Dati
Data: agosto 2018
Regione e provincia: Islanda
Località di partenza: Landmannalaugar
Località di arrivo: Skogar
Tempo di percorrenza: 3/5 giorni
Chilometri: 60+25 circa
Grado di difficoltà: E
Descrizione delle difficoltà: clima, guadi, possibilità di nebbia in alcuni punti del percorso
Periodo consigliato: luglio-inizio settembre
Segnaletica: ottima
Dislivello in salita: circa 1900 m per le 4 tappe del Laugavegur e altri 1.000 per il Fimmvörðuháls
Dislivello in discesa: circa 2.200 per il Laugavegur e 1.000 per il Fimmvörðuháls
Quota massima: Hrafntinnusker (poco meno di 1.100)
Accesso stradale: bus 4x4 da Rejkyavik
Descrizione
L'idea di fare un viaggio in Islanda ci stuzzicava da qualche anno, soprattutto dopo aver visto decine di foto e video di vari trekking ed in particolare del più famoso e gettonato Laugavegur.
A febbraio riusciamo a definire le date delle ferie e comincio ad organizzare. Come avevo sentito dire da più parti, trovare disponibilità nei rifugi per tutte le tappe è praticamente impossibile anche muovendosi con mesi e mesi di anticipo.
I posti vengono tutti prenotati dalle varie agenzie che li "sbloccano" solamente quando chiudono le iscrizioni ai vari tour organizzati: ci si può mettere in lista d'attesa con buone chance di trovare posto, ma che succede se all'ultimo anche una sola delle tappe resta scoperta?
Alla quinto scambio di mail (bisogna andare per tentativi, un "trovatemi 4 giorni di fila con 2 posti liberi nei rifugi" non è contemplato) mi stufo e decido che il trekking si farà in tenda. C'è solo il problema che mentre abbiamo una buona esperienza di montagna, abbiamo quasi zero esperienza di campeggio e ancor meno di campeggio itinerante, per di più in un clima non proprio tenero.
Seguono mesi di grande studio e grandi acquisti, con qualche rara prova sul campo. Purtroppo la mia compagna lavora tutti i sabati e non c'è modo di organizzare escursioni di più giorni.
Il Laugavegur, come molti sapranno, prevede ufficialmente 4 tappe relativamente poco impegnative. Alcuni lo completano in tre giorni, altri in due, quelli che vincono l'ultramaratona che viene organizzata ogni anno ci mettono 5 ore.
Noi abbiamo in programma di unire le prime due tappe, in maniera tale da evitare il campeggio nel punto più elevato ed inospitale di tutto il tracciato dove di solito, fino a stagione estiva ben inoltrata, si finisce per piantare la tenda sulla neve. Per "coccolarci" un po' dopo la doppia tappa decidiamo di concederci il lusso di fare una singola notte in rifugio.
Una discreta parte della settimana che precede la partenza la passo a guardare il meteo, terrorizzato da video di tende brutalizzate dal vento islandese...
Ovviamente è tutto ok fino a 48 ore prima della partenza, quando improvvisamente le previsioni virano verso il pessimo, proprio nel giorno in cui dovremmo fare la tappa più lunga.
La mattina dell'11 agosto, dopo uno scalo notturno a Londra, siamo a Reykjavik. Depositiamo i bagagli e andiamo in cerca del gas per il fornelletto, che troviamo (con l'attacco giusto) solo al quarto tentativo. Facciamo giusto in tempo a comprare le ultime provviste ed è ora di partire.
Il viaggio dura circa 4 ore, di cui buona parte su una pista sterrata che attraversa fiumi e campi lavici. Il clima è quello di una nostra giornata di metà novembre, non particolarmente entusiasmante.
Intorno alle 5.30 del pomeriggio arriviamo a Landmannalaugar. Piove e il campeggio è un mezzo pantano, con le tende concentrate nelle zone meno umide (ma più sassose).
