ragazzi che si suicidano

Mmh si, immagino come inginocchiarsi sui ceci e magari punizioni 'corporali', se per "metodi didattici" intendi quello, rendessero le persone meno fragili, più capaci di affrontare la vita e meno esposti a malattie mentali e depressione, si sì, come no.

[cut...] No, troppo difficile fare ragionamenti del genere, meglio dire che è colpa del fatto per cui non si puniscano più brutalmente e fisicamente gli studenti

vergognati a mettermi in bocca parole che non ho usato, se per te usare regole e fermezza significa brutalizzare mi spiace devi avere passato una brutta infanzia ed adolescenza ma questo non ti giustifica comunque nell'accusare chi non conosci di usare metodi di correzione corporali che non mi sono mai neppure sognata di applicare.
 
vergognati a mettermi in bocca parole che non ho usato, se per te usare regole e fermezza significa brutalizzare mi spiace devi avere passato una brutta infanzia ed adolescenza ma questo non ti giustifica comunque nell'accusare chi non conosci di usare metodi di correzione corporali che non mi sono mai neppure sognata di applicare.


E allora spiega il tuo riferimento ai "metodi didattici" del passato,sei tu che devi spiegarli, non io. Se si resta vaghi c'è il rischio di non essere compresi.
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Comunque vorrei tornare sul discorso degli stipendi e della loro riduzione. Magari lo dico anche perché non conosco bene la realtà dei primi anni 2000 essendo giovane, ma ricordo bene che mio padre da operaio riusciva a portare a casa 70 euro al giorno, penso proprio netti (e in effetti sono poco meno di 9 euro all'ora con 8 ore al giorno, praticamente la paga che si aspetterebbe in un paese civile semplicemente). Dopo la crisi del 2008 e attualmente non mi sembra proprio di vedere stipendi del genere, per non parlare di altri settori come quello della ristorazione o degli stage offerti perennemente ai giovani a condizioni vergognose, si parla anche di 1/2 euro all'ora a volte e qualcuno si permette pure di blaterare idiozie sulla "voglia di lavorare" (che poi che sarebbe la voglia? Non si lavora perché si ha voglia di farlo ma per portare la pagnotta a casa direi, ma magari sono io che ho una visione troppo razionale della cosa...) o robe simili, senza nemmeno rendersi conto del contesto attuale. Magari sto sopravvalutando gli effetti della crisi del 2008 ma direi proprio che l'insieme di questa e della deregolamentazione sempre più forte del mercato del lavoro (contratti a progetto, stage gratuiti, abolizione art.18, ecc.), in aggiunta ai pochissimi controlli e al nero diffusissimo in vari ambiti in Italia, hanno creato e stanno continuando a creare una miscela esplosiva. In tutto ciò l'Italia è l'unico Paese del mondo "sviluppato" a detenere stipendi mediamente bassi ma un costo della vita medio-alto (basta pensare al costo degli affitti in quella città da benestanti che è Milano, in cui per un monolocale si va vicini ai 1000 euro al mese, e alla sproporzione con gli stipendi).

È chiaro che in questo contesto, un giovane che si affaccia al mondo del lavoro può esserne parecchio spaventato e che questo spavento si trasformi poi in sfiducia e alla lunga anche nella comparsa di sintomi depressivi.
 
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Non sarà mica che tra le altre cose la generazione attuale si trova a dover affrontare gli effetti di una crisi economica perenne, di un sistema economico, pensionistico e lavorativo che penalizza continuamente i giovani e che in Italia fa sempre più schifo, e che pertanto non veda alcun futuro per sé? No, troppo difficile fare ragionamenti del genere, meglio dire che è colpa del fatto per cui non si puniscano più brutalmente e fisicamente gli studenti e magari pure della leva militare per imparare un po' di sano nonnismo e sottomissione assoluta, tanto con le argomentazioni siamo lì. Prendere atto del fatto che si tratta di argomenti complessi e esenti da precisi nessi di causa-effetto no eh.

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Bella questa, i giovani di oggi che stanno meglio dei boomers negli anni del boom economico. Bella barzelletta.

