Viaggio Sì viaggiare… dall’Interrail al Greyhound

Mi sembra che il tema del viaggio – inteso come avventura suprema nella quale si fondono escursionismo, scoperta ed esplorazione – stia riscuotendo un certo interesse.
@walterfishing e @NinjaMargaro ne chiedono ancora, @southrim mi fa un voodoo, @mezcal tira fuori i suoi ricordi.

Soprattutto i viaggi un po’ d’antan, nei quali le immagini esprimono il fascino di un mondo che è molto cambiato e che si poteva viaggiare senza internet, arrivando sul posto senza mai averlo visto prima e senza sapere cosa ci aspettasse.

@MonteBianco si lancia in acute dissertazioni sulle origini e i segni di questo fuoco sacro che pervade alcuni di noi.
Su questo John Steinbeck in Viaggio con Charley scrive parole che identificano perfettamente il fenomeno:
“Quando ero giovane e avevo in corpo la voglia di essere da qualche parte, la gente matura m’assicurava che la maturità avrebbe guarito questa rogna. Quando gli anni mi dissero maturo, fu l’età di mezzo la cura prescritta. Alla mezza età mi garantirono che un’età più avanzata avrebbe calmato la mia febbre. E ora che ho cinquattotto anni sarà forse la vecchiaia a giovarmi. Nulla ha funzionato. Quattro rauchi fischi della sirena di una nave continuano a farmi rizzare i pelo sul collo, e mettermi i piedi in movimento. Il rumore di un aereo a reazione, un motore che si scalda, persino uno sbatter di zoccoli sul selciato suscitano un antico brivido, la bocca secca, le mani roventi, lo stomaco in agitazione sotto la gabbia delle costole. In altre parole, non miglioro. Vagabondo ero, vagabondo resto. Temo che la mia malattia sia incurabile”.

Ma per ognuno di noi quali sono le origini di questo male?
Penso ci sia una predisposizione innata che poi si può manifestare o meno a seconda che intervengano circostanze esterne. Chatwin scriveva: “… la selezione naturale ci ha foggiati – dalla struttura delle cellule cerebrali alla struttura dell'alluce – per una vita di viaggi stagionali a piedi in una torrida distesa di rovi o di deserto”.
Io un primo sentore lo ebbi nel 1980, a 14 anni, con un viaggio in Grecia in IV ginnasio al quale all’ultimo momento per uno sciopero non parteciparono i professori (oggi volerebbero le denunce). Io della Grecia non ricordo nulla, ma ricordo Francesca. Ma qui parliamo di preistoria, basti pensare che a Brindisi a prendere la nave la IV F Liceo Mamiani ci andò col Centoporte!

Volendo quindi risalire alle origini della mia patologia, pongo il 1986 come anno cruciale che mi impedì di scivolare dal crinale verso Riccione (@NinjaMargaro). Con un gruppo di amici del liceo ci mettemmo uno zaino in spalla e partimmo per 4 anni di estati in Interrail culminati con 45 giorni di Greyhound in America.
Avventure libere e folli, vissute con pochi soldi in tasca e pipa in tasca, fatte di troppo alcool, ma anche di solide amicizie, e semplici come un racconto di Bukowski. Si partiva senza una vera meta, senza aver letto neanche una guida (internet non c’era, deo gratias), decidendo giorno per giorno dove andare e dove dormire (soprattutto in treno, per risparmiare). Basti pensare che nel 1988 stavamo andando a Istanbul, ma faceva troppo caldo, voltammo i tacchi e finimmo alle Shetland. E dalle Shetland andai da solo in Romania, dove venni arrestato ed espulso dal paese.

E lo zaino non me lo sono più tolto… ci ho fatto anche il viaggio di nozze.
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Allegati

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Con un gruppo di amici del liceo ci mettemmo uno zaino in spalla e partimmo per 4 anni di estati in Interrail culminati con 45 giorni di Greyhound in America.


Piccolo OT: quando ero in Australia per il viaggio di nozze, avendo perso una coincidenza per arrivare in un posto, ci informammo presso un ufficio che insisteva a dirci che dovevamo prendere il "Greyhound" e noi che non capivamo che cacchio fosse questo "cane grigio"... :wall:

La differenza tra essere viaggiatori esperti come @Montinvisibili e non... :biggrin:
 
Piccolo OT: quando ero in Australia per il viaggio di nozze, avendo perso una coincidenza per arrivare in un posto, ci informammo presso un ufficio che insisteva a dirci che dovevamo prendere il "Greyhound" e noi che non capivamo che cacchio fosse questo "cane grigio"... :wall:

La differenza tra essere viaggiatori esperti come @Montinvisibili e non... :biggrin:
Ecco, appunto, il viaggio di nozze zaino in spalla lo feci in Australia proprio col cane grigio :)
 
Mi sembra che il tema del viaggio – inteso come avventura suprema nella quale si fondono escursionismo, scoperta ed esplorazione – stia riscuotendo un certo interesse.
@walterfishing e @NinjaMargaro ne chiedono ancora, @southrim mi fa un voodoo, @mezcal tira fuori i suoi ricordi.

Soprattutto i viaggi un po’ d’antan, nei quali le immagini esprimono il fascino di un mondo che è molto cambiato e che si poteva viaggiare senza internet, arrivando sul posto senza mai averlo visto prima e senza sapere cosa ci aspettasse.

