Vi posso raccontare la mia esperienza. Non solo conoscevo Enrico (i funerali saranno domani) ma ieri sono andato in solitaria proprio dove è accaduto il fatto (Il Conventillo, sui Monti Lucretili) per un’escursione che avevo in programma da tempo. Non ci ho dormito due giorni: “ma lascia stare… chi te lo fa fare…” E poi figuratevi mia moglie…
Non che m’importi di me, ma tengo famiglia e mi deve importare di lei. E poi mi sembra che noi appassionati di natura – pur magari credenti per tradizione o convinzione – si diventi tutti un po’ animisti, arrivando ad attribuire a oggetti, alberi, rocce una qualche qualità sovrannaturale, soprattutto quando ci troviamo da soli al suo cospetto.
Insomma, ieri poi sono andato e come mi sono trovato da solo nella natura – il mio ambiente – ogni timore è stato fugato, ma non posso negare di non aver avvertito la presenza di Enrico appoggiandomi agli stessi sassi, sfiorando gli stessi tronchi, entrando nelle stesse rovine del convento dove era entrato lui.
Resta la questione delle uscite solitarie che si fanno vieppiù pericolose col passare dell’età; e l’autopsia pare abbia confermato il malore. Ma io adoro le solitarie, un momento di comunione con la natura che l’uscita comune non può dare (dando però la gioia della condivisione). Mi viene in mente quanto Chatwin scriveva nel delizioso libriccino Ritorno in Patagonia (a quattro mano con Paul Theroux), riportando le parole di tale Richard Hudson “L’uomo che finisce la sua corsa cadendo da cavallo, o che viene trascinato via dalla corrente mentre guada un fiume in piena, nella maggior parte dei casi ha trascorso una vita più felice di chi muore di apoplessia in un ufficio o in una sala da pranzo.”
Ecco, quando lessi queste parole nel pieno della giovinezza, ne rimasi avvinto. Se mai mi capiterà un fattaccio e avrò il tempo di dolermene, probabilmente mi pentirò di non essermi dato alla piegatura delle sdraio in spiaggia, ma ora meglio uno zaino in spalla.