Escursione Monte Pelone meridionale

Parchi d'Abruzzo
  1. Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga
Grado di difficoltà: EEAI
Difficoltà incontrate: una neve acquosa dal tanto caldo fino a mezzogiorno, canali strapieni in cresta. Ritorno in condizioni leggermente migliori Data: 2/4/2021
Partenza/Arrivo: Piazzale del Ceppo (1334 mt), località di Rocca Santa Maria (TE), sentiero per Pizzo di Moscio fino alla Storna, poi la cresta sulla sinistra verso il Gorzano fino a Monte Pelone Meridionale(2259mt), 18 km con 1200 metri di salita totale da gps.
Tempi: non calcolati
ma con il meteo abbastanza capriccioso.
Periodo consigliato: 4 stagioni
Descrizione:
I Monti della Laga sono sicuramente le montagne preferite da chi non ama posti antropizzati, piste da sci con impianti di risalita, o addirittura chi vuole montagne senza sentieri segnati come qualche anno fa. Sono montagne selvagge, di antichissima arenaria, patria di scalpellini esportati nel mondo infatti, ricche di cascate, forre rigogliose, adornate di foreste di faggi di ogni forma ed età, pianure plasmate da centinaia di anni di pastorizia quasi sparita, funghi pregiati, erbe, piante e radici per liquori o medicinali. Montagne che camminano, scaricano, cambiano scolpite dall’acqua e terremoti. Il mio rapporto con questa catena montuosa è caratterizzato da un’attrazione quasi mistica, dove le camminate in solitaria diventano sovente dei percorsi infiniti di meraviglia e fatica dentro la montagna e se stessi.
La buona forma di allenamento prepandemica oggi è un lontano ricordo seppure queste montagne richiedono sempre tutto me stesso ed il passo nel salitone del bosco è leggermente titubante, ancor più che oggi ho in mente una vetta, ancora sconosciuta delle mie gambe, che ho sempre evitato trovandosi ai piedi del Pizzo di Moscio, e dove l’ultimo tratto è talmente invitante che non so se anche oggi ci salirò a cavallo tralasciando la cresta del Pelone. Con qualche selvaggio taglio nei boschi evito la neve presente solo lungo il sentiero e, con mezz’ora di anticipo, arrivo allo stazzo della casetta con una sudata incredibile pur essendo a manica corta. I tratti di neve non evitabili sono un disastro, si affonda fino alle tibie e sembra di guadare un ruscello. Fa caldo, maglietta e gilet sono zuppi, faccio pausa per darmi un’asciugata nel lato riparato del rifugio. Cambio maglia, stendo i panni al vento per qualche minuto, mi siedo per un’ottima pausa di cioccolato e rollo qualcosa da fumare. Il tempo è magnifico, il cielo terso fino al mare con scenografici cirri bianchi che sembrano evaporare in diretta dalla neve che ho attorno o dal fumo che fuoriesce sotto il mio cappello di paglia da cialtroalpinista. Cerco un po’ di coraggio per proseguire pescando tra i ricordi di solitarie del 2019, quasi per risvegliare delle gambe leggermente pesanti di paura.
Riprendo la mia salita in mezzo a tante chiazze di neve poco aggirabili con picca e ramponi ancora appesi dietro e forse inutili con una neve cosi acquosa. La fatica per aggirare la neve è snervante ma dove non è possibile va anche peggio e spesso sono zuppo fino alle ginocchia, cosi cerco di saltare sull’erba asciutta zigzagando non poco fino alla Storna ai 2000 metri. Plana qualche sciatore dal viso felice nel frattempo e la scenografia dei cumulonembi si fa più presente, creando brevi ristori all’ombra di un Eolo andante allegro. Il passo finalmente è sciolto, e in barba alle condizioni sempre più impegnative, vado veloce puntando una gran bella chiazza asciutta, assolata, sotto lo Stazzo della Solagna. Stamattina quando sono partito ho scoperto di aver lasciato i miei bastoncini a Forca di Valle qualche giorno fa, per cui sono salito fin qui con un vecchio bastone fisso da sci e un ramo di faggio raccolto nel bosco. Adesso le pendenze aumentano e decido di usare la piccozza per appoggiarmi o frenare se scivolo, i ramponi non li indosso perché ho paura di farmi male dovessi affondare troppo con delle lame ai piedi. Arranco su una neve indecente e noto che nel punto adocchiato c’è già qualcuno in pausa. Prendo fiato e penso sul da farsi. Guardo la bellissima salita finale del Pizzo che mi chiama come una sirena e sono tentato di mettere gli occhi, di nuovo, a 2400 mt, ma oggi la mia Itaca è Monte Pelone per cui mi concentro su come arrivarci magari senza dover nuotare troppo tra onde di alta marea bianche e fredde. Inizio con il sentiero segnato che aggira la prima cresta ma è davvero un calvario, e quando una gamba affonda dritta fino al bacino e l’altra che si piega interna verso la coscia, mi sale un brivido lungo come il resto del giorno. Il pensiero è andato ai ramponi che poco prima avevo deciso di non montare anche se ne vedevo qualche traccia vecchia; se li avessi avuti ai piedi adesso starei aspettando un elicottero con una coscia tagliata dal ginocchio all’inguine (dove si è fermato lo scarpone destro).
