Escursione Monte Velino - A tutti gli appenninisti

Monte Velino
Quota
2.486 m
Data 31 agosto 2013
Sentiero segnato
Dislivello 1.620 m
Distanza 15,42 km
Tempo totale 9:10 h
Tempo di marcia 7:05 h
Cartografia Il Lupo Velino-Sirente
Descrizione Da Massa d’Albe per la normale da sud (3,45 h). Ritorno per Pizzo Cafornia (2.424 m, +45 min.), la Grotta dei Pastori (1.740 m, +1,15 h), Fonte Canale (1.202 m, +55 min) e la macchina (+25 min.). Giornata serena e calda. Avvistati tre grifoni.
https://www.montinvisibili.it/Monte Velino 3

Un periodo denso di impegni familiari e professionali mi tiene lontano dai sentieri da troppo tempo.
Allora come scriveva il Pirsig di Lila: <<Cielo grigio e vento vogliono dire una giornata in cui è bello non andare da nessuna parte: si sta giù in cabina, a fare lavoretti che si è continuato a rimandare, a studiare le carte nautiche e i portolani e a programmare la prossima destinazione>>.
E rimettendo in sesto foto e ricordi di vecchie camminate ecco i pensieri che accompagnarono la mia salita al Monte Velino per il completamento dei 2000 dell'Appennino. Una riflessione sulle vette più belle, a mio parere, di questa splendida catena. Voi che ne pensate?

Rieccomi a casa! Dopo due anni di cammino per vette e per valli sono tornato alla familiare croce del Velino, alla quale tante volte sono corsi i miei pensieri durante questa stagione di vagabondaggi su sentieri sconosciuti.
E ora che l’ho finito, che dire di questo invisibile Appennino, divenuto al mio sguardo trasparente? Avendolo percorso con fatica lungo sentieri remoti e percorsi dimenticati, lo percepisco adesso limpido e accessibile fino alla sua anima, che risplende e riflette ormai la mia.
Ma quale è l'essenza di queste montagne? quale la loro forza, la loro energia? Forse quella che emerge dalle loro peculiarità, da quei caratteri tipici che rendono i diversi gruppi una sorta di universo, libero e distinto dai suoi fratelli. Essenza la cui sintesi si può trovare in ogni vetta più bella, non necessariamente la più elevata, ma quella che meglio racchiude e spiega i singoli caratteri.
E vediamole allora queste montagne.
Sopra tutte, per ragioni di altezza, c'è il Gran Sasso. Il re dell'Appennino è un monumento alla biodiversità che più fa respirare quei sentori alpini altrimenti rari da percepire sulle nostre montagne. Ma credo che la sua vetta più bella non siano i 2.912 metri dell'affollato Corno Grande, bensì i 2.623 del Monte Corvo, cima elegante, possente, solitaria, selvaggia, che richiede lunghe ore di cammino per ammettere alla sua croce, dove si apre una vista inconsueta sulle vette del gruppo centrale.
In coabitazione nello stesso parco ecco la Laga, e come scrissi una volta "…Gran Sasso e Laga stanno insieme per buon vicinato, tanto sono diversi per storia geologica e ambiente naturale: calcare arido con aspre vette l'uno, marne e arenarie gravide d'acqua l'altro". E l'acqua e il verde la fanno da padrone in questo ambiente dai ripidi fossi e dalle panoramiche linee di cresta, dove la scarsità dei sentieri regala forse l'ultima vera wilderness delle nostre montagne. Anche qui la vetta più affascinante è per me non la più elevata, ma i 2.419 metri del Pizzo di Sevo, forma triangolare che sembra il disegno di un bimbo e che lascia libero lo sguardo di librarsi verso tutta la cresta della catena e sul vicino Monte Vettore.
Se il Gran Sasso è il re, la Majella è la sua regina. La montagna madre, come è nomata in Abruzzo, grazie alla sua estensione e alla vasta zona di altipiani di quota, regala sensazioni di assoluto isolamento in un ambiente lunare. Tante anche qui le splendide cime, ma sicuramente la preferita non appartiene neanche specificamente alla Majella, bensì al limitrofo gruppo del Morrone, con la sua isolata vetta omonima, eccezionale belvedere sulla protettiva madre.
E che dire dei confinanti Marsicani, all'interno, ma non solo, del più antico parco appenninico? Rilievi non eccelsi, è vero, nonostante siano un'enormità quelli che superano la fatidica quota duemila; e spesso tanto scarsamente caratterizzati, che si fa fatica a discernerli dagli altri gruppi. Però l’incanto del parco, insieme alla sue valli boscose e alla presenza degli animali, che qui è più facile incontrare che non altrove, è tale che si torna sempre con gioia a farsi avvolgere fra le sue membra. Fra le tante vette, i 2.242 metri de La Meta sono anche per la posizione i più affascinanti: montagna cerniera che si rilega con le remote Mainarde e che sale dal Lazio per precipitare sul Molise e sull'Abruzzo verso una delle aree più selvagge del parco.
Prossimi ai Marsicani per geografia e ambienti, ecco i Simbruini e i limitrofi gruppi degli Ernici e dei Càntari. Forse non sono le vette il pezzo forte di questo parco regionale, bensì le sue sconfinate faggete, gli ampi pianori carsici e una ricchezza d'acque sorgive che lo rende una delle prime riserve idriche della Capitale: tant'è che lo stesso nome deriva dal latino "sub imbribus", sotto le piogge. E secondo me la sommità più affascinante di questo territorio non è neanche un duemila, ma i 1.961 metri di Monte Tarino, con il bel sentiero che parte dalle fresche sorgenti dell'Aniene per attraversare alte e ombrose faggete fino alla rocciosa cresta che reca alla cima, panoramico palco sul Fucino e sul Velino.
Continuando nel nostro cammino ci dirigiamo a nord e incontriamo i Sibillini, montagne ripide e imponenti con creste erbose lunghe e affilate, disposte prevalentemente lungo la direttrice nord-sud. Giogaie magiche e misteriose, regno di demoni, negromanti e fattucchiere, come testimoniano la Grotta della Sibilla e il Lago di Pilato. E in sintonia con il loro sentore magico, il Pizzo del Diavolo, sperone roccioso alto sul lago, è la vetta più suggestiva del massiccio.
Non lontani in linea d'aria ecco i Reatini, dei quali il Terminillo è l'esponente più noto. Rilievi circoscritti in un territorio pesantemente aggredito dall'uomo e sui cui sentieri è difficile avvertire il tanto necessario afflato di wilderness. Tranne forse sui sentieri orientali, dove la bella elevazione del Monte di Cambio realizza un ampio balcone dal Vettore alla Laga al Gran Sasso.
Molto più a nord si arriva all'Appennino Tosco Emiliano, un boscoso gruppo di vette di arenaria che stupisce per la varietà degli ambienti ma anche per l'organizzazione del suo parco nazionale, così diverso da quelli dell'Appennino centrale: con sentieri ben segnati e tracciati, percorsi da torme di camminatori. Il duemila più tipico? Sicuramente l'Alpe di Succiso, vetta isolata che regala sensazioni di vera montagna nel suo affilato percorso terminale.
Camminando invece verso sud, fuori dai nostri percorsi abituali, si giunge al Matese, massiccio poco esteso e anche lui gravemente deturpato, ma dalle belle forme, soprattutto nella sua vetta appena sotto i duemila, La Gallinola: una lunga elegante dorsale rocciosa costellata di pianori carsici con vista sul Lago del Matese.
Molti chilometri ancora verso sud il Pollino e il vicino Sirino, vette impervie, solitarie e maestose a cavallo di Basilicata e Calabria. Rari i sentieri, lunghe le percorrenze, oscuri e profondi i boschi che si affacciano su immensi pascoli di quota, attorniati di vette dove relitti arborei loricati si aggrappano con vista estrema sull'azzurro dello Jonio. Simili e bellissime le due serre, delle Ciavole e di Crispo, lunghi balconi rocciosi costellati di pini loricati in un paesaggio lontano nel tempo e nello spazio.
E ultimo ma non ultimo, ecco l'amato Velino Sirente, montagne calcate ormai un tutte le direzioni e che sorgono in un territorio ampio e sconfinato dove facile è perdersi e sentirsi finalmente soli. Pur amando molte vette di questo complesso – dal'alpino Sirente all'aspro Muro Lungo – è proprio il triangolare Monte Velino la vetta preferita, con le sue lunghe o ripide vie di avvicinamento e accesso che permettono di attraversare e conoscere tutti gli aspetti di questo splendido territorio.
Territorio che alla fine racchiude tutti i caratteri di questi stupefacenti monti appenninici, ai quali trovo attribuibili le parole che Anne Macdonell scrisse, ormai oltre cento anni fa, proprio a proposito del Velino: “Quando si attraversano i suoi confini irregolari, l’uomo ritrova se stesso appena ha superato la prima delle numerose difese naturali che l’Abruzzo oppone alla vita moderna. Se ti addentri appena un po’, dai pendii più alti delle tre piramidi del Monte Velino scorgerai la meraviglia di questa Terra ed il terrore che nello stesso tempo essa suscita: catene di montagne che si susseguono e una barriera dopo l’altra isolano valli da altre valli e rendono estranea l’una all’altra, la gente degli altopiani e delle pianure”.
E scusate se vi ho tediato.
 