E' evidente che sei giovane e non hai vissuto negli anni '70...
Ti posso garantire che in quegli anni la crisi era feroce.
Come ti hanno già detto, le famiglie (moltissime) stentavano letteralmente ad arrivare alla fine del mese, l'inflazione galoppava a ritmi forsennati, e comprare un paio di scarpe era una spesa che poteva essere fatta solo in determinati casi. E nemmeno da tutte le famiglie.
Alla crisi economica poi aggiungi anche i problemi legati agli scioperi continui, che tagliavano ulteriormente gli stipendi e, ciliegina sulla torta, i fatti criminali legati ai cosiddetti "anni di piombo"...
Io sono cresciuto a Genova in quegli anni e ti posso garantire che la situazione era tutt'altro che rosea, ogni giorno, o quasi, c'erano morti, attentati più o meno gravi, sequestri di persona.
Io sono stato fortunato, con la mia famiglia non vivevamo nell'oro, ma il pane non è mai mancato, campavamo ma comunque senza tanti "gadget" odierni (la tv a colori era un lusso e io ho potuto vederla solo nei primi anni '80) e le vacanze erano nella casa in campagna. E io ero tra i "privilegiati"... In compenso a ciò, il mio papà fu minacciato dalle brigate rosse...
Quindi fidati, quello non era davvero un bel periodo.
La crisi economica attuale a cui ti riferisci tu è più mediatica (ed euroburocratica) che altro, e di questo sappiamo chi ringraziare...
 
io nel 70 ci sono nato e comunque qualche strascico lo ho vissuto,ho avuto una nonna bigotta e rinco in casa che se la attaccavo a un trasfo di MT avrei fatto un favore al mondo.

I suicidi c'erano già anche al mio tempo. Dunque uno,due tre se il terzo non era un omicidio (non si sa ancora adesso ed è successo nel 93) tra tutti quelli che ho conosciuto in 51 anni..

I motivi,due per amore e uno perchè si era stufato di vivere in una famiglia di emme.

Adesso come adesso dopo tutte ste chiusure e sti divieti del razzo quello che sta succedendo è il naturale conseguo e chiunque sia apparso in una tv ne è responsabile perchè divertirsi è diventato un reato.

Se veramente esiste un karma e un dopo ci sarà parecchio da ridere...

Per il resto sono convinto che un goccio di rapporti umani in più e un goccio di telefono in meno non può che fare bene
 
E' evidente che sei giovane e non hai vissuto negli anni '70...
Ti posso garantire che in quegli anni la crisi era feroce.
Come ti hanno già detto, le famiglie (moltissime) stentavano letteralmente ad arrivare alla fine del mese, l'inflazione galoppava a ritmi forsennati, e comprare un paio di scarpe era una spesa che poteva essere fatta solo in determinati casi. E nemmeno da tutte le famiglie.
Alla crisi economica poi aggiungi anche i problemi legati agli scioperi continui, che tagliavano ulteriormente gli stipendi e, ciliegina sulla torta, i fatti criminali legati ai cosiddetti "anni di piombo"...
Io sono cresciuto a Genova in quegli anni e ti posso garantire che la situazione era tutt'altro che rosea, ogni giorno, o quasi, c'erano morti, attentati più o meno gravi, sequestri di persona.
Io sono stato fortunato, con la mia famiglia non vivevamo nell'oro, ma il pane non è mai mancato, campavamo ma comunque senza tanti "gadget" odierni (la tv a colori era un lusso e io ho potuto vederla solo nei primi anni '80) e le vacanze erano nella casa in campagna. E io ero tra i "privilegiati"... In compenso a ciò, il mio papà fu minacciato dalle brigate rosse...
Quindi fidati, quello non era davvero un bel periodo.
La crisi economica attuale a cui ti riferisci tu è più mediatica (ed euroburocratica) che altro, e di questo sappiamo chi ringraziare...

