Repubbliche Baltiche 1994
Nei primi anni ’90 scoprii che esisteva un abbonamento ferroviario che comprendeva tutte le Repubbliche Baltiche, fresche di libertà dopo decenni di sanguinoso giogo sovietico.
Così, nell’aprile 1994, chiesi licenza, feci il mio colloquio col maresciallo addetto alle informazioni e sicurezza, che voleva capire cosa andassi a fare da solo da quelle parti, e saltai su un aereo per Varsavia.
E fu una settimana molto invernale indietro nel tempo, fra le capitali di tre paesi (più Varsavia) bellissimi e diversi fra loro, che ancora vivevano in un mondo da iconografia classica comunista.
La Lituania, di stampo polacco
La Lettonia, una bella repubblica russa
L’Estonia, uno stato scandinavo
Un viaggio breve, ma intenso e condito di avventure.
Nel viaggio dalla Lituania alla Lettonia, alle 5,30 del mattino, le guardie di frontiera lituane mi prelevarono dal treno perché non avevo il visto per entrare in Lettonia. Fui condotto in una stanza buia e deprimente e dopo che ebbero confabulato mi dissero di essersi sbagliati. Ma intanto il treno era ripartito. Così fui caricato su una vecchia Lada e con una folle corsa nella notte lituana mi portarono alla stazione successiva, in territorio lettone. Ovviamente tutto ciò senza parlare (solo russo e tedesco) e non sapendo minimamente dove mi stessero conducendo. La gioia durò poco perché appena risalito sul treno, la guardia di frontiera lettone mi fese riscendere perché non avevo il visto. Con me fecero sbarcare anche una russa che aveva dimenticato il passaporto. E con questa Zoja Dianova parlante inglese e che mi sfamò con uova sode, formaggio, lardo affumicato e caffè, trascorsi dieci ore in una sperduta stazione di frontiera di nome Meitene. Al gelo, senza sala d’aspetto e non potendo allontanarci, guardati a vista da due gendarmi mezzo russi di cui uno reduce dell’Afghanistan.
Tornato a Vilnjus per fare il visto, mi accompagnai qualche giorno con Tetsuo, giapponese di Tokio, che girava con una specie di scimitarra da 30 centimetri: per difesa personale, diceva.
All’ostello della capitale lituana, l’ostellante russo come vide Tetsuo, senza neanche salutare, esclamò che le Isole Curili sono russe. E scoppiò una rissa. Poi tutti insieme ordinammo una pizza a mezzanotte passata e Tetsuo preparò un’ottima zuppa giapponese.
Nei primi anni ’90 scoprii che esisteva un abbonamento ferroviario che comprendeva tutte le Repubbliche Baltiche, fresche di libertà dopo decenni di sanguinoso giogo sovietico.
Così, nell’aprile 1994, chiesi licenza, feci il mio colloquio col maresciallo addetto alle informazioni e sicurezza, che voleva capire cosa andassi a fare da solo da quelle parti, e saltai su un aereo per Varsavia.
E fu una settimana molto invernale indietro nel tempo, fra le capitali di tre paesi (più Varsavia) bellissimi e diversi fra loro, che ancora vivevano in un mondo da iconografia classica comunista.
La Lituania, di stampo polacco
La Lettonia, una bella repubblica russa
L’Estonia, uno stato scandinavo
Un viaggio breve, ma intenso e condito di avventure.
Nel viaggio dalla Lituania alla Lettonia, alle 5,30 del mattino, le guardie di frontiera lituane mi prelevarono dal treno perché non avevo il visto per entrare in Lettonia. Fui condotto in una stanza buia e deprimente e dopo che ebbero confabulato mi dissero di essersi sbagliati. Ma intanto il treno era ripartito. Così fui caricato su una vecchia Lada e con una folle corsa nella notte lituana mi portarono alla stazione successiva, in territorio lettone. Ovviamente tutto ciò senza parlare (solo russo e tedesco) e non sapendo minimamente dove mi stessero conducendo. La gioia durò poco perché appena risalito sul treno, la guardia di frontiera lettone mi fese riscendere perché non avevo il visto. Con me fecero sbarcare anche una russa che aveva dimenticato il passaporto. E con questa Zoja Dianova parlante inglese e che mi sfamò con uova sode, formaggio, lardo affumicato e caffè, trascorsi dieci ore in una sperduta stazione di frontiera di nome Meitene. Al gelo, senza sala d’aspetto e non potendo allontanarci, guardati a vista da due gendarmi mezzo russi di cui uno reduce dell’Afghanistan.
Tornato a Vilnjus per fare il visto, mi accompagnai qualche giorno con Tetsuo, giapponese di Tokio, che girava con una specie di scimitarra da 30 centimetri: per difesa personale, diceva.
All’ostello della capitale lituana, l’ostellante russo come vide Tetsuo, senza neanche salutare, esclamò che le Isole Curili sono russe. E scoppiò una rissa. Poi tutti insieme ordinammo una pizza a mezzanotte passata e Tetsuo preparò un’ottima zuppa giapponese.
Allegati
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