@MonteBianco si lancia in acute dissertazioni sulle origini e i segni di questo fuoco sacro che pervade alcuni di noi.
Su questo John Steinbeck in Viaggio con Charley scrive parole che identificano perfettamente il fenomeno:
“Quando ero giovane e avevo in corpo la voglia di essere da qualche parte, la gente matura m’assicurava che la maturità avrebbe guarito questa rogna. Quando gli anni mi dissero maturo, fu l’età di mezzo la cura prescritta. Alla mezza età mi garantirono che un’età più avanzata avrebbe calmato la mia febbre. E ora che ho cinquattotto anni sarà forse la vecchiaia a giovarmi. Nulla ha funzionato. Quattro rauchi fischi della sirena di una nave continuano a farmi rizzare i pelo sul collo, e mettermi i piedi in movimento. Il rumore di un aereo a reazione, un motore che si scalda, persino uno sbatter di zoccoli sul selciato suscitano un antico brivido, la bocca secca, le mani roventi, lo stomaco in agitazione sotto la gabbia delle costole. In altre parole, non miglioro. Vagabondo ero, vagabondo resto. Temo che la mia malattia sia incurabile”.

Ma per ognuno di noi quali sono le origini di questo male?
Penso ci sia una predisposizione innata che poi si può manifestare o meno a seconda che intervengano circostanze esterne. Chatwin scriveva: “… la selezione naturale ci ha foggiati – dalla struttura delle cellule cerebrali alla struttura dell'alluce – per una vita di viaggi stagionali a piedi in una torrida distesa di rovi o di deserto”.
Io un primo sentore lo ebbi nel 1980, a 14 anni, con un viaggio in Grecia in IV ginnasio al quale all’ultimo momento per uno sciopero non parteciparono i professori (oggi volerebbero le denunce). Io della Grecia non ricordo nulla, ma ricordo Francesca. Ma qui parliamo di preistoria, basti pensare che a Brindisi a prendere la nave la IV F Liceo Mamiani ci andò col Centoporte!

Volendo quindi risalire alle origini della mia patologia, pongo il 1986 come anno cruciale che mi impedì di scivolare dal crinale verso Riccione (@NinjaMargaro). Con un gruppo di amici del liceo ci mettemmo uno zaino in spalla e partimmo per 4 anni di estati in Interrail culminati con 45 giorni di Greyhound in America.
Avventure libere e folli, vissute con pochi soldi in tasca e pipa in tasca, fatte di troppo alcool, ma anche di solide amicizie, e semplici come un racconto di Bukowski. Si partiva senza una vera meta, senza aver letto neanche una guida (internet non c’era, deo gratias), decidendo giorno per giorno dove andare e dove dormire (soprattutto in treno, per risparmiare). Basti pensare che nel 1988 stavamo andando a Istanbul, ma faceva troppo caldo, voltammo i tacchi e finimmo alle Shetland. E dalle Shetland andai da solo in Romania, dove venni arrestato ed espulso dal paese.

E lo zaino non me lo sono più tolto… ci ho fatto anche il viaggio di nozze.
Vedi l'allegato 241861
Sai adesso cosa faccio? Recupero tutto ciò che ho di foto tra Riccione e Lloret de Mar e te le sparo va!
...va bè va sto zitto che è meglio
 
Rinnovo i miei complimenti.

Onestamente in ambito viaggi non capisco l'astio per alcuni verso internet , o addirittura al gps ,come se avere questi strumenti esclude l'avventura e\o ne abbassa la qualità del viaggio stesso.

Comunque cosa ironica con internet circa ventanni fa avevo scoperto che una delle più fornite librerie di guide\cartografie per viaggi era a 30 km da casa mia :rofl:
 
Rinnovo i miei complimenti.

Onestamente in ambito viaggi non capisco l'astio per alcuni verso internet , o addirittura al gps ,come se avere questi strumenti esclude l'avventura e\o ne abbassa la qualità del viaggio stesso.

Comunque cosa ironica con internet circa ventanni fa avevo scoperto che una delle più fornite librerie di guide\cartografie per viaggi era a 30 km da casa mia :rofl:
Ma no secondo me non è astio, è forse nostalgia.
O anche un modo per dire che stavamo meglio quando stavamo peggio (e chi lo sa).
Per carità io non mi paragono minimamente ad alcuni colleghi del forum, però diciamo che per me a 17 anni uscire dal mio paesino di 1.000 abitanti, prendere il pullman e andare in spagna con 3.200 pesos in tasca è stata una grande emancipazione.
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E ho imparato a farmi i conti in tasca lo stesso perché la prima sera rischiava di essere leggermente sovrabudget
 
Bellissime avventure!
Ora che che ho oltrepasso il 'mezzo del cammino di nostra vita' penso senza dubbio che il treno sia il miglior mezzo di trasporto in assoluto: il più comodo senza dubbio e il più affascinante. Ho girato buona parte del Centro America e del Sud America in Bus, facendo tratte anche di 15-20 ore dove le ginocchia cozzavano ferocemente sul sedile davanti (in Bolivia c'erano ancora i vecchi scuola bus americani), ma ora faccio difficoltà ad affrontare più di tre ore nei comodi bus di oggi.
E l'interrail era un'opportunità incredibile per noi ragazzi e ahimè non ho mai approfittato... magari da pensionato ne approfitterò.
 
Tze, solo Pittsburgh - Los Angeles. Noi facemmo New York - San Diego e non contenti ce ne tornammo indietro fino a Montreal. Praticamente due coast to coast.
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Sai adesso cosa faccio? Recupero tutto ciò che ho di foto tra Riccione e Lloret de Mar e te le sparo va!
...va bè va sto zitto che è meglio
Vabbé, immagino che qualche bella avventura ci sarà stata ;)
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Rinnovo i miei complimenti.