Tutto vero, però.... guarda caso, i giovani di oggi (parliamo sempre di famiglie normali, non di famiglie agiate o ricche) se hanno ANCORA qualcosa, ce l'hanno grazie ai genitori che negli anni 70 tiravano la cinghia.
Parliamo di operai che con tanti sacrifici si sono comprati la casa (e magari poi hanno ereditato quella dei genitori, così adesso ne hanno due).... che sono riusciti a far studiare i figli, a comprare una macchina ecc ecc.
Oppure parliamo di piccoli imprenditori partiti con le pile di cambiali da pagare sulla scrivania e che poco alla volta sono riusciti a mettere in piedi una piccola aziendina.
Tutte persone che, nel loro piccolo, si sono realizzate e hanno dato un significato alla loro vita con il lavoro e con i sacrifici.
Adesso i figli di questi operai, piccoli artigiani o imprenditori ecc ecc. è già tanto se trovano un lavoro; e se lo trovano, con gli stipendi da fame che girano, già sanno che non potranno mai fare lo stesso percorso dei genitori.
Nel frattempo il piccolo gruzzoletto di famiglia piano piano si esaurisce.... se hai la casa ci devi pagare le tasse e la devi ristrutturare, se non hai la casa o cerchi di comprarla (e t'impicchi) oppure una volta pagato l'affitto non resta più un gran che.
Io se fossi un ragazzino oggi sarei terrorizzato al pensiero di dove andrò a finire perchè -si sa- non basta essere bravi buoni e cari.
Naturalmente tutto questo non dovrebbe portare al suicidio, ma senza dubbio se penso ai miei tempi da ragazzino e li confronto con i tempi di questi poveri cristi.... beh... io si che me la sono goduta, ma davvero.
 
l'ho detto già prima... per chi non ha preconcetti e non si fa film ritengo fosse anche chiaro, ma tant'è te lo scrivo "in chiaro"

Dare regole chiare e ferme, certo ci sono ragazzi che hanno riconosciuti problemi oggettivi per cui si sa che hanno dei limiti, ma l'importante è che ognuno dia il massimo di quanto può dare e non dirgli sempre bravi bravi anche quando bravi non sono solo perché altrimenti i genitori vengono a frignare che il loro piccolo "genio" ha preso un quattro dal cattivo maestro o proff e questo distrugge la sua autostima!

Nessuno ha parlato di pene corporali o annichilimento di personalità, ma un sano: dai tutto quanto puoi dare, non importa quanto sia ma io mi accorgerò (visto che è il mio lavoro farlo) se è davvero il tuo massimo e ti dirò bravo e te lo riconoscerò.

Ed è in questo modo che si cresce e si matura e si impara a conoscere i propri limiti e magari anche a superarli, con tanto impegno certo ma è così che funziona e non con inutili: "aspetta che te lo faccio io, vedi? Hai capito come devi fare la prossima volta? Ma che bravo che sei, è stato facile vero?" E la volta dopo farglielo di nuovo... E quello quando impara? Quando si impegna? Quando aumenta la propria autostima scoprendo di riuscire ad affrontare e risolvere le difficoltà che incontra?
 
Comunque vorrei tornare sul discorso degli stipendi e della loro riduzione. Magari lo dico anche perché non conosco bene la realtà dei primi anni 2000 essendo giovane, ma ricordo bene che mio padre da operaio riusciva a portare a casa 70 euro al giorno, penso proprio netti (e in effetti sono poco meno di 9 euro all'ora con 8 ore al giorno, praticamente la paga che si aspetterebbe in un paese civile semplicemente). Dopo la crisi del 2008 e attualmente non mi sembra proprio di vedere stipendi del genere, per non parlare di altri settori come quello della ristorazione o degli stage offerti perennemente ai giovani a condizioni vergognose, si parla anche di 1/2 euro all'ora a volte e qualcuno si permette pure di blaterare idiozie sulla "voglia di lavorare" (che poi che sarebbe la voglia? Non si lavora perché si ha voglia di farlo ma per portare la pagnotta a casa direi, ma magari sono io che ho una visione troppo razionale della cosa...) o robe simili, senza nemmeno rendersi conto del contesto attuale. Magari sto sopravvalutando gli effetti della crisi del 2008 ma direi proprio che l'insieme di questa e della deregolamentazione sempre più forte del mercato del lavoro (contratti a progetto, stage gratuiti, abolizione art.18, ecc.), in aggiunta ai pochissimi controlli e al nero diffusissimo in vari ambiti in Italia, hanno creato e stanno continuando a creare una miscela esplosiva. È chiaro che in questo contesto, un giovane che si affaccia al mondo del lavoro può esserne parecchio spaventato e che questo spavento si trasformi poi in sfiducia e alla lunga anche nella comparsa di sintomi depressivi

l'ho detto già prima... per chi non ha preconcetti e non si fa film ritengo fosse anche chiaro, ma tant'è te lo scrivo "in chiaro"

