Russia 2005
Fin da bimbo Sono stato affascinato da un Paese (ma più un mondo, oserei dire) che Churchill definì “un indovinello avvolto in un mistero all'interno di un enigma”. Gli anni sono trascorsi, i regimi sono caduti e sono tornati, ma della Russia resta tutto il mistero, una sorta di esotico dietro l'angolo, una terra oscura eppure vicina che esercita il fascino tipico delle cose sconosciute.
Ho viaggiato a lungo attraverso i suoi 11 fusi orari, arrivando addirittura a studiarne l’astruso idioma nella speranza di poterne leggere la letteratura in lingua originale. E dopo alcuni viaggi ancora rigidamente irreggimentati in modalità “sovietiche” – con trasporti e alloggi tutti obbligatoriamente prenotati e salatamente pagati per poter ottenere il visto – nel 2005 decisi di viaggiarla finalmente in libertà.
Su suggerimento di un funzionario del consolato russo, acquistai allora per me e mia moglie un visto d’invito. Una sola entrata e uscita, massimo trenta giorni e l’unica formalità di avere una serie continua e senza buchi di timbri delle località dove avremmo dormito. Ma essendomi occupato nei tre anni di militare dei fogli di viaggio dei miei allievi, sapevo ben come fare.
E così caricammo gli zaino e partimmo per la Madre Russia, con solo le prime tre notti prenotate al Rossija (ora demolito), vanto dell’architettura modernista sovietica e famoso per essere stato l’albergo più grande del mondo, con le sue 3.182 stanze. Quando dovevi fare la doccia, prima che arrivasse l’acqua calda dall’unica centrale termica, potevi aprire l’acqua e andare a fare colazione.
E poi da lì via in treno in paesaggi di tundra ed estremo nord, dal Cremlino al Mar di Barents, dalle cupole sinuose alle fitte foreste, attraverso la Carelia, fino ad Arcangelo e Murmansk. Passando anche per le Isole Solovetsky, arcipelago del Mar Bianco utilizzato da Aleksandr Solzhenicyn come paradigma per descrivere l'intero sistema dei campi di lavoro in Arcipelago Gulag. Per finire con una settimana in una San Pietroburgo ricca di storia e di arte molto italiana.
Fu un’immersione nel paesaggio estremamente nordico di una Russia profonda. Fra città di uno sfacelo postcomunista: autobus fatiscenti acquistati usati dai paesi occidentali, palazzi diroccati ma ancora abitati, strade dissestate percorse da numerosi catorci e da poche prepotenti auto di lusso.
Ma anche distese di tundra, solcata da fiumi meandriformi e costellata da una miriade di laghi. E infine le isole, di rara e struggente bellezza: un lembo di Russia perso nel tempo, con le strade tutte sterrate, il mezzo di trasporto tipico il sidecar e l'unico villaggio di 500 anime dominato da un imponente Cremlino in pietra del XVI secolo.
Fin da bimbo Sono stato affascinato da un Paese (ma più un mondo, oserei dire) che Churchill definì “un indovinello avvolto in un mistero all'interno di un enigma”. Gli anni sono trascorsi, i regimi sono caduti e sono tornati, ma della Russia resta tutto il mistero, una sorta di esotico dietro l'angolo, una terra oscura eppure vicina che esercita il fascino tipico delle cose sconosciute.
Ho viaggiato a lungo attraverso i suoi 11 fusi orari, arrivando addirittura a studiarne l’astruso idioma nella speranza di poterne leggere la letteratura in lingua originale. E dopo alcuni viaggi ancora rigidamente irreggimentati in modalità “sovietiche” – con trasporti e alloggi tutti obbligatoriamente prenotati e salatamente pagati per poter ottenere il visto – nel 2005 decisi di viaggiarla finalmente in libertà.
Su suggerimento di un funzionario del consolato russo, acquistai allora per me e mia moglie un visto d’invito. Una sola entrata e uscita, massimo trenta giorni e l’unica formalità di avere una serie continua e senza buchi di timbri delle località dove avremmo dormito. Ma essendomi occupato nei tre anni di militare dei fogli di viaggio dei miei allievi, sapevo ben come fare.
E così caricammo gli zaino e partimmo per la Madre Russia, con solo le prime tre notti prenotate al Rossija (ora demolito), vanto dell’architettura modernista sovietica e famoso per essere stato l’albergo più grande del mondo, con le sue 3.182 stanze. Quando dovevi fare la doccia, prima che arrivasse l’acqua calda dall’unica centrale termica, potevi aprire l’acqua e andare a fare colazione.
E poi da lì via in treno in paesaggi di tundra ed estremo nord, dal Cremlino al Mar di Barents, dalle cupole sinuose alle fitte foreste, attraverso la Carelia, fino ad Arcangelo e Murmansk. Passando anche per le Isole Solovetsky, arcipelago del Mar Bianco utilizzato da Aleksandr Solzhenicyn come paradigma per descrivere l'intero sistema dei campi di lavoro in Arcipelago Gulag. Per finire con una settimana in una San Pietroburgo ricca di storia e di arte molto italiana.
Fu un’immersione nel paesaggio estremamente nordico di una Russia profonda. Fra città di uno sfacelo postcomunista: autobus fatiscenti acquistati usati dai paesi occidentali, palazzi diroccati ma ancora abitati, strade dissestate percorse da numerosi catorci e da poche prepotenti auto di lusso.
Ma anche distese di tundra, solcata da fiumi meandriformi e costellata da una miriade di laghi. E infine le isole, di rara e struggente bellezza: un lembo di Russia perso nel tempo, con le strade tutte sterrate, il mezzo di trasporto tipico il sidecar e l'unico villaggio di 500 anime dominato da un imponente Cremlino in pietra del XVI secolo.
Allegati
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