Onestamente in ambito viaggi non capisco l'astio per alcuni verso internet , o addirittura al gps ,come se avere questi strumenti esclude l'avventura e\o ne abbassa la qualità del viaggio stesso.

Comunque cosa ironica con internet circa ventanni fa avevo scoperto che una delle più fornite librerie di guide\cartografie per viaggi era a 30 km da casa mia :rofl:
No no, nessun astio. Come suggerisce giustamente @NinjaMargaro un piccola componente è la nostalgia della gioventù. Ma non tornerei a organizzare neanche le escursioni senza internet, non tornerei alle diapositive anche se mi davano più soddisfazioni e del gps, poi, sono un vero e proprio apologeta.
Solo che ricordo lo stupore di novità di quando si arrivava in un posto, vicino o lontano che fosse, e veramente ne avevi visto solo qualche foto su Airone o Oasis... o addirittura sull'enciclopedia.
Anche lo smartphone, per quando utilissimo, leva un po' di pepe all'avventura. Allora dovevi fare bene i conti per farti bastare i soldi: in Islanda persi sette chili https://www.avventurosamente.it/xf/threads/unislanda-e-non-solo-di-trentanni-fa.56921/#post-1018734) e nel viaggio in Patagonia deviai per il Cile solo perché con i prezzi stratosferici dell'Argentina di quegli anni (la cura monetarista aveva agganciato il Pesos al Dollaro) non sarei arrivato a fine viaggio. Per tacer che i miei mi sentivano solo ogni decina di giorni... e spesso telefonare voleva dire rinunciare a un pasto.
Ora mia moglie va nel pallone perché quando mia figlia esce con gli scout non ci dicono dove vanno e per di più gli levano il telefono--- ma ben venga!
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Bellissime avventure!
Ora che che ho oltrepasso il 'mezzo del cammino di nostra vita' penso senza dubbio che il treno sia il miglior mezzo di trasporto in assoluto: il più comodo senza dubbio e il più affascinante. Ho girato buona parte del Centro America e del Sud America in Bus, facendo tratte anche di 15-20 ore dove le ginocchia cozzavano ferocemente sul sedile davanti (in Bolivia c'erano ancora i vecchi scuola bus americani), ma ora faccio difficoltà ad affrontare più di tre ore nei comodi bus di oggi.
E l'interrail era un'opportunità incredibile per noi ragazzi e ahimè non ho mai approfittato... magari da pensionato ne approfitterò.
Il treno è sopra tutti! E mi ha ricordato i viaggi latinoamericani su quei vecchi scuolabus statunitensi a misura di indio, dove quando scendevo dovevano stirarmi fuori.
Mi permetto d'inserire quanto meditai sul treno anni fa: "Il treno, questo gigante buono che si inserisce lieve nel territorio senza divorarlo e che a differenza delle strade non crea nuclei di antropizzazione se non nelle sue distanziate stazioni. E che esprime tutto il genio della mente umana: le pietre rotolano, i tronchi galleggiano, gli uccelli volano, ma nulla poteva essere copiato a somiglianza di un binario".

P.S. Anche io medito un Interrail familiare in tarda età, ma con intercity, alte velocità, supplementi e soppressione dei treni notturni, temo non sia più così affascinante. Però ci sono diversi abbonamenti nei diversi paesi.
 
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Avventurosamente guadagna dagli acquisti idonei dei prodotti linkati.

Bellissima la tua riflessione sul treno. Negli ultimi tempi lo prendo quasi tutti i weekend per le mie escursioni, la maggior parte in bicicletta.
Impagabili le chiacchierate ad inizio e fino giro con i miei compagni. Qualche volta ci prendiamo delle birre e facciamo il terzo tempo lì, altre volte, nei giri più impegnativi al ritorno si dorme e ci si riposa semplicemente. Ci si può cambiare e lavare nei bagni...insomma una seconda casa.
Quando sono da solo invece mi porto un libro, il viaggio scorre piacevolmente e le due ore e più da Roma ad Avezzano insieme al contorno naturale dei luoghi che attraversa, fanno si che non sia tempo perso...anzi
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"In altre parole, non miglioro. Vagabondo ero, vagabondo resto. Temo che la mia malattia sia incurabile”.

Vorrei cominciare il mio commento da qui, da questa frase che chiude la citazione di Steinbeck, e che credo Montinvisibili di soppiatto si sia fatta forse cucire sul retro del bavero delle giacche, su qualche fazzoletto o magari tatuare (sulla pianta d'un piede, ovviamente :lol:) per quanto immagino se ne senta rappresentato e per quanto, oggettivamente, lo rappresenta anche agli altri.
E già, il termine inquadra da subito una prospettiva: "malattia", o "patologia".

