Escursione La montagna, il dolore, la sconfitta.

Parchi d'Abruzzo
  1. Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise
Data: 4 gennaio 2017
Regione e provincia: Abruzzo - AQ
Località di partenza: Villetta Barrea
Località di arrivo: idem
Chilometri: quindici circa
Dislivello positivo 1360 m.
Quota max: 2080 m (meno di 100 m. sotto la cima di Rocca Chiarano).
Descrizione delle difficoltà: freddo, vento molto forte, neve fresca (10cm).
Segnaletica: buona (segnavia biancorossi de PNALM). Dov'è assente o scarsa, gli ometti di pietra aiutano.

Descrizione
Non scrivo per parlare dell'escursione in sé, che pure descriverò brevemente, ma per condividere, dopo averla metabolizzata, una sonora lezione impartitami dalla montagna. No, per fortuna non si tratta di emergenze, errori o storie di sopravvivenza. Nessun bivacco in parete nella tempesta né salvataggi miracolosi. Si tratta di quello che ho dovuto imparare dopo aver dovuto fare marcia indietro a 100 m. dalla cima. Può sembrare una descrizione esageratamente teatrale "a 100 m. dalla cima", sembra più adatta a chi è ad un passo dalla vetta di un 8000. Invece tutto si svolge sul banalissimo pendio a sud di Rocca Chiarano.
Il punto è che a volte non è tanto quello che abbiamo intorno ma quello che ci succede dentro a tracciare dei segni che possono essere molto più profondi di quanto ci si aspetterebbe, a prescindere dalla quota, dalla pendenza.
Prima di cercare di spiegarmi, due premesse. La prima: per esigenze lavorative e familiari ho un orario di ritorno a casa abbastanza fisso. Partendo da questo, individuo l'orario massimo entro il quale devo tornare indietro, devo scendere, insomma. Quell'orario tiene anche conto di un piccolo cuscinetto di mezz'ora circa, per evenienze varie (qualche foto, un caffè un po' più lungo ecc.).
La seconda premessa: numerosi problemi fisici, tra i quali ultimamente emerge una forte metatarsalgia, mi hanno portato ad acquistare delle pedule con intersuola molto morbida, che sembrano aver mitigato un po' il problema. Purtroppo queste non sono ramponabili e, sperando di trovare un po' di neve ghiacciata (finalmente),porto ramponi e picca ma devo ovviamente optare per delle pedule "classiche".

Veniamo a noi...

L'escursione è nota probabilmente a molti. Si parte da Villetta Barrea (parcheggio poco oltre il cimitero) e si segue il sent. H1 che, dopo aver costeggiato per qualche centinaio di metri il torrente, si inerpica prima lungo pendii brulli e poi si immerge nel bosco. Qui il terreno è umido e gelato e le rocce e le radici sono scivolosissime.
Questa porzione di sentiero è ripida, ma uscendo dal bosco si apprezzano bellissimi panorami sul Monte Sterpidalto, la Camosciara e tutte le catene più lontane.
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Entrando ed uscendo dal bosco più volte, la temperatura cambia sensibilmente: allo scoperto il sole riesce a scaldare, ma all'ombra del bosco il gelo si fa sentire.

Abbandonato il bosco, si risale un pendio che porta infine ad un grande pianoro con uno stazzo in una bella conca. Qui la neve comincia ad essere un problema. Sono circa 10 cm, caduti il giorno prima, probabilmente gelati nella notte ma ora fusi al sole. Ne risulta uno strato scivolosissimo che si compatta sotto il piede non per creare portanza bensì per accentuare la scivolosità del terreno.
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Purtroppo è già da un po' che la metatarsalgia al piede sinistro comincia a farsi sentire. È un campanello d'allarme perché solitamente si presenta in discesa, quasi mai in salita.
Il dolore si somma al terreno reso pesante dalla neve così stranamente farinosa, quasi come fosse caduta da qualche minuto e non da ieri. Ogni passo che faccio affonda prima di una decina di cm e, al momento di spingere per avanzare, scivola penosamente rallentandomi ed aumentando la fatica.

