti con una massa critica sufficientemente numerosa, nella quale ognuno fa confluire - come fosse un collettore - la rispettiva "competenza" su un oggetto (derivante dallo specifico interesse ad esso). Ciò in sostanza non sarebbe altro che replicare o clonare quella stessa parcellizzazione di competenze che prima si aveva all'interno della categoria dei commercianti. In altre parole, tutto si trasforma in una sorta di baratto tra "recensori", che scambiano i propri "prodotti" (le recensioni) senza essere in conflitto d'interesse come i commercianti. Ed esattamente come una volta poteva avvenire che esistessero magari negozi di articoli nei quali uno non metteva mai piede in vita sua - ma che non per questo smettevano di avere comunque tutti una loro funzione - così oggi (copio/incollo le tue parole) "anche colui che si impegna a conoscere ciò di cui agli altri non sembra importar nulla ha una sua funzione sociale. Forse la società si cambia in meglio anche scrivendo una recensione su Amazon, almeno quanto non la si migliori condividendo le proprie pippe mentali (absit iniuria verbis) su un forum".
Tradotto : potrà anche accadere che trascorrano anni prima che il trattato di merceologia su "una" specifica tenda come quella del thread possa concretamente risultare utile a qualcuno (proprio per l'insieme di peculiarità delle caratteristiche della tenda stessa, che "tagliano" fuori chiunque cerchi una tenda piccola, trasportabile a mano, leggera, non familiare, ecc.), e infatti come scriveva Andreal
probabilmente un percorso così dettagliato e particolareggiato come in:
https://www.avventurosamente.it/xf/threads/tenda-canvascamp-tipi-500-ultimate.53093/
per una "semplice tenda" non l'avrei fatto, ma solo perchè l'argomento mi interessa poco.
Eppure ciò non toglie che tuttavia prima o poi a qualcuno possa effettivamente servire.
In realtà sono altri gli aspetti obiettabili a questa soluzione.
Intanto, quello che si potrebbe definire il rapido "decadimento temporale" delle informazioni. C'è un "sapere umanistico" che è sempiterno, un sapere scientifico che è un ibrido tra fissità e continua evoluzione, e infine un sapere "tecnico" (cui corrisponde questo caso) o addirittura meramente "merceologico" che è intrinsecamente soggetto a una pazzesca velocità di obsolescenza.
Per questo può tranquillamente accadere che quando prima o poi qualcuno consulterà quelle informazioni, tra quel "prima" e quel "poi" siano intervenute evoluzioni delle merci, delle loro produzioni e/o dei loro produttori, da rendere già superate quelle stesse informazioni.
Tradotto : quanto sarà ancora "utile" quel trattatello tra 3 o 5 anni a qualcuno a cui pure dovesse effettivamente servire quel tipo di tenda ? Quanta della fatica e della meticolosità in esso contenute saranno andate disperse ed evaporate proprio per via dell'evoluzione degli eventi ?
In altri termini, è un processo dinamico dove spesso le informazioni non riescono a tenere il passo degli oggetti a cui si riferiscono, dove il "sapere" e la competenza hanno una scadenza poco superiore a quella di uno yoghurt, dunque tarpando sul nascere in modo enorme le potenzialità del sapere condiviso.
In sostanza il problema di fondo è che oggi la "merceologia" è una sorta di materia autodidattica necessaria (un po' come le lingue e l'informatica) ma allo stesso tempo imprendibile come una sorta di miraggio. Proprio perché è la natura stessa degli oggetti ad aver assunto la fisionomia di un miraggio : tu ti avvicini, e loro si allontanano ; non fai in tempo a studiarne uno, che già te lo ritrovi cambiato, se non soppiantato da un altro.
Quindi non è solo questione di "intermediazione" o meno ; è anche questione di filosofia intrinseca dell'oggetto, che sembra in tutto e per tutto fatta apposta per disincentivarne qualsiasi studio e approfondimento. Se un tempo l'avventura era affrontare l'ignoto inteso in senso geografico (terre lontane), ora paradossalmente sembra esserlo è inoltrarsi in quel grande oceano - altrettanto ignoto - costituito dagli oggetti. E in effetti, comprarne uno corrisponde spesso proprio a un'avventura !
E per lo stesso motivo spesso mi vien da ridere (cercando di non darlo a vedere) di fronte a gente che si autodefinisce "avventurosa" : con che coraggio, direi, dopo che l'avventura (quella vera) ormai è come se fosse resa antisettica e poi venisse inscatolata in confezione sottovuoto ...
Di fronte a ciò, l'altra possibile via d'uscita è avere una reazione del tipo : ma chi me lo fa fare a pensare, rimuginare, scervellarmi per comprare un oggetto di cui sono profano, visto che nel giro di appena 1, 2, 3 anni scoprirò di poterne avere uno migliore / più adatto / più funzionale, ecc. ecc. e pure a minor prezzo. Si assume cioè un atteggiamento fatalistico, rassegnandosi preventivamente a considerare ogni acquisto una caccia al tesoro, la ricerca dell'ago nel pagliaio, e quindi all'ineluttabilità di una scelta approssimativa che si sa già essere in ogni caso lungi da quella ottimale e ancor più da quella ideale. Tanto più perché sarebbe comunque quella "ottimale" o "ideale" in QUEL momento, destinata ben presto anch'essa a non esserlo più : dunque, a maggior ragione, ne può valere la pena ?
Questo, per chiunque sia già caratterialmente portato a vedere gli oggetti come scocciature, rappresenta un alibi formidabile, un invito a nozze.
Infine c'è una terza via, ancora più radicale : fare il più possibile proprio a meno degli oggetti, maturando un distacco da essi. Un po' come le sigarette per chi vuole smettere di fumare.
Ma questa via può scattare solo a seguito di una sorta di scintilla mentale e di un processo di progressiva consapevolezza interiore, che prenda le mosse soprattutto dal riconoscimento dell'essenzialità assolutamente esagerata che di fatto viene loro attribuita senza neppure rendersene conto, al di là di ogni consapevole percezione, rendendo di fatto la "merceologia" il perno della vita stessa.
Su questo aspetto, quello degli oggetti come inconsapevoli "supporti di vita" o zeppe per tavoli traballanti (a cui accennavo nel primo post) rimando a un momento successivo.