Parchi della Campania
  1. Parco Regionale Monti Picentini
Data: 14 agosto 2021
Regione e provincia: Campania,Salerno
Località di partenza: Laviano
Località di arrivo: idem
Tempo di percorrenza: 5 ore ca l'anello
Grado di difficoltà: Canyoning adatto a persone allenate. Condizione imprescindibile è saper nuotare
Descrizione delle difficoltàCanyon con particolare acquaticità, percorre una profonda e strettissima gola, con tuffi, toboga e brevi calate. L’ambiente estremamente inforrato, può essere percorso da soggetti che abbiano ottima confidenza con l’acqua (è indispensabile saper nuotare) e assenza di timori o fobie di tipo claustrofobico. L’uscita è particolarmente impegnativa, poiché si sviluppa attraverso un canalone di scolo laterale al canyon, con un impegno di circa 30 minuti e pendenza di 40° su terreno friabile e scivoloso.
Periodo consigliato:Estate
Segnaletica: Percorso obbligato
Dislivello in discesa: 160 m
Quota massima: 505 m quota ingresso (non considero il belvedere sul ponte tibetano all'uscita del canalone di scolo)
Accesso stradale: Autostrada A2 del Mediterraneo uscita Contursi Terme SS691 fino a svincolare per Calabritto.SP 381 fino a Laviano

Descrizione

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Dopo l’incredibile “Attraversata delle otto cime sui monti del Pollino”, in questo rovente 14 agosto mi reco in Campania nel piccolo borgo di Laviano per una uscita torrentistica. Completamente raso al suolo nel terrificante sisma del 1980, ora è un accogliente centro di 1385 abitanti, si trova in provincia di Salerno e sorge sul massiccio calcareo dei monti Eremita e Marzano nell’alta valle del Sele nei monti Picentini. Pare che le sue origini siano antichissime e risalgano ai Sabini. Ritrovamenti archeologici testimoniano la presenza di popolazioni sannitiche dal V sec a.C.

Il borgo è arricchito dalla presenza del Castello che domina la rupe dell’Olivella. Si tratta di una fortificazione di origine svevo normanna realizzata dal X sec su preesistenti insediamenti difensivi lungo l’alta Valle del Sele. Nei pressi del Castello vi è anche un modernissimo ponte tibetano che collega i due costoni rocciosi lungo ben 100 m e sospeso a 80 dal fondo della forra che andremo a discendere.

Sono le “Conche di Laviano”, note anche come la “Laguna blu della Valle del Sele”. È un canyon spettacolare, ludico e scenografico, ricco di salti, tuffi e toboga che percorre una profonda e strettissima gola dall’ambiente estremamente inforrato e dalla morfologia molto simile al “mio” Raganello. In alcuni punti le pareti sono distanti non più di due metri e la luce del sole stenta a filtrare in profondità.

Proprio la somiglianza con il canyon del Raganello mi ha invogliato a visitarlo e discenderlo. Raggiungo la piazzetta del paese di primo mattino e nell’attesa che arrivino i compagni faccio un salto a vedere i ruderi del castello dall'esterno e il ponte tibetano che si può attraversare a pagamento per qualche euro. Spiccano purtroppo i casermoni costruiti dopo il sisma, e molti di essi paiono disabitati e in stato di abbandono.

Mi raggiungono Gabriele e Agata, conosciuti un anno fa a San Fele e con loro altri sette prodi torrentisti. Scendiamo con le nostre auto sotto la piazza “invadendo” un campo coperto da erba alta per completare la vestizione. Dopo cinque minuti di avvicinamento siamo già all’ingresso della gola.

Il primo tratto è asciutto e purtroppo vi è presenza di rifiuti gettati dall’ alto; scena già vista in altre forre che vengono considerate dai soliti e immancabili incivili solo come immondezzai, ma per fortuna dura poco. Dopo un primo salto incontriamo un caratteristico ponte con i resti affioranti di un'antica strada lastricata romana sull'alveo, di cui ci si serviva nei periodi di secca. Più avanti giace anche una massiccia grata di ferro caduta o gettata dal castello che sorge in alto sopra di noi.

