Mi son sempre chiesto che cosa avrei provato se qualche evento mi avesse tenuto lontano da boschi e pareti, dalle mie attività giornaliere con legna ed orto, dalla raccolta delle erbe spontanee, in pratica cosa sarebbe successo se qualcosa avesse messo in stand by la vita che mi sono costruito.
Ebbene ormai 11 giorni fa la risposta ha cominciato a maturare, da quel giorno sono in attesa di operazione (che salvo complicanze si svolgerà fra 3 giorni) per rimettere insieme i pezzi di un’articolazione.
Cos’è successo? Ho avuto a che fare con la gravità.
In un giovedì mite e soleggiato, dopo aver svolto le mie attività quotidiane con la legna ho deciso di andare a provare un progetto in cantiere da un po, la salita di una placca impossibile da proteggere se non sull’uscita e fuori dalle difficoltà, questa volta niente autosicura, ma ennesimo freesolo (pratica evidentemente pericolosa che ovviamente sconsiglio ma che per quanto mi riguarda fa parte del mio bagaglio) da mettere in cascina.
Essendo vicino a casa in un tratto di bosco vicino alla strada ho con me solo magnesite e scarpette, nemmeno il cosciale che ho sempre appresso e che contiene oltre al Mora, tutto il mio edc.
La placca è in condizioni perfette e parto, arrampico bene fino a metà, poi su un cambio di mano la tacca sfugge e cado, 5 metri di volo.
Arrivato a terra cado di schiena, ho cura di tutelare la testa, pare tutto finito, ma uno strano calore anticipa quel che poi vedo, il piede sinistro è in una posizione strana, in primis penso ad una lussazione, poi uno spuntone di osso mi comincia a dare la dimensione del danno. Non ho cellulare (nessuna dimenticanza ma scelta, criticabile ma ponderata e voluta, sono un maledetto fatalista, forse), la strada è vicina in condizioni normali, ma così...Mi devo comunque dare da fare e velocemente, l’adrenalina non fa sentire il minimo dolore ma credo non durerà quindi come prima cosa tiro il piede per rimettere l’osso dentro, poi -e non so ancora come ho fatto- tolgo la scarpetta.
Mi do 15 secondi di riposo e per valutare i passi successivi.
Sono senza coltello, è la mancanza che sento di più. Devo steccare gamba e caviglia, ma con cosa? Sfilo il laccio di uno scarpone e recupero due pezzi di legno che andrebbero scortecciati ed adattati ma senza lama posso solo spezzarli grossolanamente a misura.
Stecco al meglio possibile, altri 15 secondi di pausa (già avevo utilizzato in passato il metodo delle tempistiche contingentate durante infortuni più lievi e anche questa volta si è dimostrato un buon metodo) e poi con le mani appoggiate a monte percorro saltellando il breve sentiero che porta a vedere la strada. Ci sono ma come scendere fino ad essa? Appoggi non ce ne sono più, bastoni non ce ne sono...ma c’è una pista di cervi che scende fino alla carreggiata...diretta ripida, con terra e sassi smossi, perfetta. Mi appoggio di culo e scivolo, controllando la discesa con il piede buono, fino alla strada.
Riesco a mettermi in piedi e comincio a saltellare verso il paese, in salita. Mi fermo ogni 20 secondi per 15, la fatica è immane e per di più devo sedermi sul guard rail per risistemare la steccatura...20 secondi. Finalmente la prima nota buona della giornata, sta arrivando un’auto! Faccio autostop e poco dopo sono in ospedale, mi operano in serata e mi applicano un prefix in attesa che si risolva l’infezione prima dell’applicazione delle placche. Diagnosi: frattura esposta del perone, articolazione della tibia staccata dall’osso lungo e spaccata a metà...almeno 3 mesi prima di camminare e 7/10 prima di tornare per boschi e pareti.
I primi giorni son volati fra dolori vari e noia, ma inaspettatamente non c’è ancora stato -ad oggi- un minuto di rimpianto o depressione, quella che era sempre stata la paura maggiore, il dover stare lontano dal mio mondo, è ora la motivazione principe per bruciare le tappe della guarigione, ho già pensato ai primi facili sentieri da calcare verso giugno dove raccogliere le erbe che ci saranno, nonché -ma le tempistiche saranno ben più lunghe- la prima via di roccia del ritorno alla vita.
