Monte Formaggio, Mazzarino (Caltanissetta) 29 agosto 2020 (Percorso in sintesi: km 11,500 andata e ritorno, tempo percorrenza 2h35' escluse le soste) Da qualche tempo sentivo parlare di monte Formaggio. Essendo i familiari della mia compagna originari di Mazzarino, piccolo comune adagiato sulle colline del centro Sicilia, in provincia di Caltanissetta, di tanto in tanto ne ho sentito parlare ai miei cognati, nei loro ricordi di infanzia quando andavano nei boschi circostanti a far le loro scorribande. Ma avevo abbandonato le montagne, ascoltavo sempre i loro racconti e ricordi con piacere e sorridendo delle loro giovanili avventure. Nessuno dei miei parenti acquisiti, però, aveva mai osato salire sopra “a Muntagna”, come viene da sempre chiamato monte Formaggio dai mazzarinesi; infatti quella montagna, dalla forma cosi singolare e strana a forma di perfetto cono, aveva la fama di esser assai ripida, scoscesa e tanto pericolosa per la sua natura del terreno e rocce di natura argillosa, assai friabile e cedevole, tanto che pareva doversi sgretolare sotto il suo stesso peso da un momento all’altro. Per ciò, sia i miei cognati che un po' tutti gli abitanti di Mazzarino e paesi limitrofi si guardavano bene dal salir in cima o anche solo qualche metro sui suoi fianchi. I temerari che osavano salire sopra a muntagna erano davvero pochi e quando tornavano giù in paese venivano osannati come una sorta di guerriero temerario che tornava vittorioso da una truce battaglia. Ma io, adesso che ho ripreso gradualmente ad andare su per i monti, ho voluto provare di persona se tanta storia e fama di questo monte fosse corrispondente al vero oppure solo leggenda. Sono stato attratto, sopratutto, dalla forma davvero cosi inusuale di questa cima. A guardarla dal basso, quando si è ancora distanti, ha le perfette sembianze di un cono gelato rovesciato. Ho cercato, nei giorni scorsi, notizie sul monte, prima tra tutte l’origine del nome, cosi strano e fantasioso: è stato cosi battezzato sia per la sua forma che da un suo versante ricorda quella di una grossa fetta di formaggio tagliato in verticale e, sopratutto, perché la sua natura geologica pare esser pari a quella friabile e frantumata del parmigiano reggiano: lo tocchi e vien via a scaglie facilmente. Poi, cercando notizie anche su possibili itinerari per salirci su, mi ero imbattuto in alcune foto di un ragazzo mazzarinese che, salendo in cima, con le sue immagini mi aveva fatto capire che occorreva esser dotati davvero di una certa dose di temerarietà e spericolatezza; alcune foto infatti evidenziavano che i versanti da scalare erano assai ripidi, in alcuni punti anche parecchio esposti, sopratutto la crestina di roccia arenaria friabilissima proprio sotto la cima. E io, quando annuso aria di “temerarietà”, mi sento sempre a mio agio e in me scatta quella scintilla che in testa mi dice: “vacci anche tu, guarda, come è bello rischioso...” ! E sono andato, in una giornata di agosto 2020, poco dopo l’alba. Parto da casa di mia suocera, a Caltanissetta, intorno le 6,30 del mattino e poco dopo le 7,00 giungo dentro il paesello di Mazzarino! Non ho idea della strada da seguire per avvicinarmi al monte, chiedo a un benzinaio ancora più assonnato di me e mi spiega di tornare indietro, uscire dal paese, imboccare la provinciale per Gela e poco oltre una “trazzera” con le indicazioni dell’agriturismo “case canalotto” ! Poi, si ferma a riflettere e mi dice: “ma perché vuoi andare “na muntagna”? Alla mia risposta di voler salire in cima, sgrana gli occhi ed esclama: “ma si fuoddi cumpà? A Muntagna è pericolosa, poi cu stu cavuru suttu u picu du suli? E si sulu? Nuddru