Dare regole chiare e ferme, certo ci sono ragazzi che hanno riconosciuti problemi oggettivi per cui si sa che hanno dei limiti, ma l'importante è che ognuno dia il massimo di quanto può dare e non dirgli sempre bravi bravi anche quando bravi non sono solo perché altrimenti i genitori vengono a frignare che il loro piccolo "genio" ha preso un quattro dal cattivo maestro o proff e questo distrugge la sua autostima!

Nessuno ha parlato di pene corporali o annichilimento di personalità, ma un sano: dai tutto quanto puoi dare, non importa quanto sia ma io mi accorgerò (visto che è il mio lavoro farlo) se è davvero il tuo massimo e ti dirò bravo e te lo riconoscerò.

Ed è in questo modo che si cresce e si matura e si impara a conoscere i propri limiti e magari anche a superarli, con tanto impegno certo ma è così che funziona e non con inutili: "aspetta che te lo faccio io, vedi? Hai capito come devi fare la prossima volta? Ma che bravo che sei, è stato facile vero?" E la volta dopo farglielo di nuovo... E quello quando impara? Quando si impegna? Quando aumenta la propria autostima scoprendo di riuscire ad affrontare e risolvere le difficoltà che incontra?


Ecco, ora mi è più chiaro.... però non trovo che sia parte del "metodo didattico", questo non capivo.

Ma onestamente non credo che in ambito scolastico succeda davvero questo, magari è più probabile che questo tipo di aiuto possa arrivare dai genitori, che a volte come dici si lamentano con gli insegnanti in modo ingiustificato (ma non per questo i docenti li accontentano secondo la mia limitatissima esperienza) ....poi ogni realtà fa testo a sé
 
Il mio spirito liberale mi porta a guardare con serenità il suicidio altrui purché sia una "vera" libera scelta non una scelta indotta da ciarlatani di qualsiasi genere o effetto collaterale di "terapie" (vere o presunte, farmacologiche e non).

Se una persona non sopporta la pena di vivere, chi sono io per dire che sbaglia?

E non dimentichiamo che se ai suicidi aggiungiamo tossici, alcolisti, nichilisti di ogni genere arriviamo ad un buon 15% della popolazione (ma anche di più).

Nella mia visione del mondo i primati (quindi anche i sapiens) competono tra loro per la gerarchia, il cibo e per l'accoppiamento (e gli stili di vita basati sull' empatia in fondo non sono altro che un modo diverso di competere).
Agli sconfitti non resta che scegliere tra l' accettazione o la fuga, in quest' ultimo caso isolandosi dal branco (=società) con tutto ciò che ne consegue. L' incapacità di accettare la propria condizione e l'impossibilità di una fuga può portare a percorrere l'unica via sempre possibile, la fuga dalla vita.




... 2) Determinismo genico. L'opinione pubblica, e quindi i ragazzi, si è convinta che si ciò che si è è dovuto al proprio patrimonio genetico e non a fattori ambientali come invece è la realtà dei fatti. ...

A me sembra invece che la tua posizione ideologica sia la più comune, e che il lassismo dei genitori sia dovuto a mal digerite tecniche educative "moderne" e dal vuoto lasciato dalla donna nella famiglia, avendo il genere femminile giustamente raggiunto il sacrosanto diritto al lavoro mentre la scuola non può surrogare la famiglia nell' educazione personalissima cioè plasmare una personalità, essendo pensata per plasmare (che poi ci riesca è un' altra storia) un cittadino.