Mi rendo conto che non c'è modo di piantare i picchetti nel terreno senza rischiare di romperli, per cui decido di ancorare i tiranti ai bastoncini da trekking, seppellendoli sotto una buona dose di massi.
Facciamo un salto alle pozze termali ma il meteo non ci invoglia proprio a denudarci.
Per fortuna esiste una tenda comune per i pasti dove riusciamo a ritagliarci un angolino per preparare la cena.
Mentre mangiamo vedo sul telefono che è stato diramato un allarme per il giorno dopo: sono previsti venti oltre 80/90 km/h e il trekking viene consigliato solamente ad escursionisti esperti e ben equipaggiati.
Chiediamo informazioni a uno dei gestori del rifugio/campeggio che, senza mostrarsi troppo interessato, ci dice che sarebbe stato "ok for hikning". La cosa mi lascia un po' perplesso. Rinviamo ogni decisione al giorno dopo.
Andiamo a letto molto presto e con la paura di svegliarci nel cuore della notte con la tenda sconquassata dal vento. In realtà non arriverà assolutamente nulla, se non un bel poì di pioggia.
Ci alziamo di buon mattino e smontiamo la tenda fradicia e infangata. Sotto la tenda comune non siamo i soli ad avere dubbi sul da farsi e vediamo diversi gruppi che decidono di rinviare la partenza.
La prospettiva di passare una intera giornata bloccati lì, le pessime previsioni per la notte successiva e la prenotazione per il rifugio ci fanno decidere di partire comunque. Non ci resta che infilarci pantaloni e gusci impermeabili e caricare gli zaini in spalla.
Pensavamo di essere clamorosamente in ritardo, ma in realtà siamo tra i primi a partire: le ore di luce sono tantissime e la gente se la prende più che comoda.
Attacco del sentiero
La prima metà della giornata, che poi sarebbe la prima tappa, prevede un dislivello di poco meno di 500 metri con uno sviluppo di 12 km.
A parte qualche rampetta di neve/fango si sale dolcemente in mezzo a formazioni vulcaniche e montagne di riolite.
Per i primo 40 minuti il tempo regge, ma più si sale più la pioggia e il vento si fanno intensi. Ho tentato di fare qualche foto togliendo le moffole impermeabili, con il risultato che dopo due minuti i guanti erano fradici e le dita congelate. Per questo motivo ho pochissime foto della prima giornata, quasi tutte scattate nella prima mezz'ora. Un gran peccato perchè è veramente qualcosa di unico...
Lungo il cammino incontriamo solo una coppia di ragazzi un po' in affanno ed un gruppo che sta scendendo in direzione opposta, che ci avvisa che in cima c'è parecchia nebbia, cosa abbastanza abituale.
Raggiunti i 1000 metri di quota, infatti, c'è da attraversare una sorta di plateau, costellato da nevai. I paletti che segnano il tracciato sono montati in cima a delle montagnette di massi in maniera tale che emergano dalla neve.
La nebbia è fitta, ma è spazzata continuamente da un vento feroce che lascia giusto il tempo di individuare il paletto successivo. Alla fine il gps resta in tasca.
Lo scenario è questo, con un po' più di neve e un po' più di nebbia (la foto non è mia)
In meno di 4 ore arriviamo al rifugio di Hrafntinnusker, dietro al quale tentiamo di ripararci un po' dal vento mentre mangiamo una barretta. Ormai piove in orizzontale e le raffiche di vento sono tremende.
Incrociamo la ragazza (inglese) che si occupa del rifugio (ovviamente tutto prenotato) che ci rincuora (si fa per dire) dicendo che dall'inizio dell'estate non fa più di 3 o 4 giorni senza una tempesta. Praticamente la stagione non è mai iniziata (che culo)...
C'è ancora qualche tenda montata che si regge in piedi solo perchè ben protetta all'interno di trincee fatte con muretti di sassi. Siamo ben contenti di non doverci fermare qui...