t’accumpagna? Ma si fuoddi forti tu, mà scusari si ti lu dicu...” Rido, saluto e vado via, in cerca delle indicazioni di quel agriturismo. Le trovo facilmente, infilo la trazzera e dopo qualche chilometro oltrepasso l’ingresso della struttura ricettiva e decido di lasciare la mia macchina due curve dopo, in uno spiazzo, al riparo dal passaggio di trattori e macchinari agricoli (quello di Mazzarino è un territorio basato sopratutto sull’agricoltura e sulla pastorizia, portata avanti sovente ancora con tecniche di un tempo, senza troppe sofisticazioni). Carico il piccolo zaino sulle spalle, accendo il mio gps e mi avvio. Sono le 7,25. La giornata è bella, con cielo terso e già in pieno sole, ancora non caldo. Inizio a scendere e perdo rapidamente quota seguendo ancora la stessa trazzera dove ho lasciato la macchina, fin qui in asfalto assai grezzo e con numerose buche. Arrivo a bordeggiare il letto di un torrente nascosto da una lunghissima fila di tamerici, a tratti sento scorrere l’acqua. Mi fa strano che in centro Sicilia, in pieno Agosto, ci sia anche qualche torrente non del tutto secco. Supero due ponti in cemento e dal secondo ponte, proprio a fianco di una grande area piena di arnie di apicoltura, la strada comincia a salire assai rapidamente. Seguendo e superando numerose curve, sempre in costante salita, arrivo a un avamposto di guardia del servizio 115 antincendio del corpo forestale. Due uomini seduti sulle panche, all’ombra del pergolato in legno, vestiti con le loro tute arancio acceso mi salutano e approfitto per chiedere loro se conoscono il sentiero che porta su in cima a monte Formaggio. Anche essi sgranano un po' gli occhi, e si inizia a parlare: dico di me, loro mi raccontano qualcosa del loro lavoro e lamentano che da trentanni ancora la regione non li ha stabilizzati (forse credevano che fossi un “pezzo da novanta” della forestale o dell’Assessorato Regionale all’Ambiente e Foreste in ispezione camuffata da escursione e speravano in una loro promozione diretta e immediata sul posto?!) Infine mi suggeriscono una possibile direzione da dove poi cominciare a salire sul monte, ma nessuno dei due sa dirmi qualcosa di preciso sull’esistenza di un sentiero vero e proprio. Saluto, auguro buon lavoro e vado oltre. Il mio gps segna, a quel punto, 4,300 km di percorrenza! Ed effettivamente le mie gambe lo confermano: pur essendo stata sempre in costante salita la strada seguita fin ad ora, dal ponte in cemento in poi, non sono affatto né stanco né accaldato, in virtù dei pochi km fatti da che ho lasciato la macchina. L’ambiente naturale attraversato fin qui è stato tutto di un rimboschimento ad Eucalipti, l’unica essenza diversa che ho trovato sono state quelle tamerici che bordavano il corso del torrente. Ma ora il bosco qui finisce e lascia spazio alla brughiera mediterranea vera e propria, dove predominano la presenza di cisto e di palma nana. Salgo, puntando dritto e diretto verso il monte, che ora mi sovrasta in tutta la sua stranissima bellezza. Ce l’ho proprio vicino adesso, parrebbe quasi andarci a sbattere il muso contro. Noto i suoi fianchi ricoperti di vegetazione, palme nane ma ora sopratutto da ampelodesma (non ricordavo il nome di questa pianta, l’ho cercato ora su Wikipedia), colei che mi ha permesso di aggrapparmi con le mani mentre salivo sul ripido fianco del monte e di non cadere sotto, dato che ad ogni passo il terreno sotto di me cedeva e si sgretolava in polvere giallastra, argillosa. Di sentieri veri o anche solo di tracce sottili che salgono non v’è neppure l’ombra. Seguo una lunga linea tagliafuoco della forestale, almeno per un tratto avrò il cammino