Il problema di avere una varietà o una decina di varietà estremamente produttive e quindi largamente usate nell'intero mondo (indipendentemente che siano siano OGM o non OGM anche se ormai questo avviene solo con le OGM) provoca la scomparsa di varietà meno produttive minacciando la diversità biologica.
Inoltre non è il caso di confondere la creazione di nuove varietà tramite gli incroci (avvenuti tramite impollinazione) fra varietà diverse della stessa specie e la conseguente selezione e l'aggiunta laboratoriale di geni presi da specie diverse. Il procedimento è ben differente.
L'Italia possiede la più grande biodiversità, anche di specie coltivate, dell'Europa e una delle più alte al mondo e siamo un paese con poca superficie coltivabile rispetto a molte altre zone geografiche. Per dire, in Italia avevamo la coltivazione e l'allevamento di varietà a dir poco regionali e talvolta ancora più frazionate. Quando avveniva una qualche calamità, malattia, problema climatico, parassiti o altro, magari una varietà ne soffriva di più e un'altra di meno, garantendo però la sopravvivenza della specie e in generale fornendo una maggiore resistenza della popolazione umana alla carestia che ne seguiva.
La limitazione a poche varietà di una specie (badate che grande varietà si intende qualche migliaio di varietà a fronte di una coltivazione odierna per alcune specie particolarmente a rischio di poche centinaia...) provoca il rischio che a fronte di un imprevisto che decimi le varietà largamente coltivate si perda quella specie e questo può diventare particolarmente pericoloso visto che le specie commestibili su cui si basa largamente l'alimentazione umana non sono moltissime.
C'è un motivo per cui sono state spinte le coltivazioni e i consumi di specie che venivano ormai poco usate e commercializzate tipo il farro che ad esempio ora viene coltivato moltissimo nella mia zona che invece era inadatta al frumento più "moderno" del resto ai tempi dell'antica Roma e nel medioevo, fino praticamente ai tempi moderni questa era già storicamente zona di coltivazione del farro.
Aprire a coltivazioni OGM che per la loro natura commerciale sono orientate alla grande quantità ottenuta da una sola varietà specifica che abbia quelle precise caratteristiche porta come conseguenza la diminuzione drastica delle varietà locali tradizionali meno produttive ma altamente diverse una dall'altra, una banca di geni da cui si può sempre sperare che ci siano quelle in grado di sopravvivere ad una qualche calamità imprevista.
Qualcuno dirà che sono state create le banche dei semi, sotto i ghiacci dei poli o in altri posti altrettanto protetti. Vero! E sono le multinazionali che li hanno creati, pagati e mantenuti e ci hanno messo una bella collezione di semi delle varietà tradizionali storiche... e secondo voi lo fanno perché non sono utili? Perché non servono?
Certo che servono e lo sanno, per cui se per qualche motivo loro resteranno gli unici ad avere quelle raccolte di diversità biologica un domani saranno solo loro a potere avere semi in grado di resistere a qualche calamità e nessuno potrà (nemmeno per il proprio orto familiare) avere semi produttivi se non comprandoli da loro al prezzo che decideranno loro.
Il problema, ripeto, è sociale, etico, ecologico. Il problema di cui parlo io non è chimico, non è biologico, non è scientifico checché strepitino alcuni per farlo passare per tale.
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articolo FAO sull'argomento da cui riporto la parte finale:
Italia, 6mila varietà di frutta scomparse in un secolo
L’allarme di Slow Food trova conforto nei dati diffusi da
Coldiretti, secondo i quali «in Italia nel secolo scorso si contavano
8mila varietà di frutta, mentre oggi si arriva a poco meno di 2mila. E di queste ben
1500 sono considerate
a rischio di scomparsa».
Ma la perdita di biodiversità riguarda l’intero sistema agricolo, dagli ortaggi ai cereali, dagli ulivi fino ai vigneti. Un pericolo anche per la
fattoria in Italia, dove sono scomparsi 1,7 milioni tra mucche, maiali, pecore e capre negli ultimi dieci anni. «Il rischio impatta sulla straordinaria
biodiversità delle stalle italiane dove sono minacciate di estinzione ben
130 razze allevate tra le quali ben 38 di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini. Un pericolo per i produttori e i consumatori per la perdita di un patrimonio alimentare, culturale e ambientale del Made in Italy, ma anche un attacco alla
sovranità alimentare del Paese».