Ripartiamo per quelli che dovrebbero essere alcuni km di saliscendi prima di una ripida discesa. In realtà è stata la parte più dura in assoluto: abbiamo avuto e pioggia vento direttamente in faccia per tutta la tratta, con continue raffiche che erano talmente forti da sbilanciarmi (un fuscello di 100 kg per due metri).
Mi accorgo che la mia compagna comincia un po' a subire psicologicamente la situazione: il suo pregio è che in questi casi, anzichè fermarsi e mandarmi (giustamente) a cagare, tende ad ammutolirsi e ad accelerare il passo...
Finalmente risaliamo l'ultimo maledetto dosso. Il cielo si schiarisce un attimo e ci lascia vedere qualcosa della valle sottostante
In una giornata di sole deve essere qualcosa di spettacolare.
La discesa è abbastanza ripida e porta al primo dei temutissimi guadi (è il fiume che si vede nella foto).
C'è un gruppo che viene dalla direzione opposta e sta tentando di attraversare il fiume saltando di pietra in pietra. Dopo aver visto uno cadere in acqua decidiamo che è meglio guadare come si deve.
Togliamo gli scarponi e attraversiamo l'acqua gelida. Già dal primo guado ci rendiamo conto che, in realtà, il problema non sono i piedi, che dopo pochi minuti negli scarponi ancora caldi riacquistano subito la loro temperatura.
Il problema vero è scoprire le mani per fare tutte le operazioni necessarie. Bastano pochi secondi allo scoperto perchè acqua e vento le trasformino in blocchi di ghiaccio.
Superato il primo guado il percorso si fa pianeggiante e per lunghi tratti coincide con una delle tante piste per 4x4 che attraversano le highlands islandesi.
Attraversiamo un secondo fiume e intorno alle 3.30 arriviamo nei pressi del lago di Alftavatn, dove è situato il rifugio omonimo.
Non dormiremo qui (tutto prenotato), ma a Hvangil, a circa 4 km di distanza. La breve distanza fra i due rifugi fa si che Hvangil abbia quasi sempre posti liberi.
Ad Alftavatn ci sarebbe la possibilità di ripararsi in un minuscolo bar/ristorante. L'idea non mi dispiacerebbe ma la mia compagna preferisce tirare dritto: manca solo un'oretta di cammino e, incredibilmente, ha anche smesso di piovere (durerà poco).
Ci lasciamo Alftavatn alle spalle...
Per arrivare a Hvangill ci sono da attraversare diversi corsi d'acqua, ma la maggior parte non richiedono grandi sforzi
Poco prima delle cinque arriviamo in vista del rifugio. La voglia di rintanarsi all'asciutto è così tanta che non mi fermo nemmeno a fare una foto.
Quando entriamo il rifugio è deserto: ci sono solo una signora francese che viaggia con un gruppo organizzato (tutti in tenda tranne lei) e un americano che di lì a poco si metterà a dormire (ed andrà avanti fino alla mattina dopo, incredibile...).
Sistemiamo la roba fradicia nell'anticamera ed entriamo nel rifugio. Ci sarebbe la possibilità di fare una doccia, ma la baracca si trova a 50 metri dall'ingresso e il solo pensiero di dover uscire di nuovo (la tempesta ha ripreso a infuriare) scoraggia qualunque velleità.
Prepariamo con molta calma la cena e ci riposiamo un po'. Nel frattempo il rifugio comincia a riempirsi sempre di più: tutti quelli che pensavano di campeggiare ad Alftavatn (molto più esposto al vento) sono stati dirottati qui e buona parte di questi ha deciso di non montare nemmeno la tenda e pagare per dormire al caldo.
Nel giro di qualche ora il rifugio sarà al completo.
Non c'è molto da fare, perciò alle nove siamo già a letto. Durante la notte verremo svegliati più volte dal vento che fa tremare i vetri e la mattina saremo entrambi d'accordo sul fatto che i soldi spesi per la notte in rifugio siano stati i soldi meglio spesi della nostra vita.