Proseguo comunque aggirando sulla sinistra lo stazzo per cominciare a risalire gli ultimi pendii che mi porteranno sulla spalla di Rocca Chiarano. Il pianoro e le prime pendici sono rotti da una serie di piccoli saliscendi e muraglie che proteggono abbastanza dal vento. Guardando la cima, però, si vedono grandi mulinelli di neve strappata alla montagna dalle poderose raffiche delle quali, per ora, sento solo il rumore.

È appena superata la quota di una prima piccola cresta che la raffica mi schiaffeggia. È incredibile come la relativa calma dello stazzo si trasformi in un vento che ti permette a fatica di star dritto. Sono a circa 1850 m. di quota, circa 300 m sotto la cima. Mi rendo conto di essere troppo lento, si sta facendo tardi. Mi si affaccia alla mente la possibilità di non arrivare in cima. Accelero più che posso, i muscoli cominciano a dolere per quel continuo scivolare. Provo a mettere i ramponi, sperando di guadagnare un pò di presa. Niente. Le punte penetrano facilmente la poca neve e trovano il pendio sassoso. Se è possibile, è ancora più faticoso stare in piedi perché le punte di metallo sulle pietre mi provocano continui squilibri e piegano le caviglie. Tolgo nervosamente i ramponi, con le mani rosse ed il sudore che mi si gela addosso per il vento.

A 2080 m. di quota guardo l'orologio: sono oltre il tempo limite. Ho consumato anche i 30' di "riserva". Capisco che la cima è andata. La vedo vicinissima. Potrei chiamare casa ed avvisare che arriverò un'ora più tardi. Niente di grave, solo qualche disagio facilmente superabile. Ma mi dico che sarebbe come barare. Non ce l'ho fatta. Punto. Avrei potuto farcela, non si trattava di un'impresa atletica. Eppure non ce l'ho fatta.

Mi inginocchio dietro un masso per cambiarmi e bere un po' di caffè del thermos, che nella tazza diventa freddo in un attimo. Mangio un po' di formaggio. Richiudo lo zaino. Mi alzo, riparto. In discesa.
Ho il morale a terra. Mi ripeto le solite cose già dette in situazioni analoghe: "la montagna è lì, ci ritorno presto". Ma le altre volte era diverso: era il maltempo, o il pericolo, o le condizioni della neve a farmi decidere di tornare indietro, seppur con il magone. Stavolta no, era fattibile, ma io non ce la facevo.

Tornato allo stazzo, bevo, mangio qualcos'altro e scendo stavolta per il sent. H2. Almeno farò un percorso diverso.
Entro infatti in una porzione di bosco bellissima.
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All'uscita del quale, su di un colle, vedo passare un branco di una quarantina di cervi.
Purtroppo è già dai primi passi in discesa che il piede sinistro mi duole sempre più. Dopo poco è difficile non zoppicare. E mancano 900 m. di dislivello.
Il resto della discesa, nonostante la bellezza dei luoghi, è caratterizzato da fitte ad ogni passo. Ed i passi da fare fino alla macchina sono davvero tanti. L'altimetro impietoso mi ricorda quanto siano pochi i metri di quota persi dall'ultima volta che l'ho guardato.
Non so se vi sia mai capitato: un dolore forte, per molto tempo, altera un po' la percezione delle cose. Mi ritrovo anche a pensare che mi verrebbe da piangere per quanto è forte il dolore, ma non posso farlo perché sarebbe disdicevole: cosa penserebbe di me il capo branco dei cervi che sono sotto di me?
Rido di me, dei pensieri stupidi che faccio e dello stato penoso in cui cammino.
Arrivo alla macchina svuotato, abbattuto. Vinto. Mi dico che non andrò più in montagna. Basta. Ci penso per tutto il viaggio di ritorno.

Ero da solo. Ora lo scrivo qui, forse per raccontarlo a qualcuno. O forse per raccontarlo a me stesso di nuovo.

E mi torna la voglia di salire. Di sudare, soffrire. Per arrivare in cima. Perché?
Perché si.

Grazie per la pazienza.
Ciao
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Ultima modifica:
Bellissimo racconto, molto coinvolgente.