Finalmente inizia il percorso in acqua e dopo un breve tratto il torrente si inforra. Sulla parete prima di un salto è affissa una targa metallica datata 7 luglio 2012 sulla quale sono incisi i nomi dei primi esploratori. Pare che i temerari pionieri fossero in sette se non di più i quali si avventurarono servendosi aimé di scale, canotto e addirittura caschi da moto. Roba da altri tempi.

Il salto viene affrontato con un plastico tuffo in una bellissima pozza nuotabile. Dopo pochi metri ne incontriamo un secondo simile. I tuffi, che all’apparenza paiono semplici, non devono essere corti e vanno eseguiti secondo lo sviluppo dell’ansa, pena il rischio di andare sbattere in parete. La pozza, davvero incantevole è cristallina e di un verde smeraldo, profonda ben cinque metri.

Ora si cammina fra pareti rosso biancastre stratificate, levigate e disegnate dal torrente fino ad una pozza nella quale nuota placidamente una “Natrix natrix” o Natrice dal collare, un colubre assolutamente innocuo. La specie, come tutti i rettili è protetto dalla convenzione di Ginevra. Farle del male o ucciderle farebbe incorrere in sanzioni penali.
Dopo altri brevi salti immersi in un ambiente assolutamente lussureggiante, ne incontriamo uno di sette, otto metri da affrontare con una calata di corda. Il torrente alterna spesso tratti aperti a stretti inforramenti.

Raggiungiamo subito dopo il punto attraversato dal ponte tibetano che scorgiamo seminascosto dai rami degli alberi lassù a 80 metri di altezza. Questo probabilmente è il tratto più suggestivo dell’intero percorso. Superiamo infatti una oscura forra di un calcare grigiastro, talmente angusto che in alto vi è una fessura strettissima che lascia intravedere appena l’azzurro del cielo. Segue un divertente toboga dove alcuni si lasciano scivolare assistiti dalla corda mentre altri si calano direttamente in una pozza cristallina anch’essa di colore verde smeraldo. Davvero spettacolari il colore e la limpidezza di questo torrente.

A seguire ci insinuiamo in una forra strettissima con una larga e arrotondata pozza dalle pareti levigatissime. A questo punto qualcuno comincia a sentire freddo, soprattutto durante le pause nell’attesa che tutti si siano calati o tuffati, ma siamo quasi all’uscita. Dopo l’ennesimo toboga con poco scorrimento, talmente grippato da poterci camminare entriamo nell’ultima stretta forra prima che il canyon si riapra di nuovo. Qui’ termina il percorso torrentistico delle Conche.

L’uscita della forra si sviluppa lungo un canalone di scolo da risalire sul versante sinistro, invaso dalla vegetazione, ostico e impegnativo. Richiede lo sforzo di una buona mezz’ora con pendenze importanti e su terreno friabile e scivoloso, una brutta botta dopo esserci divertiti in acqua. Nella parte alta del canale durante la scalata compaiono dei cavi elettrici posti alla meno peggio chissà da chi grazie ai quali ci si può issare a forza di braccia e che risultano provvidenziali nel superare brevi tratti infidi e sdrucciolevoli. Ma ormai è fatta. Incrociamo finalmente il sentiero che ci riporterà in breve al paese. Ma prima, operando una breve digressione verso sinistra ci affacciamo su uno stretto pulpito panoramico dal quale si domina il ponte tibetano e il castello in primo piano e poi il paese, i monti e le valli circostanti. Tutto veramente magnifico.

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Alla faccia! Abito a 30 minuti scarsi e non ne sapevo nulla. Sul ponte ci sono pure passato:wall:
Grazie per il racconto e le foto.
Capita spesso a chi abita vicino.Probabilmente non è molto pubblicizzato e c'è anche da dire che il canyoning non è ancora un' attività di punta.Forse il prossimo anno le andrò a ripetere,sono troppo belle
 
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