Dal mio punto di vista "è ovvio" che la personalità si forma in base all' effetto combinato di attitudini genetiche ed ambiente: un genio cresciuto in un contesto sarà magari uno statista o un importante dirigente, un genio cresciuto in un altro contesto sarà un capo mafioso o un politico corrotto... ma un idiota resterà un idiota in qualsiasi contesto cresca, ed un idiota cresciuto in una famiglia abbiente o da genitori colti farà solo più casini di un idiota cresciuto in condizioni modeste da genitori illetterati.
 
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Ecco, ora mi è più chiaro.... però non trovo che sia parte del "metodo didattico", questo non capivo.

Ma onestamente non credo che in ambito scolastico succeda davvero questo, magari è più probabile che questo tipo di aiuto possa arrivare dai genitori, che a volte come dici si lamentano con gli insegnanti in modo ingiustificato (ma non per questo i docenti li accontentano secondo la mia limitatissima esperienza) ....poi ogni realtà fa testo a sé

ascolta, ho iniziato ad insegnare in scuole superiori nel 1980, siamo nel 2021, posso assicurarti che in 41 anni, questo per me è il 42°, so sin troppo bene quello che è cambiato nella scuola e quello che succedeva prima e che succede ora nella scuola...
 
ascolta, ho iniziato ad insegnare in scuole superiori nel 1980, siamo nel 2021, posso assicurarti che in 41 anni, questo per me è il 42°, so sin troppo bene quello che è cambiato nella scuola e quello che succedeva prima e che succede ora nella scuola...
he ... anche solo il fatto che oggi un insegnante deve fare attenzione a ciò che dice se deve rimproverare un giovane zuzzurellone perché rischia di essere denunciato...

Un tempo se si prendeva un biasimo dall'insegnante i genitori raddoppiavano la dose. :D
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La crisi economica attuale a cui ti riferisci tu è più mediatica (ed euroburocratica) che altro, e di questo sappiamo chi ringraziare...
questo è proprio vero e si appoggia su una serie di falsi bisogni indotti,
ci vendono telefoni da più di 500 euro ....la gente li compera e parla di crisi?
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Tutto vero, però.... guarda caso, i giovani di oggi (parliamo sempre di famiglie normali, non di famiglie agiate o ricche) se hanno ANCORA qualcosa, ce l'hanno grazie ai genitori che negli anni 70 tiravano la cinghia.
Parliamo di operai che con tanti sacrifici si sono comprati la casa ...
Oppure parliamo di piccoli imprenditori partiti con le pile di cambiali da pagare ....
non proprio, secondo me ,
negli anni 70 si è imparato a tirare la cinghia davvero, le famiglie normali aveva una auto e utilitaria ... ma utilitaria davvero mica come oggi.

Quel tirare la cinghia ha dato i frutti negli anni '80 che sono stati un secondo boom del dopoguerra.

Negli anni 80 la crescita degli stipendi batteva l'inflazione e dava rosee prospettive ...eppure c'era comunque chi si suicidava o pensava di farlo.

Certo è diverso negli ultimi 10 anni ...anche 15 che a riuscire a mantenere lo stesso stipendio è già un successo
 
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io nel 87 mi sono fatto un anno di carcere e mi e' servito ad apprezzare (di piu) la liberta' .........
molti giovani non apprezzano troppo quello che hanno...la giovinezza e la liberta' e pure qualche soldino in tasca.........

uscire dall ovatta potrebbe servire ....cerco di farlo pure con i miei figli ma a volte non e' facile stanarli:no:
 
Un tempo se si prendeva un biasimo dall'insegnante i genitori raddoppiavano la dose. :D
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questo è proprio vero e si appoggia su una serie di falsi bisogni indotti,
ci vendono telefoni da più di 500 euro ....la gente li compera e parla di crisi?
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non proprio, secondo me ,
negli anni 70 si è imparato a tirare la cinghia davvero, le famiglie normali aveva una auto e utilitaria ... ma utilitaria davvero mica come oggi.

Quel tirare la cinghia ha dato i frutti negli anni '80 che sono stati un secondo boom del dopoguerra.

