A prescindere da buonismo, non buonismo, errori, superficialità questa di Altorilievo è un'opinione che condivido. Sono sicuro che tutti hanno rischiato di trovarsi in situazioni complicate a volte per vari motivo, quindi non condivido che ogni volta che succede qualcosa si punti sempre il dito in un certo modo, senza nemmeno troppo rispetto per le vittime.
Ad esempio sul Monte Rosa tre anni fa, sulla base delle previsioni che facevano intravedere un possibile peggioramento dal pomeriggio, siamo andati lo stesso e, pur in assenza di precipitazioni, ho chiaramente visto di essere stato sfiorato da un fulmine. Il giorno dopo inaspettatamente ci siamo trovati a dover procedere con visibilità azzerata. Qui abbiamo superato la cosa tranquillamente grazie ai membri più esperti del gruppo, io che ero alla prima esperienza ovviamente non avrei saputo cavarmela, ma cosa sarebbe successo se per qualunque motivo le cose fossero andate giusto un po' diversamente? Saremo finiti anche noi a essere giudicati e magari insultati da tutti, con le solite orde di alpinisti, escursionisti e divanisti a chiedere a gran voce il pagamento dei soccorsi senza che conoscessero magari le circostanze.
Non parlo poi degli eventi a cui mi sono trovato da solo
(dico solo che una volta mi sono trovato in una situazione molto molto rischiosa a causa dello stesso genere forse di "sottovalutazione" del rischio, nel senso che vedendo che i siti meteo davano precipitazioni dalle 15 ero salito comunque; invece, erano cominciate alle 12 e ho visto un'escursione relativamente semplice trasformarsi in un incubo, anche perché poi di fronte a certe difficoltà può anche diventare difficile mantenere la calma e la ragione. Poi altre due volte situazioni ugualmente pericolose ma in cui non ho corso lo stesso rischio; alla luce di queste esperienze (ma credo che molti le abbiano avute in qualche momento della loro storia di frequentazione della montagna sinceramente, magari a volte non così gravi ma magari solo per casualità o provvidenza, e magari appunto con un po' di sfortuna in più certe situazioni potevano andare peggio) non vedo perché dovrei giudicare altri in un certo modo con fare sprezzante.
Possiamo solo prendere atto di quelli che sembrano essere stati i loro errori e stare attenti a non replicarli, stop,nient'altro.
Oppure in relazione ai temporali estivi, sui quali due anni fa ho letto i soliti commenti sprezzanti e giudicanti dopo la morte di un escursionista colpito da un fulmine: soprattutto nei trekking di più giorni, in cui magari lungo il percorso non si riescono nemmeno a consultare le previsioni (comunque sappiamo che si tratta di fenomeni difficilmente prevedibili, o almeno difficilmente localizzabili), sappiamo quanto può essere facile trovarsi a che fare con uno di questi fenomeni. Anche quando dalla formazione e dal movimento delle nubi, che magari continuano a formarsi e a dissolversi di continuo dando l'impressione dell'assenza di un peggioramento, non si riesce a capire cosa fare. (E anche se si riesce a capire se sei in mezzo al percorso -sappiamo bene quanto possono essere distanti da un punto qualsiasi eventuali ripari- non è che puoi fare molto)
Sono tutte cose che possono capitare e per cui si possono ricevere dei giudizi da parte di escursionisti ed alpinisti esperti ma anche da parte di persone che non sanno minimamente quello di cui parlano; per cui io consiglio di pensarci bene ed essere prudenti prima di affondare con i giudizi in un certo modo.
"Quando in montagna si consuma una tragedia, puntualmente divampa un focolaio di esperti.
Ammonimenti severi si alternano a osservazioni puntigliose. Il tutto è spesso accompagnato da brevi frase di circostanza, con l'intento di ingentilire il proprio cinismo.
Comprendere come si sono sviluppate certe dinamiche può essere utile per non replicare un eventuale errore o per sapersela cavare in una determinata situazione.
Ma per comprendere bisogna saper ascoltare: innanzitutto chi ha vissuto il dramma in prima persona e poi chi gli è andato incontro per prestargli aiuto.
Sono in tanti, tuttavia, a esprimersi frettolosamente, bruciando le tappe. Perché ascoltare è noioso, mentre puntare il dito può essere molto eccitante.
Non penso siano spinti da uno slancio di protagonismo. Sono invece convinto che, inconsciamente, si sentano in colpa.
L'ambiente alpino, infatti, è caratterizzato da un notevole margine di imponderabilità: questo naturalmente può crescere o diminuire in base alla nostra preparazione. Ciononostante è impossibile azzerarlo.
Così, anche se facciamo fatica ad ammetterlo, ogni volta che saliamo andiamo incontro a qualcosa di impalpabile, di incontrollabile. Ed è proprio questo qualcosa - come scriveva ieri Enrico Camanni - ad arricchire l'esperienza, a farci sentire esploratori in un mondo setacciato in ogni sua piega, in ogni suo anfratto.
Quindi si innesca un meccanismo di autodifesa: stendiamo il braccio e puntiamo l'indice sui nei altrui, come a dire alla nostra coscienza: «Stai tranquilla, io non mi sarei mai trovato in quella situazione!».
Le mentiamo per continuare a vivere quel margine così vago e imprevedibile.
Quanti temporali sfiorati, quante prese rimaste in mano, quante dubbi sulla linea da seguire. Sono situazioni che si ripetono in modo ciclico, ma evidentemente non sono ancora state metabolizzate dalla comunità alpinistica: forse perché l'uomo occidentale, con il suo pragmatismo, tende ad emarginare ciò che non si lascia controllare; forse perché non è ancora tramontata del tutto quell'indole eroica che ha da sempre accompagnato chi insegue le vette.
Bisognerebbe imparare a mettersi a nudo di fronte alla montagna e, più in generale, al mondo.
Bisognerebbe imparare ad ascoltare prima di esprimersi in un giudizio: uno slancio di umiltà per incontrare, nella tragedia, una presa a cui aggrapparsi in caso di bisogno, un insegnamento per vivere i rilievi con maggiore consapevolezza."
di Pietro Lacasella