Soffermarmi a commentare i vari aspetti che hai raccontato non avrebbe particolare importanza perché ognuno di noi vive e gestisce le situazioni in maniera differente, però le situazioni sono spesso analoghe ed è molto interessante leggere le differenti o identiche reazioni.

Ho convissuto anche recentemente con problemi fisici che condizionano e devo dire che non è facile accettarlo, ma non l'ho recepita come una sconfitta. Però posso comprendere la tua reazione. Credo comunque che siano esperienze che comportano una grande crescita interiore sia in relazione alle attività all'aperto che facciamo sia in generale nel nostro rapporto con noi stessi.

Grazie davvero per aver condiviso.

Piuttosto mi incuriosiscono molto le difficoltà che hai trovato con i ramponi, forse perché non vedevi (causa neve) dove poggiavi i piedi? Perché io recentemente li ho usati un po' su tutto (terra però ghiacciata, falasca, pietre) e devo dire che senza probabilmente avrei fatto fatica a salire ma soprattutto non sarei rimasto dritto durante la discesa.
 
Bellissimo racconto, molto coinvolgente.

Soffermarmi a commentare i vari aspetti che hai raccontato non avrebbe particolare importanza perché ognuno di noi vive e gestisce le situazioni in maniera differente, però le situazioni sono spesso analoghe ed è molto interessante leggere le differenti o identiche reazioni.

Ho convissuto anche recentemente con problemi fisici che condizionano e devo dire che non è facile accettarlo, ma non l'ho recepita come una sconfitta. Però posso comprendere la tua reazione. Credo comunque che siano esperienze che comportano una grande crescita interiore sia in relazione alle attività all'aperto che facciamo sia in generale nel nostro rapporto con noi stessi.

Grazie davvero per aver condiviso.

Piuttosto mi incuriosiscono molto le difficoltà che hai trovato con i ramponi, forse perché non vedevi (causa neve) dove poggiavi i piedi? Perché io recentemente li ho usati un po' su tutto (terra però ghiacciata, falasca, pietre) e devo dire che senza probabilmente avrei fatto fatica a salire ma soprattutto non sarei rimasto dritto durante la discesa.
Ciao Ciccio74 grazie dei commenti.
Hai ragione, si impara tantissimo da questo tipo di esperienze. Tra l'altro, anche il dolore stesso può essere un mezzo (scomodo e spiacevole) per conoscersi ed esplorarsi.
Riguardo ai ramponi (ho letto, usati su prati gelati) è come immagini, il sottile strato copriva il pendio erboso e pieno di pietre e spesso poggiavo mezzo rampone proprio su una pietra, con conseguente squilibrio. E poi la presa non migliorava.
Grazie mille per la visita, i commenti e "l'empatia".
 
Penso di comprendere appieno la tua delusione e la tua insoddisfazione nel non aver raggiunto la cima di Rocca Chiarano.
Anche per me il concetto di vetta è molto importante: una mia escursione deve culminare con almeno una cima da conquistare, non so se per futile vanagloria o per puntare a qualcosa di elevato da cui osservare tutto il resto.
E' vero: questo concetto non deve essere travisato ed abusato e, cosa da non trascurare, il vero obiettivo di un'uscita in montagna non è la vetta ma resta sempre quello di ritornare a casa tutti interi.
Gli elementi esterni spesso inducono a rinunciare; il freddo, la pericolosità, le intemperie, le condizioni avverse ... spesso hanno fatto desistere anche me, seppur con qualche velo di amarezza ho sempre accettato quella che si è rivelata la decisione più saggia.
Ma stavolta le condizioni fisiche, unite alla fretta e all'ansia di rischiare di far tardi, hanno rappresentato per Te un ostacolo troppo grande.
Tutto ciò mi ricorda una serie di mie escursioni fatte in un periodo in cui, nonostante la mia tendinopatia achillea mi facesse zoppicare, volevo comunque andar per monti. Il risultato fu un appagamento dei miei desideri di camminare, unito ad un autocompiacimento della mia tenacia, ma tutto ciò ha comportato anche un acuirsi ed un protrarsi della mia patologia.
Quindi qual è la cosa giusta da fare? Restare sul divano ad attendere che i malanni fisici passino o provarci comunque, mettendo in conto di dover rinunciare o anche di peggiorare le cose?
Ognuna ha la sua risposta e lungi da me nel dare insegnamenti in questa materia.
Posso solo dirti che hai agito per il meglio, hai fatto lucidamente le tue valutazioni sui tempi e sulle tue sensazioni fisiche, hai saputo ascoltare il tuo corpo e hai deciso, capendo che non era la vetta l'obiettivo della tua uscita.
E hai anche saputo metabolizzare la tua delusione, riuscendo a scrivere una recensione carica di sentimento e di passione.
PS1: non conoscevo questo versante per raggiungere la Rocca Chiarano, gran bello scenario verso Sud ritratto dalle prime due foto.
PS2: spero che tu possa risolvere presto questi tuoi problemi fisici.
 