Volendo quindi risalire alle origini della mia patologia

Ma mai ho visto citare proprie "malattie", io che purtroppo me ne intendo, con tanta soddisfazione ed autocompiacimento come dai viaggiatori, ed ancor più dalla loro sotto-categoria che sono i giramondo, anzi i "vagabondi": ed ecco qui l'altro termine che va in coppia. E che intriga anche chi non lo è, suscitando una sottile invidia anche quando, perbenisticamente, il termine "vagabondo" equivale a "sfaticato". D'altro canto non si spiegherebbe perchè il ritornello dei Nomadi sia diventato un cult :
"Io, vagabondo che son io
Vagabondo che non sono altro
Soldi in tasca non ne ho
Ma lassù mi è rimasto Dio
"

Il vagabondo nel pronunciare la propria "malattia" ride sotto i baffi, esercitando un ibrido tra autoironia e falsa modestia, perchè sente il fascino di averla e forse ancor più quello di averla avuta, di esserlo (vagabondo) e forse ancor più di esserlo stato.
Senza rimpianti, anzi, ma tutt'al più nostalgie, un po' come i capelloni brizzolati i quali lungi dal rammaricarsi del grigio son consapevoli di acquisire spesso anche un'aria vissuta ancora più intrigante.
Avvertono tutto il privilegio di poter richiamare, a comando, un po' proprio come fatto da Montinvisibili in questi giorni, ricordi, immagini, sensazioni a profusione come fossero rimembranze di tutti i nettari di cui si son nutriti nella loro vita, più o meno esotici, particolari, ignoti alla massa.
Come potersi sintonizzare per un po' con la mente su un'altra vita (la prima) mentre già se ne sta vivendo una seconda: rivedendo i ricordi davanti in modo vivido, ricreando con essi una propria atmosfera in cui calarsi astraendosi dal presente. Nel far questo il viaggiatore in fondo non avrebbe neanche bisogno di foto, quelle servono per poter rendere un'idea agli altri, non a se stessi. Ho letto pochi giorni fa un commento, ora non ricordo di chi, in cui ancora non si erano sviluppate rullini fotografici di decenni prima semplicemente perchè il ricordo mentale, già quello, era molto meglio: quasi che l'immagine fisica fosse superflua.

Detto questo, un altro punto che mi ha colpito del post di Montinvisibili è questo:
Ma per ognuno di noi quali sono le origini di questo male?
Penso ci sia una predisposizione innata che poi si può manifestare o meno a seconda che intervengano circostanze esterne.

E' un'intuizione che, in realtà, potrebbe trovare dei solidi riscontri nella teoria psicologica, in particolare riguardo al passaggio dal "Falso sè al Vero Sè": anzi, di fatto è un altro modo (inconsapevole) di esporre lo stesso concetto.
In altri termini, tutti nasciamo più o meno "immersi" proprio in quelle "circostanze esterne" che ci impediscono di esprimerci secondo la nostra propria ed irripetibile natura ed autenticità: quella che appunto corrisponde al proprio cosiddetto "Vero Sè". Dopodichè, mentre per alcuni comincia una sorta di viaggio di "riavvicinamento" ad esso, per altri tale viaggio non comincia mai. Ed anche tra chi lo avvia, per alcuni sarà più veloce e per altri meno, per alcuni più completo e per altri solo parziale.
Ecco, a me viene spontaneo immaginare tra i contenuti di quell'umano "Vero Sè" anche, e proprio, quell'istinto a viaggiare esercitato con gli occhi del bambino: la vera e propria necessità di scoprire, di meravigliarsi, di avere e sfogare curiosità. Ed è in questo modo che personalmente mi spiego l'irreversibilità di quella "malattia" descritta da Steinbeck: se ci si riavvicina subito, quanto più precocemente al proprio "Vero Sè", ossia appena raggiunta l'età della ragione, non lo si lascia più. Perchè una volta conosciuto, tutto ciò che fa capo al "Falso" verrà riconosciuto subito come qualcosa di estraneo, vissuto come "non proprio", subendone un rigetto. Io nella frase di Montinvisibili :

E lo zaino non me lo sono più tolto… ci ho fatto anche il viaggio di nozze.

ci leggo questo.

Riporto qui un corposo estratto d'un brano tratto da blog di uno psicoterapeuta di cui riporterò alla fine il link, per chi magari ne sia rimasto interessato e abbia qualche voglia di leggerlo per intero.

"Alcune persone sono a proprio agio con ciò che è stato scelto per loro dagli altri, si trovano bene col proprio Falso Sé e non si pongono nemmeno il problema del proprio Sé o della propria identità. Non ci pensano proprio.
Altre persone, invece, sentono che manca loro qualcosa, sentono il bisogno di ritrovarsi, di
“restituirsi a sé stesse”. (...)

Perché le persone perdono il proprio Vero Sé?
Come detto, ci si può perdere in due modi:

  • Accettando un progetto di vita non proprio (Falso Sé).
  • Respingendo in toto qualsiasi forma di Sé, ossia scegliendo di non avere nessun progetto e di perdersi nella vita (Anti Falso Sé).
D’accordo, ma il lettore più scaltro si sarà accorto che in realtà non ho risposto alla domanda, ho solo descritto “come” ci si perde, non il perché. (...)

Perché le persone perdono il proprio Vero Sé? Perché non siamo “noi stessi”?

L’intera situazione è piuttosto bizzarra, almeno in apparenza. Nasciamo senza un manuale di istruzioni, da genitori privi anch’essi di un manuale di istruzioni, né per gestire sé stessi, né per essere genitori. È inevitabile procedere a tentoni, prendere un pezzo qui e uno lì e finire coll’acquisire un Falso Sé. (...)

"Tutti gli esseri umani posseggono un Vero Sé, un “Bambino Libero” all’interno di sé stessi, quel principio centrale e misterioso in cui sono custoditi i sogni, i desideri e le passioni autentiche di ogni individuo.
Le persone che si trovano lontane o addirittura tagliate fuori dalla propria individuale autenticità, dal proprio Vero Sé, possono soffrire di questa situazione e manifestare i classici sintomi psicologici: ansia, depressione, crisi di rabbia incontrollate, dipendenze comportamentali e da sostanze, atti di autolesionismo o di auto sabotaggio, e così via.
Ma ancora una volta, il lettore più scaltro, avrà notato che continuo ad eludere la domanda: “Perché ci si perde da sé stessi?”. In effetti, non spiego il perché, ma descrivo “come” ciò avvenga. La risposta, in realtà, è che nessuno davvero conosce il perché. Questo smarrimento avviene, è un avvenimento che si ripete con la nascita di ogni essere umano, un fatto universale descritto da psicologi, filosofi, mistici e artisti di ogni epoca".