Negli anni 80 la crescita degli stipendi batteva l'inflazione e dava rosee prospettive ...eppure c'era comunque chi si suicidava o pensava di farlo.

Certo è diverso negli ultimi 10 anni ...anche 15 che a riuscire a mantenere lo stesso stipendio è già un successo

Non è che voglio convincerti, ci mancherebbe ma negli anni 70 cosa voleva dire tirare la cinghia?
Mangiare poco, vestirsi poco e lavorare tanto?
Avere una sola casa, un utilitaria e magari in inverno dover avere addosso tre maglioni pure in casa?
Va bene.
I bambini però potevano giocare liberi per le strade, fare delle "marachelle" che se le fai oggi ti fucilano... raccogliere un pezzo di panino caduto per terra e mangiarlo pure con le mani sporche.
Io ho 52 anni, la mia famiglia stava abbastanza bene ma non ho fatto cose tanto diverse dai chi stava meno bene di noi... facevo gli stessi giochi di tutti i bambini e avevo sostanzialmente le stesse cose.
Se anche avevo qualcosa di diverso, non è che mi accorgevo se -faccio un esempio- il mio cappotto costava di più o di meno di quello di un altro bambino.

Il fatto è che negli anni 70 non c'erano tutte le maree di cazzate da comprare che ci sono oggi, non c'era quasi nulla di quello che c'è oggi mentre oggi non c'è quasi nulla di quello che c'era allora.

Non è che servivano i soldi per la palestra, per il telefonino, per la crocera, per l'aperitivo, non si andava a fare il weekend, il ponte di natale, quello di pasqua.... non si spendevano 200 euro per uno zaino da trekking o per degli scarponi, ecc ecc ecc.

Chiaramente se vogliamo metterla sul fatto che c'era anche allora chi si suicidava.... allora non capisco il senso di questa discussione.... si è aperto un 3d su una cosa che succede da sempre? Non capisco...

Io se fossi ragazzo oggi avrei davvero un grande timore del domani.... perchè non vedo nulla di bello davanti a noi, ma ho 52 anni ormai e può anche non fregarmene un cavolo di quello che succederà... ma se penso a cosa si pensava ci fosse davanti a quelli della mia età quando avevo 14 anni (anche se poi alla fine le cose vediamo come sono andate) beh.... allora mi viene il magone davvero.
 
Ri-scusate, ri-dico la mia. E' questo un concetto molto solido in me e se fosse sbagliato pregherei di spiegarmi perché.

Collegare l'idea del suicidio a quello del benessere economico è una follia talmente sbagliata, contro natura e ingiusta da farmi schifo!

Non c'è né se né ma...

Un esempio cretino: i terroristi, quelli cattivi cattivi, mi rapiscono e mi dicono: "guarda dobbiamo fare un video che ti decapitiamo, è giusto così, inginocchiati che procediamo" non risponderei disperato che sarei pronto a dargli tutto quello che ho per essere risparmiato. Ma tutto tutto, sognando la vita da barbone perché vita!
Poi la Veneto Banca si frega i risparmi di anche fossero 50 anni di lavoro e prendo in considerazione di suicidarmi...

No, non ci siamo, tutto quello che ha scritto TommasoS lo leggo con interesse e per questo lo ringrazio, ma fare i conti in tasca alle generazioni non è accettabile in un contesto dove si parla di "motivi" per non scegliere di vivere.

Volete una confidenza... se ha 80 (ma anche prima) mi diagnosticassero l'Alzheimer credo che incomincerei ad organizzare l'ascesa (magari invernale) della nord dell'Eiger. Poi come finisce finisce... ma i soldi non c'entrano niente con questa storia.
 
Sensazioni, esperienze personali, ricordi di gioventù e “di quando si stava meglio/peggio”, sono tutte visioni molto personali.

La realtà dei dati è che delle ultime tre generazioni, Gen X (nati tra il 1960 è il 1980), Millennial (nati tra il 1980 e il 2000) e la Gen Z (nati dopo il 2000), i millennial sono quelli che se la passano peggio. Ragazzi oggi a cavallo dei 30 anni, schiacciati dalla crisi economica del 2008, che guadagnano meno dei genitori in un mercato del lavoro precario, senza casa di proprietà (a differenza dei genitori) e molto in difficoltà a costruirsi un futuro/famiglia se non con il supporto dei genitori.