Ciao Ciccio74 grazie dei commenti.
Hai ragione, si impara tantissimo da questo tipo di esperienze. Tra l'altro, anche il dolore stesso può essere un mezzo (scomodo e spiacevole) per conoscersi ed esplorarsi.
Riguardo ai ramponi (ho letto, usati su prati gelati) è come immagini, il sottile strato copriva il pendio erboso e pieno di pietre e spesso poggiavo mezzo rampone proprio su una pietra, con conseguente squilibrio. E poi la presa non migliorava.
Grazie mille per la visita, i commenti e "l'empatia".

Figurati, grazie a te.

Credo che il dolore/limitazione del movimento ti abbia condizionato molto anche sull'utilizzo e resa del rampone.

Utilizzandolo sul terreno che ti dicevo (a volte il prato copriva qualche roccia) è capitato anche a me un paio di volte di mettere le lame su qualche sasso non visto, ma sono riuscito a "tenere" ed evitare di prendere una eventuale distorsione, beneficiando solo della presa su terreno ghiacciato, rocce glassate ecc che diversamente non avrei avuto, soprattutto in discesa come ti dicevo.

Comunque appena rientro in regione faccio un mezzo resoconto della mia passeggiata nella tormenta.

Grazie ancora
 
Penso di comprendere appieno la tua delusione e la tua insoddisfazione nel non aver raggiunto la cima di Rocca Chiarano.
Anche per me il concetto di vetta è molto importante: una mia escursione deve culminare con almeno una cima da conquistare, non so se per futile vanagloria o per puntare a qualcosa di elevato da cui osservare tutto il resto.
E' vero: questo concetto non deve essere travisato ed abusato e, cosa da non trascurare, il vero obiettivo di un'uscita in montagna non è la vetta ma resta sempre quello di ritornare a casa tutti interi.
Gli elementi esterni spesso inducono a rinunciare; il freddo, la pericolosità, le intemperie, le condizioni avverse ... spesso hanno fatto desistere anche me, seppur con qualche velo di amarezza ho sempre accettato quella che si è rivelata la decisione più saggia.
Ma stavolta le condizioni fisiche, unite alla fretta e all'ansia di rischiare di far tardi, hanno rappresentato per Te un ostacolo troppo grande.
Tutto ciò mi ricorda una serie di mie escursioni fatte in un periodo in cui, nonostante la mia tendinopatia achillea mi facesse zoppicare, volevo comunque andar per monti. Il risultato fu un appagamento dei miei desideri di camminare, unito ad un autocompiacimento della mia tenacia, ma tutto ciò ha comportato anche un acuirsi ed un protrarsi della mia patologia.
Quindi qual è la cosa giusta da fare? Restare sul divano ad attendere che i malanni fisici passino o provarci comunque, mettendo in conto di dover rinunciare o anche di peggiorare le cose?
Ognuna ha la sua risposta e lungi da me nel dare insegnamenti in questa materia.
Posso solo dirti che hai agito per il meglio, hai fatto lucidamente le tue valutazioni sui tempi e sulle tue sensazioni fisiche, hai saputo ascoltare il tuo corpo e hai deciso, capendo che non era la vetta l'obiettivo della tua uscita.
E hai anche saputo metabolizzare la tua delusione, riuscendo a scrivere una recensione carica di sentimento e di passione.
PS1: non conoscevo questo versante per raggiungere la Rocca Chiarano, gran bello scenario verso Sud ritratto dalle prime due foto.
PS2: spero che tu possa risolvere presto questi tuoi problemi fisici.
Hai compreso perfettamente. Ti ringrazio molto.
 
