Ci sono cose, o meglio esperienze che, nostro malgrado, ci dividono e ci rendono intrinsecamente diversi.
Sono quelle esperienze per le qual, suol dirsi, "chi non le ha vissute non può capire".
Ci dividono come un muro verticale, come grandi dolori o grandi disgrazie individuali; o come un muro orizzontale, esperienze collettive simili a un diaframma che divide una serie di intere generazioni "pre" da tutte quelle "post".
Tali sono state la guerra; la fame; le dittature..
che hanno irrimediabilmente diviso la vera e propria conformazione dei ricordi dei nostri genitori/nonni da quella nostra.
E così è - mi riaffiora adesso a mano a mano che affluiscono immagini e notizie dal Giappone - quella forma di "paura dell'invisibile" che si visse in tutt'Europa all'indomani di Chernobyl.
Tra circa un mese saranno 25 anni da allora. Un'intera generazione odierna non era neppure nata; un'altra era troppo piccola per capire e percepire.
In poche parole, chi oggi ha meno di 35 anni (quindi una bella fetta di società) non ha avuto anagraficamente la possibilità - per sua fortuna - di vivere quell'esperienza.
I suoi tratti terribili si scorgono nel constatare che - a quanto si legge - perfino in un popolo abituato a convivere sia coi terremoti sia col nucleare, si sta sul sottile crinale che divide l'apprensione dal panico.
E che riesce a precedere, avere il sopravvento, quasi soppiantare - negli animi - i pur devastanti effetti di un cataclisma che svela di ora in ora le sue dimensioni (da mille morti siamo già passati a diecimila !).
Difficile descrivere una paura che giunge all'improvviso, che ha qualcosa di ancestrale e che sovverte e sconvolge del tutto categorie mentali "naturali" a cui eravamo abitutati dalla nascita.
Per chi (come me che avevo 17 anni) l'ha vissuta, difficile dimenticare quel senso di "claustrofobia a rovescio" che improvvisamente ti artiglia l'anima e ti porta a vedere nello spazio un nemico: tanto più nemico quanto più aperto, tanto più nemico quanto più alto, tanto più nemico quanto più libero.
C'era ancora la cortina di ferro, la glasnost (trasparenza) era di là da venire, il muro di Berlino era ancora lì, le notizie filtravano quindi col contagocce e le prime - infatti - arrivarono solo quando una nube malefica fu registrata sopra le teste degli scandinavi. Dì lì in poi, per quelle nubi iniziò una sorta di viaggio del terrore.
Difficile dimenticare le previsioni meteo trasformate da ausilio pianificatorio del week-end in un bollettino di guerra, dove i "venti" non erano più oggetto d'interesse per velisti ma per tutti.
Difficile dimenticare il modo in cui si scrutava il cielo, in cerca di qualcosa che comunque non si sarebba mai potuto vedere.
Difficile dimenticare la sensazione di un nemico subdolo, potenzialmente in grado di inseguirti ovunque, nello spazio e nel tempo, al quale non avresti mai potuto chiudere la porta dietro, non archiviabile, non confinabile nel "passato" prossimo e tantomeno remoto, e oltre nessun muro.
Difficile dimenticare i prati smeraldo percepiti come tappeti velenosi, le verdure vietare, il latte pure, i porcini diventati velenosi come tutti gli altri, gli scaffali presi d'assalto e svuotati.
Difficile dimenticare la visione delle cime montuose, lassù, a bucare le nuvole ma proprio per questo percepite come spilli conficcati nell'inferno della morte, lì a intercettare fisicamente i veleni invisibili trasportati da quelle nuvole.
Difficile dimenticare quell'anelito alle vette, all'altitudine, al cielo, trasformato all'improvviso nel desiderio del "basso", della caverna, delle mura, del rifugio.
Un mondo capovolto, che appunto chi non ha vissuto (neppure di striscio) difficilmente può capire.
Riguardando in una drammatica riproposizione quelle paure ataviche, che evidentemente sono scritte nel nostro genoma perchè identiche per i bianchi e per gli occhi a mandorla, vedendo riaffiorare quei ricordi e leggendo le precipitose dichiarazioni di certi nostri politici della serie "non cambiamo idea";
ripensando allo strano tempismo di una campagna riproposta dopo un tempo sufficiente a rimpiazzare almeno un paio di generazioni con un altro paio "senza memoria"...
sento un fastidio, un fastidio che a decidere per me possa essere anche chi certe cose non le ha vissute.
In certe cose il peso delle opinioni NON può essere eguale.
Lo dico da individuo razionale, che tra l'altro il caso ha voluto andasse poi a lavorare nella "tana dell'orco". Ma proprio per questo lo dico anche in piena coscienza.
In quei giorni, un manipolo di individui mai abbastanza ricordati tra l'altro sacrificò consapevolmente le proprie vite per seppellire il reattore fuso sotto un sarcofago di cemento, a mani nude, senza protezioni. Salvarono un intero continente da una tragedia per la quale molti dei giovani odierni non sarebbero forse neppure mai nati.
