premesso che NON sono medico
a mio parere usare il diamox per escursioni sulle ns alpi o al di sotto dei 5000 metri mi pare eccessivo e superfluo
può essere utile invece assumere efferalgan (paracetamolo, equivalente all'aspirina) insieme ad una buona idratazione arrivando al rifugio
anni fa mi ero tradotto un libretto (scritto da un medico americano)
vi faccio un taglia incolla del primo capitolo
Altitudine e mal di montagna C
(traduzione dall’omonimo testo)
capitolo 1 adattamento all’alta quota
Come tu guadagni quota, l’aria si fa più sottile, la pressione si abbassa e sempre meno ossigeno è disponibile nell’atmosfera. Immagina di viaggiare nella cabina pressurizzata di un aereo di linea ad una quota di 8.800 metri; se la cabina dovesse improvvisamente depressurizzarsi alla medesima pressione dell’aria a quella quota i passeggeri perderebbero immediatamente conoscenza e morirebbero nel giro di quattro minuti a meno di non avere una maschera ad ossigeno. Eppure l’Everest (m. 8848) è stato salito più volte senza ossigeno. Perché questa differenza?
Acclimatazione, un processo graduale durante il quale il corpo umano lentamente si abitua ad utilizzare aria con quantità d’ossigeno inferiori al solito, come si verifica in quota.
Possiamo definire una quota bassa al di sotto dei 2.100 metri, media fino a circa 3.700, estrema oltre i 5.500 metri; viene comunemente definita alta quota l’intervallo tra la media e l’estrema (3.700-5.500m).
adattamento del respiro
Il principale adattamento che si può notare in quota è sicuramente la necessità di respirare più spesso. Per esempio, nel bere da una bottiglia d’acqua si può sentire la necessità di fermarsi per prendere fiato, oppure di smettere di parlare per respirare. In genere si respira di più sia a riposo che durante un’attività fisica, ma ognuno noi con il proprio fisico risponde in maniera diversa alla scarsità d’ossigeno in quota. In genere i maggiori alpinisti d’alta quota di fama mondiale riescono ad incrementare il loro respiro più di quanto riesca a fare un ottimo maratoneta, probabilmente per il loro patrimonio genetico. Comunque la forza psicologica può compensare per differenza la capacità di respiro ad alta quota. Un eccellente esempio è dato da Peter Habeler e Reinhold Messner (i primi due uomini a salire l’Everest senza ossigeno); uno ha un’ottima risposta di respirazione in quota, l’altro no.
incremento delle pulsazioni
Non appena si sale di quota il ritmo del respiro aumenta ed aumentano anche le pulsazioni a riposo durante i primi giorni di permanenza in quota. Può essere utile misurare quotidianamente le pulsazioni, stando coricati, possibilmente la mattina appena svegli; come si diventa più acclimatati, si sentirà che le pulsazioni scendono e si sentirà meno martellamento nel proprio torace. Questo sta a significare che il proprio corpo sta rispondendo bene alla quota. Medicinali per la cura dell’angina o della pressione possono diminuire l’effetto della risposta.
risposta urinaria
La quota aumenta la diuresi nel corpo umano, ovvero in quota si urina maggiormente e ci si sbarazza di liquidi. La diuresi si verifica dormendo a quote superiori a 3.000 metri ed è stato studiato che si verifica attraverso dei recettori cardiaci. Quando la diuresi prende piede si renderà necessario alzarsi durante la notte per urinare una o due volte e si potrà perdere liquidi fino al 2% del peso corporeo. Se questo non si verifica stare attenti al mal di montagna; questo non significa che già si sta soffrendo di mal di montagna, ma che però si è più predisposti.
risposta del sangue
In quota il sangue si addensa, un processo che prende un mese e più per completarsi. In un primo tempo il sangue tende ad addensarsi a causa della diuresi e della conseguente perdita di liquidi, ma successivamente si fa più denso perché il corpo produce più globuli rossi per trasportare ossigeno. Il sangue degli sherpa, che vivono in quota, non è mai così denso come diventa quello delle persone normali. Il sangue denso può coagulare molto più facilmente e può causare problemi nel trasportare ossigeno dove è necessario. L’inattività (essere rinchiusi in una tenda a causa di una bufera per qualche giorno) può aumentare le possibilità di sviluppo di un embolo che può migrare. Per esempio, un embolo in una gamba può spostarsi ai polmoni con esiti anche mortali. Gli emboli vaganti possono costituire un problema molto più comune di quanto si pensasse in precedenza può spiegare i repentini aggravamenti a cui sono andate incontro persone salite in montagna. Trovandosi in una situazione di forzata inattività, può essere molto importante sforzarsi di fare esercizio fisico. Uscire il più possibile (compatibilmente con le condizioni atmosferiche).