"In una certa misura, tutti gli esseri umani si allontanano dal proprio Vero Sé, questo l’abbiamo capito: è fisiologico e fa parte del mistero della vita.
Nessuno nasce già conoscendosi, radicato nel suo Vero Sé senza perderlo mai.
Ognuno di noi, all’inizio della propria vita si è “acculturato”, ossia ha assunto i valori della propria cultura e della propria famiglia, e in tal modo si è allontanato da suo Sé. Chi più, chi meno. Qualcuno è stato fortemente spinto a perdersi e a perseguire obiettivi e progetti estranei. Altri, più fortunati, sono cresciuti all’interno di culture poco opprimenti o hanno avuto genitori poco invadenti e più attenti ad assecondare i tratti che hanno liberamente espresso da bambini. Tuttavia, anche questi ultimi hanno dovuto, in una qualche misura, adattarsi all’ambiente e perdere un po’ del contatto con sé stessi.
Ogni essere umano ha il compito di cercare di realizzare la propria autenticità nel corso della propria vita. Se questo compito non ha inizio o si blocca cammin facendo, la persona inizierà – prima o poi – a soffrire. Se, col tempo, questa sofferenza raggiungerà un sufficiente grado di intensità, la persona si sentirà stimolata a mettersi in discussione e a iniziare (o a riprendere) il percorso di “restituire sé a sé stessa”.
Perché? Non si sa. Quello che si osserva è che coltivando il proprio Vero Sé, le persone stanno meglio e sviluppano nuove e maggiori qualità.
".

https://www.adrianostefani.it/articolo-psicologia.php?id_art=90

Nell'articolo viene specificato anche il significato del cosiddetto "Anti Falso Sè", ossia di coloro che "scelgono di non scegliere", di vivere alla giornata, di prendere quel che viene. Non un opposto del "Falso Sè" (che è quello Vero), ma una sorta di semplice alternativa al "Falso Sè" altrettanto dannosa, l'inconcludenza di vita.
Ecco, il punto interessante a mio avviso è che il "vagabondo", nonostante in apparenza possa sembrare rientrante proprio in questo prototipo - vivere alla giornata - in realtà sta agli antipodi. Magari nei suoi viaggi vive alla giornata, sì, non predetermina neppure le sue mete specifiche (e men che meno in modo puntiglioso, alla Furio di "Bianco, Rosso e Verdone", per capirsi), ma questo lo fa appunto nei suoi viaggi, non a casa, non in patria, non nella sua routine ! L'intenzione di uscire da questo recinto è, viceversa, ferrea, stentorea: vivere alla giornata sì, ma non in quella decisa dagli altri ! Vivere alla giornata nella propria giornata, si potrebbe dire: questo è lo spirito del vagabondo.

Infine vengo all'ultimo punto che mi ha colpito, invero non troppo nuovo ma che a mio avviso merita una puntualizzazione, anche perchè va al di là del tema "viaggio" e ne abbraccia uno ancora più vasto.

Onestamente in ambito viaggi non capisco l'astio per alcuni verso internet , o addirittura al gps ,come se avere questi strumenti esclude l'avventura e\o ne abbassa la qualità del viaggio stesso.
Ma no secondo me non è astio, è forse nostalgia.
No no, nessun astio. Come suggerisce giustamente @NinjaMargaro un piccola componente è la nostalgia della gioventù. Ma non tornerei a organizzare neanche le escursioni senza internet, non tornerei alle diapositive anche se mi davano più soddisfazioni e del gps, poi, sono un vero e proprio apologeta.
Solo che ricordo lo stupore di novità di quando si arrivava in un posto, vicino o lontano che fosse, e veramente ne avevi visto solo qualche foto su Airone o Oasis... o addirittura sull'enciclopedia.

Il punto è questo.
Come già accennato da Montinvisibili, il web compie un'operazione fondamentale rispetto a tutto ciò che è "sconosciuto". "Sconosciuto" nel senso più estensivo possibile, che si tratti di luoghi ma, prim'ancora, anche di persone, di oggetti, di qualsiasi cosa: anticipa l'incontro. In questo modo permette valutazioni (anche comparative) senza il rischio della delusione, che il viaggiatore/giramondo/ vagabondo di una volta invece accettava in pieno, talmente più forte era il richiamo a sfidarlo. Un rischio che si potrebbe definire "assoluto" (quello fatto proprio dai bambini : si trona così al "Vero Sè"), mentre il web fa passare al "rischio calcolato", quello dell'adulto.
Ma di contro, viceversa, crea aspettative, quelle che invece prima mancavano.
Oggi, purtroppo, quando si incontra una persona o si visita un posto, li si è già squadrati e vivisezionati in lungo e in largo, ci si è costruiti un'intera immagine mentale che, semplicemente, aspetta di essere confermata. Non esiste più l' "ignoto". E nel passaggio dal virtuale al reale alla fine è sempre molto più alto il rischio di essere smentita in negativo piuttosto che in positivo. Il rischio di delusione uscito dalla porta, rientra dalla finestra...e molto maggiore.
Questo affievolisce ed annacqua moltissima parte di quel "fuoco sacro" di cui parlava Montinvisibili.
Porta alle programmazioni, alle valutazioni, ai confronti, insomma è il modo perfetto per trasformare il viaggiatore in "turista".