Se prima tra i 20 e i 30 arrivava il lavoro sicuro, la famiglia, i figli, il mutuo per la casa, tutte cose che danno un senso alla vita, oggi un 30enne che va per i 40 ci sta che abbia “meno motivazioni”.

Detto questo, al netto della pandemia, i dati sui trend relativi ai suicidi erano in calo da anni, vedremo s è effettivamente in corso un‘inversione di tendenza.
 
... i millennial sono quelli che se la passano peggio. ...

Forse sono i primi che si devono confrontare con una realtà in cui ciò che conta è ciò che sai fare, sempre che una posizione non te la garantiscano i contatti (e i soldi) di papà.

Purtroppo in una sociatà in cui conta ciò che sai fare è facile scoprire che le cose che sai fare veramente nessuno è disposto a pagarle ed è troppo tardi per inventarsi qualcos' altro.
 
Non è che voglio convincerti, ci mancherebbe ma negli anni 70 cosa voleva dire tirare la cinghia?

I bambini però potevano giocare liberi per le strade, fare delle "marachelle" che se le fai oggi ti fucilano...
No no ... per quello io tornerei molto volentieri agli anni 70 ....
non so nelle città ...ma nei paesi ...anche grandi per i ragazzi c'era la vera libertà...
l'unico obbligo aver fatto i compiti ed essere a cena per le 19.
ed è vero i giochi e i passatempi erano uguali per il mio compagno che viveva in una grande villa come per me in affitto in un piccolo appartamento.
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Collegare l'idea del suicidio a quello del benessere economico è una follia talmente sbagliata, contro natura e ingiusta da farmi schifo!
... ma i soldi non c'entrano niente con questa storia.
sono d'accordo che non centrano in modo diretto, anzi a volte sembra stiano moralmente peggio quelli economicamente più fortunati.

Ma la condizione generale della situazione economica ha sicuramente un impatto,
e oggi la situazione non prospetta ai giovani un futuro entusiasmante.
 
io nel 87 mi sono fatto un anno di carcere e mi e' servito ad apprezzare (di piu) la liberta' .........
molti giovani non apprezzano troppo quello che hanno...la giovinezza e la liberta' e pure qualche soldino in tasca.........

uscire dall ovatta potrebbe servire ....cerco di farlo pure con i miei figli ma a volte non e' facile stanarli:no:

scusa la curiosita', posso chiederti per cosa? (anche in privato)
 
No no ... per quello io tornerei molto volentieri agli anni 70 ....
non so nelle città ...ma nei paesi ...anche grandi per i ragazzi c'era la vera libertà...
l'unico obbligo aver fatto i compiti ed essere a cena per le 19.
.
e oggi la situazione non prospetta ai giovani un futuro entusiasmante.
Esatto! è poi per carità magari andare in giro in bmx con un femboy tuo coetaneo e grosso la metà di te seduto sul tubo centrale e con i piedi sulle pegs davanti non sarà il massimo ma era la LIBERTA' quella vera.

Tornerei indietro anche subito!
 
Come tutti, parlo per me, e continuo a pormi domande.
Non mi rende soltanto triste venire a conoscenza di questi episodi, @walterfishing , ma fa crescere la mia già infinita rabbia. Soltanto due mesi fa, qua, a Pisa, c'è stato un episodio simile. Francesco, 23 anni, studente universitario, scomparso per un solo giorno, è stato trovato carbonizzato poco fuori città, in campagna, dove pure io ero solito andare a camminare. L'ha trovato una ragazza, passeggiando.

Le indagini non si sono ancora concluse, pertanto l'ipotesi dell'omicidio resta possibile, ma se si trattasse veramente di un caso di suicidio, mi chiedo: quali pensieri possono farti soffrire così tanto da spingerti a darti fuoco con le tue stesse mani? Perché morire? Perché nessuno ha potuto aiutare questo ragazzo?