ciao Luca, ti faccio i complimenti per esserti spinto più in là di quanto avresti potuto fare in quelle condizioni. Siamo in pieno inverno da qualche giorno, oltre alle giornate corte sta facendo freddo e vi è un vento gelido abbastanza forte, capace di buttare giù un escursionista in piena forma fisica, figuriamoci se hai un acciacco o un dolore.
Come @Ulysses anche io sono attratto dalla vetta a (quasi) tutti i costi, ma non sono poche le volte in cui mi sono fermato a 150 o a 30 metri dalla vetta per condizioni ambientali e meteo che rendevano impossibile proseguire. Lì per lì lo vedi come un insuccesso, ma poi con il senno di poi capisci che è stato già un grande successo esserci stato ed averci provato.
Auguri di pronta guarigione, sperando che un giorno i nostri impegni ci permettano di organizzare un'uscita insieme
 
ciao Luca, ti faccio i complimenti per esserti spinto più in là di quanto avresti potuto fare in quelle condizioni. Siamo in pieno inverno da qualche giorno, oltre alle giornate corte sta facendo freddo e vi è un vento gelido abbastanza forte, capace di buttare giù un escursionista in piena forma fisica, figuriamoci se hai un acciacco o un dolore.
Come @Ulysses anche io sono attratto dalla vetta a (quasi) tutti i costi, ma non sono poche le volte in cui mi sono fermato a 150 o a 30 metri dalla vetta per condizioni ambientali e meteo che rendevano impossibile proseguire. Lì per lì lo vedi come un insuccesso, ma poi con il senno di poi capisci che è stato già un grande successo esserci stato ed averci provato.
Auguri di pronta guarigione, sperando che un giorno i nostri impegni ci permettano di organizzare un'uscita insieme
Grazie Alex, per le parole e gli auguri. Devo dire che è già da ieri che il pensiero di tornare in montagna è diventato sempre più insistente. Purtroppo per impegni familiari e lavorativi si prospetta un lungo periodo lontano dai monti, forse anche tre mesi :(:(
Né potrò approfittare di questa pausa per risolvere il problema perché probabilmente va risolto chirurgicamente. Sto valutando di aggiungere peso allo zaino portando un altro paio di pedule per uscite invernali, in modo da calzare le hoka (che sembrano effettivamente ridurre il problema) e cambiarle con le altre quando serve mettere i ramponi (le hoka non sono ramponabili). È un palliativo e non so quanto funzioni (considerando che io corro con delle brooks glycerin che ammortizzano molto e soffro comunqie). Purtroppo anche se mi riuscisse di trovare il modo per fare un'escursione, la nostra uscita insieme dovrà essere rimandata, mi spiacerebbe troppo essere di peso. Ora più che mai è meglio che ii cammini da solo, come sempre del resto.
Un caro saluto.
 
Data: 4 gennaio 2017
Regione e provincia: Abruzzo - AQ
Località di partenza: Villetta Barrea
Località di arrivo: idem
Chilometri: quindici circa
Dislivello positivo 1360 m.
Quota max: 2080 m (meno di 100 m. sotto la cima di Rocca Chiarano).
Descrizione delle difficoltà: freddo, vento molto forte, neve fresca (10cm).
Segnaletica: buona (segnavia biancorossi de PNALM). Dov'è assente o scarsa, gli ometti di pietra aiutano.