Alcuni suggeriscono di prendere medicinali quali aspirina al fine di rendere il sangue meno denso e quindi meno soggetto al coagulo, ma non ci sono sufficienti studi di questo specifico effetto in quota.
Le opinioni su un utilizzo dell’aspirina in quota sono divise; può avere senso ad altitudini estreme (oltre i 5.500 metri) per coloro che vi stanno per un periodo relativamente lungo, ma la sua efficacia non è scientificamente provata. Può essere raccomandata per coloro che passano più di una settimana ad una quota superiore ai 4.500 metri, soprattutto se durante un periodo d’inattività. (una al giorno è sufficiente)
cambiamenti durante il sonno
La massima parte delle persone in quota fa l’esperienza di far fatica a prendere sonno. Il sonno poi può essere irregolare ed alcuni individui possono svegliarsi senza fiato. Questo può accadere a quote superiori ai 2.500 metri, ma è più comune altre i 4.500 metri. Nella tenda si può sentire il respiro del proprio compagno farsi più rapido e rumoroso, poi diminuire dopo un minuto o due fino a divenire pressoché impercettibile e poi riprendere di nuovo. Questo modello è chiamato respiro periodico. Qualche volta prima che il respiro riprenda di nuovo la persona può svegliarsi di soprassalto. Questo accade perché nella fase iniziale della respirazione rapida il corpo manda ossigeno al cervello ed il bisogno d’ossigeno diminuisce; appena prima di riprendere il ritmo quasi impercettibile il cervello, a corto di ossigeno, sveglia il corpo per respirare. Il respiro periodico spesso dà ansietà alle persone ed alcuni possono manifestare il desiderio di abbandonare. E’ normale, comunque, e diminuisce con l’acclimatazione. Pillole per dormire, sedativi o tranquillanti fanno accorciare il respiro con il risultato di far ossigenare meno i tessuti e quindi non creano certo una situazione ideale e pertanto è buona cosa non assumerne.
effetti nocivi dell’alta quota
Le persone non vivono permanentemente a quote superiori ai 5.000 metri e questo per buone ragioni: il corpo umano non vi si adatta bene. Più è lunga la permanenza oltre i 5.000 metri e maggiormente si avranno deterioramenti psicologici, mentali ed emozionali, ma sono però situazioni temporanee, senza pericolo di danni cerebrali.
periodo ottimale di acclimatazione
Non esiste nessuna regola uguale per ognuno di noi, l’acclimatazione varia per ogni persona e per ogni quota. Una regola molto prudenziale potrebbe essere d’incrementare l’altezza del luogo dove si dorme di 300 metri al giorno, al di sopra dei 3000 metri. Durante la salita può essere consigliabile fare una sosta ogni due-tre giorni, dormendo alla stessa quota del giorno precedente.
Per compiere una salita in stile alpino di un ottomila, tre settimane passate intorno ai 6000 metri potrebbero essere sufficienti, ma per qualcuno potrebbero essere poche e per qualcuno troppe. Per un trekking su vette di 6000 metri dai sette ai dieci giorni sembra un tempo ragionevole.
Seguire sempre la regola sali in alto, ma dormi in basso che significa salire durante il giorno fin dove si vuole (o si può) e tornare poi a dormire alla stessa quota o poco più della notte precedente.
Il punto in cui s’iniziano a sentire i sintomi della quota varia con la velocità di salita e con le proprie condizioni in quella giornata; alcune persone iniziano a sentire la quota dai 1800 metri, la maggior parte oltre i 3000, tutti oltre i 4600 metri.
Seri malesseri d’altitudine come HAPE
1 [.1] [.2] [.3] [.4] o HACE
2 [.5] possono manifestarsi anche da circa 3000 metri, ma sono più comuni a quote superiori. Può essere utile considerare che fino ai 5500 metri si può parlare di semplice malessere d’acclimatazione, oltre tale quota il malessere generato è sempre parte di altri processi che si manifestano alle estreme quote, dove la fisiologia può essere differente che a quote più modeste.
C’è da tenere presente comunque che risulta molto difficile per la medicina studiare le reazioni individuali oltre i 5500 metri, in quanto le conoscenze sono per la maggior parte basate su resoconti e non di prima mano.
1 HAPE edema polmonare da alta quota, vedi successiva descrizione in apposito paragrafo
2 HACE edema cerebrale da alta quota, vedi successiva descrizione con apposito paragrafo
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[.4] [.4]
[.5] HAPE high altitude pulmonary edema ovvero edema polmonare da alta quota
HACE high altitude cerebral edema ovvero edema cerebrale da alta quota
spero possa essere utile a qualcuno