sgombro dalla bassa e pungente vegetazione, e tento di circumnavigare la montagna stessa nella speranza che gli altri versanti siano meno impervi e meno ripidi. Ma ben presto desisto da questo mio proposito: il sole, che inizia a scaldare e ad alzarsi, dopo un certo punto illumina in pieno gli altri fianchi, cosi che decido di abbandonare l’idea di trovare un sentiero e di prendere di petto la salita sfruttando l’ombra che ancora insiste sul versante sopra me, essendo il sole nascosto ancora oltre il filo di cresta. Se devo patire la fatica di una salita cosi diretta e cosi ripida, preferisco farlo almeno in ombra, anziché aggiungervi anche il disagio del sole sulla testa. Salgo, comincio a sbuffare, salgo ancora, sbuffo ancora di più, il cuore inizia a prendere ritmi serrati, il sangue pompa forte e riempie ogni vena del mio corpo con forza. Avevo visto che la salita era ripida, ma non immaginavo cosi. Mi fermo più volte, a un tratto ho necessità impellente di bere, sfilo lo zaino dalle spalle e tiro fuori la borraccia. Un brivido mi sale quando penso se questa salita l’avrei fatta sotto al sole! Almeno c’è ombra qui. Mi sento fortunato. Riprendo a salire e man mano prendo quota il pendio si impenna sempre più, tanto che devo quasi totalmente affidarmi ai fili di ampelodesma che sfrutto come appigli per le mani e per non ruzzolare indietro in un capitombolo che non so dove si arresterebbe, essendo i miei piedi sempre poggiati su un terreno assai franoso e polveroso, misto tra sabbia di arenaria e argilla. Mi viene da domandarmi davvero come fa questo monte a non crollare sotto il suo stesso peso, essendo cosi poco solida la struttura della sua geologia. Avanzo ancora, e d’un tratto la mia figura umana si staglia contro il cielo! Non sono ancora in cima, ma il pendio ripido e scivoloso è ormai tutto sotto di me. Sono stanco, ma contento della conquista fatta a colpi di sudore e di fiato ansimante. Mollo lo zaino, mi siedo, bevo ancora, guardo il gps, osservo il panorama davanti a me e noto che il paese di Mazzarino mi sta proprio di fronte, parecchio distante in linea d’aria. Il cuore intanto riprende battiti più tranquilli, il sangue defluisce più lentamente dentro le vene e le arterie, questa sosta sotto la cima ci voleva per tirare fiato e capire come procedere per giungere in cima. Salgo su una roccia friabile (tanto per cambiare) e scorgo subito al di là di essa una traccia di sentiero che, serpeggiando leggermente, punta dritto verso la vetta. Scendo da quella roccia e inizio a salire lungo quella traccia, facendo parecchia attenzione perché ora qui il cammino è alquanto esposto: alla mia sinistra, salendo, il ripido fianco del monte, quello in pieno sole (sono salito dal versante opposto), alla mia destra invece c’è un salto verticale di roccia arenaria di almeno 100 metri se non più; è la parete verticale che si nota dal basso giungendo e salendo dall’avamposto del servizio antincendio. Questo piccolo sentiero pare passare sospeso in aria! É bellissimo percorrerlo! Un po' di timore c’è, essendo la terra sotto gli scarponi sempre parecchio friabile e avverto la netta sensazione che i piedi possano slittarmi improvvisamente da un momento all’altro e qui non c’è adesso proprio nulla a cui aggrapparsi in caso di caduta o scivolata, neppure più un filo della amica e preziosa ampelodesma. Ma proseguo, la vetta è ormai li, a pochissimi metri. Improvvisamente alzo lo sguardo e mi trovo davanti una croce di legno, vecchia, che sta in piedi conficcata nel terreno non so per quale miracolo ancora! É la croce di vetta. Sono in cima a Monte Formaggio. Sono felice di questa piccola impresa