(continuerò in un altro post)
Data: agosto 2018
Regione e provincia: Islanda
Località di partenza: Landmannalaugar
Località di arrivo: Skogar
Tempo di percorrenza: 3/5 giorni
Chilometri: 60+25 circa
Grado di difficoltà: E
Descrizione delle difficoltà: clima, guadi, possibilità di nebbia in alcuni punti del percorso
Periodo consigliato: luglio-inizio settembre
Segnaletica: ottima
Dislivello in salita: circa 1900 m per le 4 tappe del Laugavegur e altri 1.000 per il Fimmvörðuháls
Dislivello in discesa: circa 2.200 per il Laugavegur e 1.000 per il Fimmvörðuháls
Quota massima: Hrafntinnusker (poco meno di 1.100)
Accesso stradale: bus 4x4 da Rejkyavik
Descrizione
L'idea di fare un viaggio in Islanda ci stuzzicava da qualche anno, soprattutto dopo aver visto decine di foto e video di vari trekking ed in particolare del più famoso e gettonato Laugavegur.
A febbraio riusciamo a definire le date delle ferie e comincio ad organizzare. Come avevo sentito dire da più parti, trovare disponibilità nei rifugi per tutte le tappe è praticamente impossibile anche muovendosi con mesi e mesi di anticipo.
I posti vengono tutti prenotati dalle varie agenzie che li "sbloccano" solamente quando chiudono le iscrizioni ai vari tour organizzati: ci si può mettere in lista d'attesa con buone chance di trovare posto, ma che succede se all'ultimo anche una sola delle tappe resta scoperta?
Alla quinto scambio di mail (bisogna andare per tentativi, un "trovatemi 4 giorni di fila con 2 posti liberi nei rifugi" non è contemplato) mi stufo e decido che il trekking si farà in tenda. C'è solo il problema che mentre abbiamo una buona esperienza di montagna, abbiamo quasi zero esperienza di campeggio e ancor meno di campeggio itinerante, per di più in un clima non proprio tenero.
Seguono mesi di grande studio e grandi acquisti, con qualche rara prova sul campo. Purtroppo la mia compagna lavora tutti i sabati e non c'è modo di organizzare escursioni di più giorni.
Il Laugavegur, come molti sapranno, prevede ufficialmente 4 tappe relativamente poco impegnative. Alcuni lo completano in tre giorni, altri in due, quelli che vincono l'ultramaratona che viene organizzata ogni anno ci mettono 5 ore.
Noi abbiamo in programma di unire le prime due tappe, in maniera tale da evitare il campeggio nel punto più elevato ed inospitale di tutto il tracciato dove di solito, fino a stagione estiva ben inoltrata, si finisce per piantare la tenda sulla neve. Per "coccolarci" un po' dopo la doppia tappa decidiamo di concederci il lusso di fare una singola notte in rifugio.
Una discreta parte della settimana che precede la partenza la passo a guardare il meteo, terrorizzato da video di tende brutalizzate dal vento islandese...
Ovviamente è tutto ok fino a 48 ore prima della partenza, quando improvvisamente le previsioni virano verso il pessimo, proprio nel giorno in cui dovremmo fare la tappa più lunga.
La mattina dell'11 agosto, dopo uno scalo notturno a Londra, siamo a Reykjavik. Depositiamo i bagagli e andiamo in cerca del gas per il fornelletto, che troviamo (con l'attacco giusto) solo al quarto tentativo. Facciamo giusto in tempo a comprare le ultime provviste ed è ora di partire.
Il viaggio dura circa 4 ore, di cui buona parte su una pista sterrata che attraversa fiumi e campi lavici. Il clima è quello di una nostra giornata di metà novembre, non particolarmente entusiasmante.
Intorno alle 5.30 del pomeriggio arriviamo a Landmannalaugar. Piove e il campeggio è un mezzo pantano, con le tende concentrate nelle zone meno umide (ma più sassose).