Abbandono l’idea del sentiero segnato e cerco di tagliare dritto in cresta, che pare semierbosa, e poi il vento si è divertito ad ammassare tutta la neve nel mio versante. Anche Linda annaspa in certi tratti pur allargando le dita comicamente stile papera. Tolgo gli occhiali, cerco di capire dove sia più ghiaccio che tiene, seguo anche Linda dove vedo che le zampe galleggiano, sono fradicio di sudore e neve, anche le ghette cominciano a cedere e qualche rivolo comincia ad infiltrarsi. Il tempo sembra chiudersi prima di arrivare a vedere il versante laziale e mi perdo d’animo quando mi ritrovo di nuovo improvvisamente con la neve fino al petto e tanta paura per uscirne. Sento il piede sinistro come nel vuoto adesso e non sento il fondo neanche infilando braccio e piccozza. Sudori freddi. Mi giro e anche la lupa è quasi inghiottita. Sono dentro un crepaccio o una buca non molto larga perché comunque a due metri vedo un ciuffo d’erba e la sommità della cresta pulita. Mi sento goffo come un tricheco fuori dall’acqua e come lui cerco di sdraiarmi sui fianchi per uscirne nuotando a mezzo dorso come fossero sabbie mobili. Linda intanto, non so come, è in salvo e mi guarda quasi divertita nel vedermi tanto impacciato, rido un po' anch’io, poi la ignoro e riesco a puntare, finalmente, la picca sul duro per issare il resto di me stesso.
Il sole gioca con le nuvole sempre più nere quando riesco a cavalcare le cime, luci, ombre e un vento fortissimo mi sballottano tra paesaggi surreali, maculati di terra e neve, di forre profonde dove echeggiano salti d’acqua, e sopra o sotto la testa sono circondato da macchie bianche, come fossero armenti su pascoli celesti. La fame chiama e trovo pace in un’insenatura riparata e asciutta, dove togliermi un cappello di nuovo madido di tensioni e per una meritata pausa pranzo alle due del pomeriggio. La contemplazione in certi posti sfama e appaga più di qualsiasi cibaria. La Laga mi rapisce ogni istante e la visuale così alta sul frontale Gran Sasso è un privilegio per i pochi frequentano queste cime. Passa del tempo indefinito ma che è sempre troppo quando le montagne mettono tutte il cappello, cosi rialloggio anche il mio e mi riarmo di volontà e determinazione. Punto le due cime che ho davanti sperando che il Pelone sia la prima e che soprattutto ci sia scritto qualcosa anche se non ha una croce di vetta, per lo meno non ne vedo e ci sono quasi.
L’azzurro e i raggi del sole sono sempre più in guerra per conquistare tempo e spazio tra i nembi che tendono a un grigio molto preoccupante. Il vento si fa molto teso ma sullo scoperto trotto veloce su e giù per questi colli. Un altro fossato mette alla prova la mia pazienza ma con l’omino di cima in vista ne ho da vendere adesso. Il vento di ore e il sole timido dietro le nuvole cominciano finalmente a lavorare a mio favore, devo indossare i guanti e altri “strati” ma la neve comincia a tenere il mio peso senza scivolare o affondare. Sarebbe quasi divertente se questa fosse la prima cima con tanto di cartello e sole splendente, invece sono al buio da 5 minuti e il cumulo di pietre davanti non porta nessuna scritta tranne quelle scolpite dalla montagna sul versante laziale del Gorzano che ogni tanto spunta tra le nuvole agghindato come un pandoro. La vista si riapre e l’altra cima da qui sembra leggermente più bassa per cui dubito sia il Monte Pelone e probabilmente ci sono anche se non vedo scritte? Il sole si fa spazio e illumina bene i circa 20 minuti da fare per scendere un po’ di quota e salire alla seconda vetta. Penso che sia una buona finestra per fugare ogni dubbio e poi che non sarà facile trovare ancora tempo e forza per tornare qui.