Concludo sfidando quindi l'impenitente vagabondo Monti a una sfida da guinness: andare a vedere "con occhi nuovi" (per usare le sue parole) la sua amata Ikea della seconda vita ;):D.
 
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Per me la fai un troppo semplice.

Stessimo discutendo delle ferie di Agosto , la settimana al mare che devi scegliere la spiaggia migliore , o la citta da visitare , ok , ma su viaggi lunghi, che aspettative vuoi crearti ? delusioni su viaggi di mesi e mesi li hai indipendentemente da internet.

Internet è uno strumento, come tutti gli strumenti bisogna saperlo usare .

Poi ripeto, io viaggio in bici senza usare mezzi , quindi vivo in tutt'altro modo il viaggio.

Comunque l'importante è viaggiare, già avere tempo salute e soldi è una vittoria.
 
Vorrei cominciare il mio commento da qui, da questa frase che chiude la citazione di Steinbeck, e che credo Montinvisibili di soppiatto si sia fatta forse cucire sul retro del bavero delle giacche, su qualche fazzoletto o magari tatuare (sulla pianta d'un piede, ovviamente :lol:) per quanto immagino se ne senta rappresentato e per quanto, oggettivamente, lo rappresenta anche agli altri.
E già, il termine inquadra da subito una prospettiva: "malattia", o "patologia".



Ma mai ho visto citare proprie "malattie", io che purtroppo me ne intendo, con tanta soddisfazione ed autocompiacimento come dai viaggiatori, ed ancor più dalla loro sotto-categoria che sono i giramondo, anzi i "vagabondi": ed ecco qui l'altro termine che va in coppia. E che intriga anche chi non lo è, suscitando una sottile invidia anche quando, perbenisticamente, il termine "vagabondo" equivale a "sfaticato". D'altro canto non si spiegherebbe perchè il ritornello dei Nomadi sia diventato un cult :
"Io, vagabondo che son io
Vagabondo che non sono altro
Soldi in tasca non ne ho
Ma lassù mi è rimasto Dio
"

Il vagabondo nel pronunciare la propria "malattia" ride sotto i baffi, esercitando un ibrido tra autoironia e falsa modestia, perchè sente il fascino di averla e forse ancor più quello di averla avuta, di esserlo (vagabondo) e forse ancor più di esserlo stato.
Senza rimpianti, anzi, ma tutt'al più nostalgie, un po' come i capelloni brizzolati i quali lungi dal rammaricarsi del grigio son consapevoli di acquisire spesso anche un'aria vissuta ancora più intrigante.
Avvertono tutto il privilegio di poter richiamare, a comando, un po' proprio come fatto da Montinvisibili in questi giorni, ricordi, immagini, sensazioni a profusione come fossero rimembranze di tutti i nettari di cui si son nutriti nella loro vita, più o meno esotici, particolari, ignoti alla massa.
Come potersi sintonizzare per un po' con la mente su un'altra vita (la prima) mentre già se ne sta vivendo una seconda: rivedendo i ricordi davanti in modo vivido, ricreando con essi una propria atmosfera in cui calarsi astraendosi dal presente. Nel far questo il viaggiatore in fondo non avrebbe neanche bisogno di foto, quelle servono per poter rendere un'idea agli altri, non a se stessi. Ho letto pochi giorni fa un commento, ora non ricordo di chi, in cui ancora non si erano sviluppate rullini fotografici di decenni prima semplicemente perchè il ricordo mentale, già quello, era molto meglio: quasi che l'immagine fisica fosse superflua.

Detto questo, un altro punto che mi ha colpito del post di Montinvisibili è questo:


E' un'intuizione che, in realtà, potrebbe trovare dei solidi riscontri nella teoria psicologica, in particolare riguardo al passaggio dal "Falso sè al Vero Sè": anzi, di fatto è un altro modo (inconsapevole) di esporre lo stesso concetto.
In altri termini, tutti nasciamo più o meno "immersi" proprio in quelle "circostanze esterne" che ci impediscono di esprimerci secondo la nostra propria ed irripetibile natura ed autenticità: quella che appunto corrisponde al proprio cosiddetto "Vero Sè". Dopodichè, mentre per alcuni comincia una sorta di viaggio di "riavvicinamento" ad esso, per altri tale viaggio non comincia mai. Ed anche tra chi lo avvia, per alcuni sarà più veloce e per altri meno, per alcuni più completo e per altri solo parziale.
Ecco, a me viene spontaneo immaginare tra i contenuti di quell'umano "Vero Sè" anche, e proprio, quell'istinto a viaggiare esercitato con gli occhi del bambino: la vera e propria necessità di scoprire, di meravigliarsi, di avere e sfogare curiosità. Ed è in questo modo che personalmente mi spiego l'irreversibilità di quella "malattia" descritta da Steinbeck: se ci si riavvicina subito, quanto più precocemente al proprio "Vero Sè", ossia appena raggiunta l'età della ragione, non lo si lascia più. Perchè una volta conosciuto, tutto ciò che fa capo al "Falso" verrà riconosciuto subito come qualcosa di estraneo, vissuto come "non proprio", subendone un rigetto. Io nella frase di Montinvisibili :



ci leggo questo.

Riporto qui un corposo estratto d'un brano tratto da blog di uno psicoterapeuta di cui riporterò alla fine il link, per chi magari ne sia rimasto interessato e abbia qualche voglia di leggerlo per intero.