Allegati

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Grande Presidente! Mi hai fatto fare l'intero appennino tra poche coscienziose parole. Una passione per gli Appennini che non credo di avere mai visto e percepito così gigante. Approfitto per ringraziarti per gli innumerevoli consigli, riflessioni e considerazioni sempre molto approfondite che condividi con noi. Per me sei sempre grande fonte di ispirazione e modello da quando ho messo piede dentro questo sito. Fortuna che spero di scrivere ancora sulle mie suole vibram qualche volta. Ma come ci sarai finito in un club di cialtroni poi è sempre un mistero ahaha.... Bellissima sintesi, d'accordissimo per la Laga forse il GS pendo più per un Cefalone per vari fattori, ma il batticuore più forte mi viene sempre con il nome Intermesoli di cui mi manca una punta. Il resto ovviamente è ancora tutto splendidamente invisibile.
 
Grande Presidente! Mi hai fatto fare l'intero appennino tra poche coscienziose parole. Una passione per gli Appennini che non credo di avere mai visto e percepito così gigante. Approfitto per ringraziarti per gli innumerevoli consigli, riflessioni e considerazioni sempre molto approfondite che condividi con noi. Per me sei sempre grande fonte di ispirazione e modello da quando ho messo piede dentro questo sito. Fortuna che spero di scrivere ancora sulle mie suole vibram qualche volta. Ma come ci sarai finito in un club di cialtroni poi è sempre un mistero ahaha.... Bellissima sintesi, d'accordissimo per la Laga forse il GS pendo più per un Cefalone per vari fattori, ma il batticuore più forte mi viene sempre con il nome Intermesoli di cui mi manca una punta. Il resto ovviamente è ancora tutto splendidamente invisibile.
Perché è proprio la cialtroneria che ci fa conservare lo stupore e il cuore da bambini in queste piccole cose che facciamo in montagna.
Troppo buono @Leo da solo, e lascia passare questo periodo di caos familiare e lavorativo (o quanto meno assestare) e poi anche io ci tengo a una nuova passeggiata con voi, sulla Laga o la Majella, magari.
 
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