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lascio questa discussione chiedendoVi la cortesia di studiare davvero cosa dica la decrescita felice, perché vedo tanti, troppi errori grossolani di lettura di un'idea di sviluppo (la decrescita felice) che è spesso confusa con l'attuale fase recessiva.
sono due cose differenti e nessuno del MDF ha mai detto o auspicato una situazione del genere, in nessun modello, in nessun pensiero.
Saluti e buona estate.
Ciao Fede, la differenza ce l'ho ben chiara.
Anzi, me la sono andata a chiarire direttamente dall'ideologo, Maurizio Pallante.
La cosa curiosa è che lui per spiegarla fa un paragone azzeccatissimo, con la dieta, ma secondo me così facendo si dà un po' la zappa sui piedi.
Dice: la recessione è come dover stare a dieta per mancanza di soldi; invece la decrescita felice è come starci per scelta.
Perfetto. C'è una sola parola "di troppo": l'aggettivo "felice".
Ovverosia: se una persona è felice di METTERSI a dieta (e di restarci !) lo si dovrebbe lasciar dichiarare a lei. E in effetti da che mondo è mondo non mi sembra che siano tante le persone felici di farlo, men che meno a tempo indefinito.
Fuor di metafora e di paragone: le questioni sono due.
1) la decrescita non è impossibile se una società decide di mettersi a dieta consumando meno, il problema è che lo farà se e solo se si troverà ad essere appunto FELICE di far ciò. Come lo siamo noi che preferiamo una passeggiata in montagna (che non "fa" Pil, o meglio anche quello con la benzina o il cappuccino al bar lungo il viaggio o la birra al ritorno) anziché la spesa al centro commerciale. Ma noi rappresentiamo la regola o l'eccezione ? E possiamo arrogarci il diritto di imporre a tutti di convincersi che mettendosi a dita saranno più felici ?
2) poi c'è un problema ancora più di fondo. Per come è strutturato il sistema, la dieta "volontaria" di qualcuno (rinuncia a beni e servizi) determina la dieta forzata" di qualcun altro, cioè gli toglie il lavoro e quindi il reddito: in altri termini, innesca l'effetto "palla di neve" con una decrescita che - per quanto felice o almeno iniziata come tale - alla lunga provoca proprio la recessione. E la recessione rischia di retroagire, rendendo anche a chi aveva attuto rinunce per scelta di continuare a farle per obbligo, perché la recessione investe anche lui.
Il modello alternativo, insomma, è una sorta di de-strutturazione dell'economia aperta e il ritorno progressivo a quella chiusa: meno beni scambiati e più autoprodotti; meno divisione del lavoro (quella descritta da Smith come innesco della Rivoluzione industriale) e molto più ricorso a un promiscuo "fai da te" e così via, meno intensità e più estensività (di tempi, spazi, ecc.). Ma questo non è nuovo, è ritorno a modelli storici già visti. Che può andare benissimo (decrescita), bisogna solo vedere se la società è appunto FELICE di farlo oppure no.
Che lo siamo te, io, noi qui dentro, purtroppo conta poco: non facciamo troppo testo.
Ciao.