Sono quelle esperienze per le qual, suol dirsi, "chi non le ha vissute non può capire".
Ci dividono come un muro verticale, come grandi dolori o grandi disgrazie individuali; o come un muro orizzontale, esperienze collettive simili a un diaframma che divide una serie di intere generazioni "pre" da tutte quelle "post".
Tali sono state la guerra; la fame; le dittature..
che hanno irrimediabilmente diviso la vera e propria conformazione dei ricordi dei nostri genitori/nonni da quella nostra.
E così è - mi riaffiora adesso a mano a mano che affluiscono immagini e notizie dal Giappone - quella forma di "paura dell'invisibile" che si visse in tutt'Europa all'indomani di Chernobyl.
Tra circa un mese saranno 25 anni da allora. Un'intera generazione odierna non era neppure nata; un'altra era troppo piccola per capire e percepire.
In poche parole, chi oggi ha meno di 35 anni (quindi una bella fetta di società) non ha avuto anagraficamente la possibilità - per sua fortuna - di vivere quell'esperienza.
I suoi tratti terribili si scorgono nel constatare che - a quanto si legge - perfino in un popolo abituato a convivere sia coi terremoti sia col nucleare, si sta sul sottile crinale che divide l'apprensione dal panico.
E che riesce a precedere, avere il sopravvento, quasi soppiantare - negli animi - i pur devastanti effetti di un cataclisma che svela di ora in ora le sue dimensioni (da mille morti siamo già passati a diecimila !).
Difficile descrivere una paura che giunge all'improvviso, che ha qualcosa di ancestrale e che sovverte e sconvolge del tutto categorie mentali "naturali" a cui eravamo abitutati dalla nascita.
Per chi (come me che avevo 17 anni) l'ha vissuta, difficile dimenticare quel senso di "claustrofobia a rovescio" che improvvisamente ti artiglia l'anima e ti porta a vedere nello spazio un nemico: tanto più nemico quanto più aperto, tanto più nemico quanto più alto, tanto più nemico quanto più libero.
C'era ancora la cortina di ferro, la glasnost (trasparenza) era di là da venire, il muro di Berlino era ancora lì, le notizie filtravano quindi col contagocce e le prime - infatti - arrivarono solo quando una nube malefica fu registrata sopra le teste degli scandinavi. Dì lì in poi, per quelle nubi iniziò una sorta di viaggio del terrore.
Difficile dimenticare le previsioni meteo trasformate da ausilio pianificatorio del week-end in un bollettino di guerra, dove i "venti" non erano più oggetto d'interesse per velisti ma per tutti.
Difficile dimenticare il modo in cui si scrutava il cielo, in cerca di qualcosa che comunque non si sarebba mai potuto vedere.
Difficile dimenticare la sensazione di un nemico subdolo, potenzialmente in grado di inseguirti ovunque, nello spazio e nel tempo, al quale non avresti mai potuto chiudere la porta dietro, non archiviabile, non confinabile nel "passato" prossimo e tantomeno remoto, e oltre nessun muro.
Difficile dimenticare i prati smeraldo percepiti come tappeti velenosi, le verdure vietare, il latte pure, i porcini diventati velenosi come tutti gli altri, gli scaffali presi d'assalto e svuotati.
Difficile dimenticare la visione delle cime montuose, lassù, a bucare le nuvole ma proprio per questo percepite come spilli conficcati nell'inferno della morte, lì a intercettare fisicamente i veleni invisibili trasportati da quelle nuvole.
Difficile dimenticare quell'anelito alle vette, all'altitudine, al cielo, trasformato all'improvviso nel desiderio del "basso", della caverna, delle mura, del rifugio.
Un mondo capovolto, che appunto chi non ha vissuto (neppure di striscio) difficilmente può capire.
Riguardando in una drammatica riproposizione quelle paure ataviche, che evidentemente sono scritte nel nostro genoma perchè identiche per i bianchi e per gli occhi a mandorla, vedendo riaffiorare quei ricordi e leggendo le precipitose dichiarazioni di certi nostri politici della serie "non cambiamo idea";
ripensando allo strano tempismo di una campagna riproposta dopo un tempo sufficiente a rimpiazzare almeno un paio di generazioni con un altro paio "senza memoria"...
sento un fastidio, un fastidio che a decidere per me possa essere anche chi certe cose non le ha vissute.
In certe cose il peso delle opinioni NON può essere eguale.
Lo dico da individuo razionale, che tra l'altro il caso ha voluto andasse poi a lavorare nella "tana dell'orco". Ma proprio per questo lo dico anche in piena coscienza.
In quei giorni, un manipolo di individui mai abbastanza ricordati tra l'altro sacrificò consapevolmente le proprie vite per seppellire il reattore fuso sotto un sarcofago di cemento, a mani nude, senza protezioni. Salvarono un intero continente da una tragedia per la quale molti dei giovani odierni non sarebbero forse neppure mai nati.