Ogni tanto aggiornerò questo post non tanto con la cronaca dei progressi fisici ma soprattutto, e credo sia più interessante, con gli alti e bassi psicologici di una degenza tanto lunga e con le motivazioni che volta volta si faranno vive per tirare a guarire.
Buona vita.
Ebbene ormai 11 giorni fa la risposta ha cominciato a maturare, da quel giorno sono in attesa di operazione (che salvo complicanze si svolgerà fra 3 giorni) per rimettere insieme i pezzi di un’articolazione.
Cos’è successo? Ho avuto a che fare con la gravità.
In un giovedì mite e soleggiato, dopo aver svolto le mie attività quotidiane con la legna ho deciso di andare a provare un progetto in cantiere da un po, la salita di una placca impossibile da proteggere se non sull’uscita e fuori dalle difficoltà, questa volta niente autosicura, ma ennesimo freesolo (pratica evidentemente pericolosa che ovviamente sconsiglio ma che per quanto mi riguarda fa parte del mio bagaglio) da mettere in cascina.
Essendo vicino a casa in un tratto di bosco vicino alla strada ho con me solo magnesite e scarpette, nemmeno il cosciale che ho sempre appresso e che contiene oltre al Mora, tutto il mio edc.
La placca è in condizioni perfette e parto, arrampico bene fino a metà, poi su un cambio di mano la tacca sfugge e cado, 5 metri di volo.
Arrivato a terra cado di schiena, ho cura di tutelare la testa, pare tutto finito, ma uno strano calore anticipa quel che poi vedo, il piede sinistro è in una posizione strana, in primis penso ad una lussazione, poi uno spuntone di osso mi comincia a dare la dimensione del danno. Non ho cellulare (nessuna dimenticanza ma scelta, criticabile ma ponderata e voluta, sono un maledetto fatalista, forse), la strada è vicina in condizioni normali, ma così...Mi devo comunque dare da fare e velocemente, l’adrenalina non fa sentire il minimo dolore ma credo non durerà quindi come prima cosa tiro il piede per rimettere l’osso dentro, poi -e non so ancora come ho fatto- tolgo la scarpetta.
Mi do 15 secondi di riposo e per valutare i passi successivi.
Sono senza coltello, è la mancanza che sento di più. Devo steccare gamba e caviglia, ma con cosa? Sfilo il laccio di uno scarpone e recupero due pezzi di legno che andrebbero scortecciati ed adattati ma senza lama posso solo spezzarli grossolanamente a misura.
Stecco al meglio possibile, altri 15 secondi di pausa (già avevo utilizzato in passato il metodo delle tempistiche contingentate durante infortuni più lievi e anche questa volta si è dimostrato un buon metodo) e poi con le mani appoggiate a monte percorro saltellando il breve sentiero che porta a vedere la strada. Ci sono ma come scendere fino ad essa? Appoggi non ce ne sono più, bastoni non ce ne sono...ma c’è una pista di cervi che scende fino alla carreggiata...diretta ripida, con terra e sassi smossi, perfetta. Mi appoggio di culo e scivolo, controllando la discesa con il piede buono, fino alla strada.
Riesco a mettermi in piedi e comincio a saltellare verso il paese, in salita. Mi fermo ogni 20 secondi per 15, la fatica è immane e per di più devo sedermi sul guard rail per risistemare la steccatura...20 secondi. Finalmente la prima nota buona della giornata, sta arrivando un’auto! Faccio autostop e poco dopo sono in ospedale, mi operano in serata e mi applicano un prefix in attesa che si risolva l’infezione prima dell’applicazione delle placche. Diagnosi: frattura esposta del perone, articolazione della tibia staccata dall’osso lungo e spaccata a metà...almeno 3 mesi prima di camminare e 7/10 prima di tornare per boschi e pareti.
I primi giorni son volati fra dolori vari e noia, ma inaspettatamente non c’è ancora stato -ad oggi- un minuto di rimpianto o depressione, quella che era sempre stata la paura maggiore, il dover stare lontano dal mio mondo, è ora la motivazione principe per bruciare le tappe della guarigione, ho già pensato ai primi facili sentieri da calcare verso giugno dove raccogliere le erbe che ci saranno, nonché -ma le tempistiche saranno ben più lunghe- la prima via di roccia del ritorno alla vita.
Ogni tanto aggiornerò questo post non tanto con la cronaca dei progressi fisici ma soprattutto, e credo sia più interessante, con gli alti e bassi psicologici di una degenza tanto lunga e con le motivazioni che volta volta si faranno vive per tirare a guarire.
Buona vita.