"Alcune persone sono a proprio agio con ciò che è stato scelto per loro dagli altri, si trovano bene col proprio Falso Sé e non si pongono nemmeno il problema del proprio Sé o della propria identità. Non ci pensano proprio.
Altre persone, invece, sentono che manca loro qualcosa, sentono il bisogno di ritrovarsi, di
“restituirsi a sé stesse”. (...)

Perché le persone perdono il proprio Vero Sé?
Come detto, ci si può perdere in due modi:

  • Accettando un progetto di vita non proprio (Falso Sé).
  • Respingendo in toto qualsiasi forma di Sé, ossia scegliendo di non avere nessun progetto e di perdersi nella vita (Anti Falso Sé).
D’accordo, ma il lettore più scaltro si sarà accorto che in realtà non ho risposto alla domanda, ho solo descritto “come” ci si perde, non il perché. (...)

Perché le persone perdono il proprio Vero Sé? Perché non siamo “noi stessi”?

L’intera situazione è piuttosto bizzarra, almeno in apparenza. Nasciamo senza un manuale di istruzioni, da genitori privi anch’essi di un manuale di istruzioni, né per gestire sé stessi, né per essere genitori. È inevitabile procedere a tentoni, prendere un pezzo qui e uno lì e finire coll’acquisire un Falso Sé. (...)

"Tutti gli esseri umani posseggono un Vero Sé, un “Bambino Libero” all’interno di sé stessi, quel principio centrale e misterioso in cui sono custoditi i sogni, i desideri e le passioni autentiche di ogni individuo.
Le persone che si trovano lontane o addirittura tagliate fuori dalla propria individuale autenticità, dal proprio Vero Sé, possono soffrire di questa situazione e manifestare i classici sintomi psicologici: ansia, depressione, crisi di rabbia incontrollate, dipendenze comportamentali e da sostanze, atti di autolesionismo o di auto sabotaggio, e così via.
Ma ancora una volta, il lettore più scaltro, avrà notato che continuo ad eludere la domanda: “Perché ci si perde da sé stessi?”. In effetti, non spiego il perché, ma descrivo “come” ciò avvenga. La risposta, in realtà, è che nessuno davvero conosce il perché. Questo smarrimento avviene, è un avvenimento che si ripete con la nascita di ogni essere umano, un fatto universale descritto da psicologi, filosofi, mistici e artisti di ogni epoca".


"In una certa misura, tutti gli esseri umani si allontanano dal proprio Vero Sé, questo l’abbiamo capito: è fisiologico e fa parte del mistero della vita.
Nessuno nasce già conoscendosi, radicato nel suo Vero Sé senza perderlo mai.
Ognuno di noi, all’inizio della propria vita si è “acculturato”, ossia ha assunto i valori della propria cultura e della propria famiglia, e in tal modo si è allontanato da suo Sé. Chi più, chi meno. Qualcuno è stato fortemente spinto a perdersi e a perseguire obiettivi e progetti estranei. Altri, più fortunati, sono cresciuti all’interno di culture poco opprimenti o hanno avuto genitori poco invadenti e più attenti ad assecondare i tratti che hanno liberamente espresso da bambini. Tuttavia, anche questi ultimi hanno dovuto, in una qualche misura, adattarsi all’ambiente e perdere un po’ del contatto con sé stessi.
Ogni essere umano ha il compito di cercare di realizzare la propria autenticità nel corso della propria vita. Se questo compito non ha inizio o si blocca cammin facendo, la persona inizierà – prima o poi – a soffrire. Se, col tempo, questa sofferenza raggiungerà un sufficiente grado di intensità, la persona si sentirà stimolata a mettersi in discussione e a iniziare (o a riprendere) il percorso di “restituire sé a sé stessa”.
Perché? Non si sa. Quello che si osserva è che coltivando il proprio Vero Sé, le persone stanno meglio e sviluppano nuove e maggiori qualità.
".

https://www.adrianostefani.it/articolo-psicologia.php?id_art=90

Nell'articolo viene specificato anche il significato del cosiddetto "Anti Falso Sè", ossia di coloro che "scelgono di non scegliere", di vivere alla giornata, di prendere quel che viene. Non un opposto del "Falso Sè" (che è quello Vero), ma una sorta di semplice alternativa al "Falso Sè" altrettanto dannosa, l'inconcludenza di vita.
Ecco, il punto interessante a mio avviso è che il "vagabondo", nonostante in apparenza possa sembrare rientrante proprio in questo prototipo - vivere alla giornata - in realtà sta agli antipodi. Magari nei suoi viaggi vive alla giornata, sì, non predetermina neppure le sue mete specifiche (e men che meno in modo puntiglioso, alla Furio di "Bianco, Rosso e Verdone", per capirsi), ma questo lo fa appunto nei suoi viaggi, non a casa, non in patria, non nella sua routine ! L'intenzione di uscire da questo recinto è, viceversa, ferrea, stentorea: vivere alla giornata sì, ma non in quella decisa dagli altri ! Vivere alla giornata nella propria giornata, si potrebbe dire: questo è lo spirito del vagabondo.

Infine vengo all'ultimo punto che mi ha colpito, invero non troppo nuovo ma che a mio avviso merita una puntualizzazione, anche perchè va al di là del tema "viaggio" e ne abbraccia uno ancora più vasto.