Descrizione
Non scrivo per parlare dell'escursione in sé, che pure descriverò brevemente, ma per condividere, dopo averla metabolizzata, una sonora lezione impartitami dalla montagna. No, per fortuna non si tratta di emergenze, errori o storie di sopravvivenza. Nessun bivacco in parete nella tempesta né salvataggi miracolosi. Si tratta di quello che ho dovuto imparare dopo aver dovuto fare marcia indietro a 100 m. dalla cima. Può sembrare una descrizione esageratamente teatrale "a 100 m. dalla cima", sembra più adatta a chi è ad un passo dalla vetta di un 8000. Invece tutto si svolge sul banalissimo pendio a sud di Rocca Chiarano.
Il punto è che a volte non è tanto quello che abbiamo intorno ma quello che ci succede dentro a tracciare dei segni che possono essere molto più profondi di quanto ci si aspetterebbe, a prescindere dalla quota, dalla pendenza.
Prima di cercare di spiegarmi, due premesse. La prima: per esigenze lavorative e familiari ho un orario di ritorno a casa abbastanza fisso. Partendo da questo, individuo l'orario massimo entro il quale devo tornare indietro, devo scendere, insomma. Quell'orario tiene anche conto di un piccolo cuscinetto di mezz'ora circa, per evenienze varie (qualche foto, un caffè un po' più lungo ecc.).
La seconda premessa: numerosi problemi fisici, tra i quali ultimamente emerge una forte metatarsalgia, mi hanno portato ad acquistare delle pedule con intersuola molto morbida, che sembrano aver mitigato un po' il problema. Purtroppo queste non sono ramponabili e, sperando di trovare un po' di neve ghiacciata (finalmente),porto ramponi e picca ma devo ovviamente optare per delle pedule "classiche".

Veniamo a noi...

L'escursione è nota probabilmente a molti. Si parte da Villetta Barrea (parcheggio poco oltre il cimitero) e si segue il sent. H1 che, dopo aver costeggiato per qualche centinaio di metri il torrente, si inerpica prima lungo pendii brulli e poi si immerge nel bosco. Qui il terreno è umido e gelato e le rocce e le radici sono scivolosissime.
Questa porzione di sentiero è ripida, ma uscendo dal bosco si apprezzano bellissimi panorami sul Monte Sterpidalto, la Camosciara e tutte le catene più lontane.
Vedi l'allegato 144179

Vedi l'allegato 144183
Entrando ed uscendo dal bosco più volte, la temperatura cambia sensibilmente: allo scoperto il sole riesce a scaldare, ma all'ombra del bosco il gelo si fa sentire.

Abbandonato il bosco, si risale un pendio che porta infine ad un grande pianoro con uno stazzo in una bella conca. Qui la neve comincia ad essere un problema. Sono circa 10 cm, caduti il giorno prima, probabilmente gelati nella notte ma ora fusi al sole. Ne risulta uno strato scivolosissimo che si compatta sotto il piede non per creare portanza bensì per accentuare la scivolosità del terreno.
Vedi l'allegato 144180

Purtroppo è già da un po' che la metatarsalgia al piede sinistro comincia a farsi sentire. È un campanello d'allarme perché solitamente si presenta in discesa, quasi mai in salita.
Il dolore si somma al terreno reso pesante dalla neve così stranamente farinosa, quasi come fosse caduta da qualche minuto e non da ieri. Ogni passo che faccio affonda prima di una decina di cm e, al momento di spingere per avanzare, scivola penosamente rallentandomi ed aumentando la fatica.

Proseguo comunque aggirando sulla sinistra lo stazzo per cominciare a risalire gli ultimi pendii che mi porteranno sulla spalla di Rocca Chiarano. Il pianoro e le prime pendici sono rotti da una serie di piccoli saliscendi e muraglie che proteggono abbastanza dal vento. Guardando la cima, però, si vedono grandi mulinelli di neve strappata alla montagna dalle poderose raffiche delle quali, per ora, sento solo il rumore.

È appena superata la quota di una prima piccola cresta che la raffica mi schiaffeggia. È incredibile come la relativa calma dello stazzo si trasformi in un vento che ti permette a fatica di star dritto. Sono a circa 1850 m. di quota, circa 300 m sotto la cima. Mi rendo conto di essere troppo lento, si sta facendo tardi. Mi si affaccia alla mente la possibilità di non arrivare in cima. Accelero più che posso, i muscoli cominciano a dolere per quel continuo scivolare. Provo a mettere i ramponi, sperando di guadagnare un pò di presa. Niente. Le punte penetrano facilmente la poca neve e trovano il pendio sassoso. Se è possibile, è ancora più faticoso stare in piedi perché le punte di metallo sulle pietre mi provocano continui squilibri e piegano le caviglie. Tolgo nervosamente i ramponi, con le mani rosse ed il sudore che mi si gela addosso per il vento.