temeraria, fatta in solitudine. Nulla di veramente cosi difficile, ma un certo rischio per salire qui comunque è innegabile, dati parecchi passaggi esposti e la natura argillosa e franosa del terreno sotto le scarpe. Mi siedo, bevo ancora, faccio fotografie a raffica a tutto il panorama che ora si apre sotto di me a 360° e anche un paio di video. Sono emozionato da questa veduta, poterla godere in totale solitudine e da un palcoscenico cosi particolare e prezioso. Non fa neppure tanto caldo qui in cima, pur essendo le 9,40 (orario del mio arrivo in cima) e in pieno agosto e sotto un pieno sole. Quassù l’aria è ventilata, tira una leggera e piacevolissima brezza assai fresca. Torno a sedermi, tiro fuori dallo zaino il mio quaderno (diario di viaggio) e annoto qualche veloce sensazione; d’un tratto vengo colto da un sopra balzo, uno spavento improvviso. Mentre scrivevo le mie note sul foglio di carta, sento un fruscio vicinissimo a me, giro gli occhi e una grossa lucertola grigia è praticamente quasi sulla mia gamba! Non ho affatto paura dei rettili, ma non mi aspettavo una tale visita cosi improvvisa e la vista della serpe ha tirato fuori il mio istinto di salvaguardia, facendomi sobbalzare prima ancora di rendermi conto che era una innocua e simpaticissima, per certi versi anche ingenua, lucertola di montagna. E al mio sobbalzare, anche la piccola creatura strisciante si spaventa e fugge via lesta lesta, nascondendosi nel mezzo di un cespuglio di cisto. Mi verrebbe quasi di chiederle scusa per averla fatta spaventare cosi, ma ormai è sparita. Poi le mia mente viene presa da una certa inquietudine: il pensiero mi va alla discesa e al timore di dover affrontare lo stesso percorso della salita, cosi ripida e sdrucciolevole, ma stavolta in discesa! E si sa, in montagna spesso la discesa è più impegnativa della salita. Richiudo lo zaino, do un ultimo sguardo a tanta bellezza del panorama e mi avvio nella discesa, speranzoso di trovare magari stavolta una qualche traccia di sentiero più agevole, scegliendo di scendere dall’altro versante del monte, quello che avevo evitato in salita perché in pieno sole. E l’idea mi premia! E quasi mi do dello stupido, anzi me lo dico! Infatti, una volta ripercorso in discesa quel breve tratto di sentiero sospeso tra cielo e terra, anziché scendere dritto da dove sono salito svolto sulla mia destra (faccia a valle) per tentare di tagliare in diagonale, scendendo, l’altro versante e ben presto scovo una chiara, evidente e anche comoda traccia di sentiero! Mi rendo conto che è quella la vera via di salita, che monte Formaggio infine ha solo la fama di esser una montagna difficile e pericolosa, ma in realtà offre una traccia di sentiero abbastanza agevole che permette di raggiungere la sua bellissima ed esile cima. Questa montagna semmai è difficile e dispettosa solo per gli stupidi escursionisti come me, che non sanno individuare in salita il giusto sentiero e invece decidono di salire il fianco più ripido ( e più sbagliato) aggrappandosi a fili di erba e di ampelodesma solo perché non vogliono salire sotto al sole. Pazienza, ormai è fatta ed è cosi. Con questi pensieri che mi girano per la testa, velocemente perdo quota e raggiungo nuovamente la linea tagliafuoco forestale e da li, poco più in basso la trazzera che con qualche saliscendi mi riporta dapprima all’avamposto della forestale, dove torno a salutare gli operai gia incontrati all’andata, e infine giungo in macchina! Bellissima escursione solitaria, su un monte cosi poco usuale sia nelle forme che nella natura geologica, in pieno centro Sicilia. Da ripetere, sicuramente, magari in compagnia di altri “temerari”!