Mi rendo conto che non c'è modo di piantare i picchetti nel terreno senza rischiare di romperli, per cui decido di ancorare i tiranti ai bastoncini da trekking, seppellendoli sotto una buona dose di massi.
Facciamo un salto alle pozze termali ma il meteo non ci invoglia proprio a denudarci.
Per fortuna esiste una tenda comune per i pasti dove riusciamo a ritagliarci un angolino per preparare la cena.
Mentre mangiamo vedo sul telefono che è stato diramato un allarme per il giorno dopo: sono previsti venti oltre 80/90 km/h e il trekking viene consigliato solamente ad escursionisti esperti e ben equipaggiati.
Chiediamo informazioni a uno dei gestori del rifugio/campeggio che, senza mostrarsi troppo interessato, ci dice che sarebbe stato "ok for hikning". La cosa mi lascia un po' perplesso. Rinviamo ogni decisione al giorno dopo.
Andiamo a letto molto presto e con la paura di svegliarci nel cuore della notte con la tenda sconquassata dal vento. In realtà non arriverà assolutamente nulla, se non un bel poì di pioggia.
Ci alziamo di buon mattino e smontiamo la tenda fradicia e infangata. Sotto la tenda comune non siamo i soli ad avere dubbi sul da farsi e vediamo diversi gruppi che decidono di rinviare la partenza.
La prospettiva di passare una intera giornata bloccati lì, le pessime previsioni per la notte successiva e la prenotazione per il rifugio ci fanno decidere di partire comunque. Non ci resta che infilarci pantaloni e gusci impermeabili e caricare gli zaini in spalla.
Pensavamo di essere clamorosamente in ritardo, ma in realtà siamo tra i primi a partire: le ore di luce sono tantissime e la gente se la prende più che comoda.
Attacco del sentiero
La prima metà della giornata, che poi sarebbe la prima tappa, prevede un dislivello di poco meno di 500 metri con uno sviluppo di 12 km.
A parte qualche rampetta di neve/fango si sale dolcemente in mezzo a formazioni vulcaniche e montagne di riolite.
Per i primo 40 minuti il tempo regge, ma più si sale più la pioggia e il vento si fanno intensi. Ho tentato di fare qualche foto togliendo le moffole impermeabili, con il risultato che dopo due minuti i guanti erano fradici e le dita congelate. Per questo motivo ho pochissime foto della prima giornata, quasi tutte scattate nella prima mezz'ora. Un gran peccato perchè è veramente qualcosa di unico...
Lungo il cammino incontriamo solo una coppia di ragazzi un po' in affanno ed un gruppo che sta scendendo in direzione opposta, che ci avvisa che in cima c'è parecchia nebbia, cosa abbastanza abituale.
Raggiunti i 1000 metri di quota, infatti, c'è da attraversare una sorta di plateau, costellato da nevai. I paletti che segnano il tracciato sono montati in cima a delle montagnette di massi in maniera tale che emergano dalla neve.
La nebbia è fitta, ma è spazzata continuamente da un vento feroce che lascia giusto il tempo di individuare il paletto successivo. Alla fine il gps resta in tasca.
Lo scenario è questo, con un po' più di neve e un po' più di nebbia (la foto non è mia)
In meno di 4 ore arriviamo al rifugio di Hrafntinnusker, dietro al quale tentiamo di ripararci un po' dal vento mentre mangiamo una barretta. Ormai piove in orizzontale e le raffiche di vento sono tremende.
Incrociamo la ragazza (inglese) che si occupa del rifugio (ovviamente tutto prenotato) che ci rincuora (si fa per dire) dicendo che dall'inizio dell'estate non fa più di 3 o 4 giorni senza una tempesta. Praticamente la stagione non è mai iniziata (che culo)...
C'è ancora qualche tenda montata che si regge in piedi solo perchè ben protetta all'interno di trincee fatte con muretti di sassi. Siamo ben contenti di non doverci fermare qui...