La salita adesso è nuda sferzata dai venti, per cui in un baleno attraverso un’altra nuvola appena sfornata e sono sulla cima del Pelone Meridionale con tanto di scritta. Meno male la mia testardaggine. La vista è impagabile e il sentiero che vedo avanti lastricato dai ghiacci verso il Re della Laga mi lascia senza parole e un nuovo sogno nel cassetto. Sono felice, piazzerei una tenda tanto mi piace questa punta del magico mondo della Laga, ma non è terra per umani oggi. Neanche il tempo di una fumatina che il meteo mi spinge ad ingaggiare una discesa rapida per sfuggire ai pallini di ghiaccio che mi rimbalzano sullo zaino. Fa freddo, sono stanco, e come al solito, la vera avventura sui “miei monti” inizia sempre nelle discese. Forse la montagna sa che non voglio mai andar via e mi allunga i ritorni con difficoltà impreviste, piuttosto che ozi da perdere cognizioni spaziotemporali, piuttosto che nuove scoperte da esplorare. Oggi mi ha imbastito una bella grandinata a vento su una neve che sul sentiero ufficiale adesso è abbondante e fradicia come i miei piedi.
Torno alla Storna, il sole si ricorda che ci sono ancora due anime che vagano per la Laga e mi sorride potente. Sorrido anch’io, sorride Linda e scondinzoliamo entrambi verso il bosco con la consapevolezza che la nostra determinazione e complicità sono davvero grandiose e di aver compiuto un’altra avventura meravigliosa. Cammino quasi saltellando, canticchio eppure ho qualche crampo, i piedi lessi da ore e che bruciano, lo stomaco vuoto che brontola e manca ancora un’ora buona alla macchina. Sono contento e ancor di più se penso che ci sto facendo caso nel momento stesso in cui lo sono, quando di solito rimando, la gioia ai ricordi, a una consapevolezza postuma e più razionale. Oggi me la godo subito questa soddisfazione, e mi sento come l’eroe di me stesso, l’eroe dei miei limiti, come un me da imitare su tante cose. E poi? Come non essere così felici quando la discesa è vista mare e il cielo fantastico?… non potrei che sorridere fino a casa. Buona Montagna a tutti....

......
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La Laga: ogni passeggiata un'avventura. Certo un gippiesse puoi anche pensarci: per sapere su che vetta sei ma soprattutto una sicurezza per noi solitari.
E speriamo che la Laga rimanga sempre come l'hai descritta nelle prime righe.
Concordo per il GPS.Ma lasciamo perdere quei luoghi comuni secondo i quali andare per monti senza GPS sarebbe più romantico, avventuroso e bla bla bla.Allora portiamoci gli scarponi di cuoio chiodati,le racchette da neve tipo tennis,le corde in canapa come ai tempi di Carrell........E poi risparmieremmo lavoro ai soccorsi nel caso ci dovessimo perdere o succedesse qualche imprevisto........E di questi tempi ne ho viste di tutti i colori
 
La Laga: ogni passeggiata un'avventura. Certo un gippiesse puoi anche pensarci: per sapere su che vetta sei ma soprattutto una sicurezza per noi solitari.
E speriamo che la Laga rimanga sempre come l'hai descritta nelle prime righe.
Ahahah non ci crederai ma avevo GPS e pure acceso.... Non ci ho pensato. Mi dimentico di averlo spesso ancora e infatti scarico sempre le pile perché non ricordo manco di spegnerlo finita l'escursione. Quando mi perdo nelle nebbie della Laga cmq è stato varie volte utilissimo. A dire il vero non lo guardo anche per non levarmi il gusto della scoperta completa e se non sono in difficoltà. Adesso devo assolutamente fare il tratto meraviglioso che sale al Gorzano da questa Vetta.
 
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