A 2080 m. di quota guardo l'orologio: sono oltre il tempo limite. Ho consumato anche i 30' di "riserva". Capisco che la cima è andata. La vedo vicinissima. Potrei chiamare casa ed avvisare che arriverò un'ora più tardi. Niente di grave, solo qualche disagio facilmente superabile. Ma mi dico che sarebbe come barare. Non ce l'ho fatta. Punto. Avrei potuto farcela, non si trattava di un'impresa atletica. Eppure non ce l'ho fatta.

Mi inginocchio dietro un masso per cambiarmi e bere un po' di caffè del thermos, che nella tazza diventa freddo in un attimo. Mangio un po' di formaggio. Richiudo lo zaino. Mi alzo, riparto. In discesa.
Ho il morale a terra. Mi ripeto le solite cose già dette in situazioni analoghe: "la montagna è lì, ci ritorno presto". Ma le altre volte era diverso: era il maltempo, o il pericolo, o le condizioni della neve a farmi decidere di tornare indietro, seppur con il magone. Stavolta no, era fattibile, ma io non ce la facevo.

Tornato allo stazzo, bevo, mangio qualcos'altro e scendo stavolta per il sent. H2. Almeno farò un percorso diverso.
Entro infatti in una porzione di bosco bellissima.
Vedi l'allegato 144184
All'uscita del quale, su di un colle, vedo passare un branco di una quarantina di cervi.
Purtroppo è già dai primi passi in discesa che il piede sinistro mi duole sempre più. Dopo poco è difficile non zoppicare. E mancano 900 m. di dislivello.
Il resto della discesa, nonostante la bellezza dei luoghi, è caratterizzato da fitte ad ogni passo. Ed i passi da fare fino alla macchina sono davvero tanti. L'altimetro impietoso mi ricorda quanto siano pochi i metri di quota persi dall'ultima volta che l'ho guardato.
Non so se vi sia mai capitato: un dolore forte, per molto tempo, altera un po' la percezione delle cose. Mi ritrovo anche a pensare che mi verrebbe da piangere per quanto è forte il dolore, ma non posso farlo perché sarebbe disdicevole: cosa penserebbe di me il capo branco dei cervi che sono sotto di me?
Rido di me, dei pensieri stupidi che faccio e dello stato penoso in cui cammino.
Arrivo alla macchina svuotato, abbattuto. Vinto. Mi dico che non andrò più in montagna. Basta. Ci penso per tutto il viaggio di ritorno.

Ero da solo. Ora lo scrivo qui, forse per raccontarlo a qualcuno. O forse per raccontarlo a me stesso di nuovo.

E mi torna la voglia di salire. Di sudare, soffrire. Per arrivare in cima. Perché?
Perché si.

Grazie per la pazienza.
Ciao
Vedi l'allegato 144185
Quando siamo soli è importante saper leggere e dare ascolto ai messaggi del nostro corpo e di quello che avviene intorno.Ieri sul Pollino si sono mossi due gruppi e io da solo ma nessuno ha raggiunto le vette.Temperature tra i 1700 m. e i 1900 m da -20 a -15 e il Blizzard che soffiava da nord che sembrava l'inferno.Io ho tentato da sud (zona catena Pollinello Dolcedorme) in solitaria una via normale ed è andato tutto ok fino al Varco che immetteva sul versante nord a 100 m. di dislivello dalla cima e visto che il vento era terribile,la visibilità zero e le temperature quelle che ho detto e in più neve morbida e farinosa ho fatto dietro front.Ti confesso che un pò ci sono rimasto male e sono stato una mezz'ora a pensare ma la decisione è stata saggia,credimi.Un piccolo incidente con quelle condizioni e buonanotte.Non sono sicuro che prendesse neanche il cellulare.La lezione è che devi capire e cercare per la prossima volta come attenuare/risolvere il problema al piede e cercare qualche soluzione.Quindi la "sconfitta" come la inmtendi tu è servita eccome!!
Un salutone eddai che alla prossima andrà bene.
 
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