Ripartiamo per quelli che dovrebbero essere alcuni km di saliscendi prima di una ripida discesa. In realtà è stata la parte più dura in assoluto: abbiamo avuto e pioggia vento direttamente in faccia per tutta la tratta, con continue raffiche che erano talmente forti da sbilanciarmi (un fuscello di 100 kg per due metri).
Mi accorgo che la mia compagna comincia un po' a subire psicologicamente la situazione: il suo pregio è che in questi casi, anzichè fermarsi e mandarmi (giustamente) a cagare, tende ad ammutolirsi e ad accelerare il passo...
Finalmente risaliamo l'ultimo maledetto dosso. Il cielo si schiarisce un attimo e ci lascia vedere qualcosa della valle sottostante
In una giornata di sole deve essere qualcosa di spettacolare.
La discesa è abbastanza ripida e porta al primo dei temutissimi guadi (è il fiume che si vede nella foto).
C'è un gruppo che viene dalla direzione opposta e sta tentando di attraversare il fiume saltando di pietra in pietra. Dopo aver visto uno cadere in acqua decidiamo che è meglio guadare come si deve.
Togliamo gli scarponi e attraversiamo l'acqua gelida. Già dal primo guado ci rendiamo conto che, in realtà, il problema non sono i piedi, che dopo pochi minuti negli scarponi ancora caldi riacquistano subito la loro temperatura.
Il problema vero è scoprire le mani per fare tutte le operazioni necessarie. Bastano pochi secondi allo scoperto perchè acqua e vento le trasformino in blocchi di ghiaccio.
Superato il primo guado il percorso si fa pianeggiante e per lunghi tratti coincide con una delle tante piste per 4x4 che attraversano le highlands islandesi.
Attraversiamo un secondo fiume e intorno alle 3.30 arriviamo nei pressi del lago di Alftavatn, dove è situato il rifugio omonimo.
Non dormiremo qui (tutto prenotato), ma a Hvangil, a circa 4 km di distanza. La breve distanza fra i due rifugi fa si che Hvangil abbia quasi sempre posti liberi.
Ad Alftavatn ci sarebbe la possibilità di ripararsi in un minuscolo bar/ristorante. L'idea non mi dispiacerebbe ma la mia compagna preferisce tirare dritto: manca solo un'oretta di cammino e, incredibilmente, ha anche smesso di piovere (durerà poco).
Ci lasciamo Alftavatn alle spalle...
Per arrivare a Hvangill ci sono da attraversare diversi corsi d'acqua, ma la maggior parte non richiedono grandi sforzi
Poco prima delle cinque arriviamo in vista del rifugio. La voglia di rintanarsi all'asciutto è così tanta che non mi fermo nemmeno a fare una foto.
Quando entriamo il rifugio è deserto: ci sono solo una signora francese che viaggia con un gruppo organizzato (tutti in tenda tranne lei) e un americano che di lì a poco si metterà a dormire (ed andrà avanti fino alla mattina dopo, incredibile...).
Sistemiamo la roba fradicia nell'anticamera ed entriamo nel rifugio. Ci sarebbe la possibilità di fare una doccia, ma la baracca si trova a 50 metri dall'ingresso e il solo pensiero di dover uscire di nuovo (la tempesta ha ripreso a infuriare) scoraggia qualunque velleità.
Prepariamo con molta calma la cena e ci riposiamo un po'. Nel frattempo il rifugio comincia a riempirsi sempre di più: tutti quelli che pensavano di campeggiare ad Alftavatn (molto più esposto al vento) sono stati dirottati qui e buona parte di questi ha deciso di non montare nemmeno la tenda e pagare per dormire al caldo.
Nel giro di qualche ora il rifugio sarà al completo.
Non c'è molto da fare, perciò alle nove siamo già a letto. Durante la notte verremo svegliati più volte dal vento che fa tremare i vetri e la mattina saremo entrambi d'accordo sul fatto che i soldi spesi per la notte in rifugio siano stati i soldi meglio spesi della nostra vita.
(continuerò in un altro post)