Quando avevo la sua età e facevo l'università, anche io stavo male, prima di mollare gli studi e cominciare il mio percorso terapeutico. Ho pensato spesso al suicidio, a volte l'ho desiderato così intensamente da non riuscire a vedere altro, ma non ho mai commesso alcun gesto che potesse realizzare quel vigliacco desiderio. La morte è inutile e stupida, se si ha la possibilità di lottare. Non sto dicendo che chi decide di togliersi la vita sia stupido: il gesto lo è ed è pure facile, arrendersi ai propri spettri e lasciarsi vincere. Qualcosina a riguardo credo, e spero, di saperla, dopo anni di terapia, ma sono sicuro di un solo fatto: il nemico è la solitudine.

Leggo delle eterne diatribe fra giovani, vecchi, differenze generazionali, benessere economico, libertà e imposizioni... Sono sicuramente fattori di rilievo, argomenti su cui poter discutere per giorni interi senza tuttavia ottenere una sola, unica parola utile a comprendere la sofferenza di chi nella propria mente contempla il suicidio.

Per quello che riesco a vedere coi miei occhi, il problema resta sempre la solitudine. Se c'è una differenza fra il passato recente e il presente, oggi, che abbiamo tutto, troppo e così tanti strumenti per poter comunicare e relazionarsi con gli altri, ci sentiamo sempre più soli. In pochi anni le cose sono cambiate drasticamente: chi si parla più, oggi? Forse, voi "vecchi" cresciuti senza Internet e la televisione sapete cosa significa avere lo sguardo libero dal fiume di immagini che straripa da ogni poro digitale, sapete cosa significhi divertirsi con poco, annoiarsi e godere anche della noia, ma soprattutto avere una conversazione, parlare, stare in silenzio. Guardate che non è una cosa banale: chi nasce e cresce nel frastuono della modernità, fra i rumori del traffico, le continue e ossessionanti informazioni che ci trasmettono ogni secondo, in televisione, in radio, sul web, le inutile valanghe di parole che ci scambiamo per non sentire il fastidio del silenzio, può sviluppare facilmente una concezione patologica del dialogo. Già fra i miei coetanei (sono del '93) è difficile trovare qualcuno che sappia veramente dirti "Come stai?", che sappia tenere una conversazione, che ti sappia parlare con sincerità, e fra questi mi includo pure io, perché la sincerità è un esercizio, una conquista quotidiana. Non si può parlare di "problemi mentali" e fra questi includo la depressione, a meno che non siano presenti lesioni o malformazioni di natura organica, senza parlare di problemi di comunicazione. Di cosa parliamo, ormai? Cosa ci diciamo veramente? Come ci si può sentire legati a qualcuno, perfino a se stessi, se non si è in grado di comunicare sinceramente? Ci raccontiamo storie, piccole o grandi, ogni giorno, storie che si possono depositare come polvere, che si accumula, si consolida, si stratifica e può formare addirittura la roccia, se non si possiedono gli strumenti per rimuoverla, per combatterla. Come si può acquisire il senso di sé, riconoscere se stessi e non sentirsi più soli, nella folla, o nel silenzio della propria stanza, se non si è capaci di dialogare?

Secondo me la solitudine è un problema di comunicazione, e la comunicazione è un fatto sociale che ci riguarda tutti. C'è timore, riserbo e una sorta di "egoismo collettivo", uno scudo mentale che ci difende dal "brutto", dal malessere, dal dolore, soprattutto altrui, se non quando è spettacolarizzato in un talk show, che ci impedisce di affrontare queste tematiche e darci la possibilità di entrare perlomeno in sintonia con chi ne soffre, se non siamo in grado di capirle. Diventa facile abituarsi alle distrazioni che ci vengono proposte e a quelle che scegliamo coscientemente per non sentire il malessere, al "rumore" di sottofondo che ricopre ciò che sentiamo e che magari non ci piace sentire, vuoi perché se ne ha paura, vuoi perché è ancora un taboo parlare di sofferenza. Un adolescente, o giovane adulto, che si toglie la vita non è soltanto il gesto disperato di una persona sofferente: è il fallimento collettivo del modo che abbiamo sviluppato di stare assieme.
 
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