Il punto è questo.
Come già accennato da Montinvisibili, il web compie un'operazione fondamentale rispetto a tutto ciò che è "sconosciuto". "Sconosciuto" nel senso più estensivo possibile, che si tratti di luoghi ma, prim'ancora, anche di persone, di oggetti, di qualsiasi cosa: anticipa l'incontro. In questo modo permette valutazioni (anche comparative) senza il rischio della delusione, che il viaggiatore/giramondo/ vagabondo di una volta invece accettava in pieno, talmente più forte era il richiamo a sfidarlo. Un rischio che si potrebbe definire "assoluto" (quello fatto proprio dai bambini : si trona così al "Vero Sè"), mentre il web fa passare al "rischio calcolato", quello dell'adulto.
Ma di contro, viceversa, crea aspettative, quelle che invece prima mancavano.
Oggi, purtroppo, quando si incontra una persona o si visita un posto, li si è già squadrati e vivisezionati in lungo e in largo, ci si è costruiti un'intera immagine mentale che, semplicemente, aspetta di essere confermata. Non esiste più l' "ignoto". E nel passaggio dal virtuale al reale alla fine è sempre molto più alto il rischio di essere smentita in negativo piuttosto che in positivo. Il rischio di delusione uscito dalla porta, rientra dalla finestra...e molto maggiore.
Questo affievolisce ed annacqua moltissima parte di quel "fuoco sacro" di cui parlava Montinvisibili.
Porta alle programmazioni, alle valutazioni, ai confronti, insomma è il modo perfetto per trasformare il viaggiatore in "turista".

Concludo sfidando quindi l'impenitente vagabondo Monti a una sfida da guinness: andare a vedere "con occhi nuovi" (per usare le sue parole) la sua amata Ikea della seconda vita ;):D.
Orrore e raccapriccio solo a sentir citare l'abominio scandinavo che tedia le mie domeniche in una sorta di contrappasso muliebre alla scappatella sabatina sui sentieri che mi sono concesso. Anche se, a onor del vero, sono mesi che non vi vengo costretto.

Ho letto con interesse le tue riflessioni che in gran parte condivido e sulle quali si potrebbe discutere per ore. Mi ha colpito la teoria del Vero e Falso Sè. Io tendo molto verso il lato vero e mia moglie tende a riportarmi sul falso.

Riguardo al ricordo e alla condivisione del ricordo dei vagabondaggi, divenuti nel tempo per diverse circostanze ma senza rammarico sempre più escursionistici, mi sovviene la frase di George Orwell: Questi ricordi saranno un buon pascolo per la mia mente.
 
Per me la fai un troppo semplice.

Stessimo discutendo delle ferie di Agosto , la settimana al mare che devi scegliere la spiaggia migliore , o la citta da visitare , ok , ma su viaggi lunghi, che aspettative vuoi crearti ? delusioni su viaggi di mesi e mesi li hai indipendentemente da internet.

Internet è uno strumento, come tutti gli strumenti bisogna saperlo usare .

Poi ripeto, io viaggio in bici senza usare mezzi , quindi vivo in tutt'altro modo il viaggio.

Comunque l'importante è viaggiare, già avere tempo salute e soldi è una vittoria.
Beh, l'effetto del "già visto" creato da Internet lo ha sottolineato all'inizio proprio Montinvisibili, io ho solo ribadito e rafforzato il concetto:
un mondo che è molto cambiato e che si poteva viaggiare senza internet, arrivando sul posto senza mai averlo visto prima e senza sapere cosa ci aspettasse

Circa l' "avere tempo, salute e soldi" lo credo bene che sia una vittoria, ma secondo te quanti sono quelli che possono vantarla disponendo dell'intero trittico ?
Lo conosci quel famoso detto secondo cui da giovani si hanno salute e tempo ma non i soldi; alla mezza età la salute e i soldi ma non il tempo ; e da vecchi i soldi e il tempo, ma non la salute.
E questo è già il caso normale. Non parliamo poi di quando, anzichè una alla volta, mancano due cose insieme; oppure quando mancano a un'altra persona che può contare solo su di te.

Quindi "tempo, salute e soldi" è un insieme fortunatissimo, che tra l'altro fatico a capire come possa realizzarsi (se uno ha il tempo, come fa ad avere pure i soldi ?: a meno di chiederli, ma è proprio per questo che io non sopporto chi lo fa, i soldi si danno a chi ne necessita davvero, non per far divertire a scrocco qualcuno che già dispone di quella gran fortuna che è la salute, oltre che del tempo).
 
@MonteBianco
Se a 53 anni non hai capito come fare quadrare tempo salute soldi, e a non leggere compulsivamente ogni report di viaggio che trovi sul web, l'unica cosa che posso dirti è : auguri .

Basta averli di famiglia !
Mah, l'ultimo viaggio "lungo" è stato caponord, ho speso in due mesi e mezzo 700 euro (dei quali 100 euro in ricambi e 80 in traghetti) , se questo per noi occidentali, è essere ricco di famiglia, ok sono ricco di famiglia :D


Con sta storia dell'internet ,mi fate ricordare uno sketch tra due amici :

"con internet pure a masturbarmi mi annoio"
"come ti annoi?"
"eh si, ci sono trecento generi , salto da uno all'altro,scorro la parte del video iniziale ,cavolo è un porno potrebbero fare a meno di vestirsi, poi mi stufo e vado a letto"
"eh si, brutta roba l'internet"
 
Beh, l'effetto del "già visto" creato da Internet lo ha sottolineato all'inizio proprio Montinvisibili, io ho solo ribadito e rafforzato il concetto:


Circa l' "avere tempo, salute e soldi" lo credo bene che sia una vittoria, ma secondo te quanti sono quelli che possono vantarla disponendo dell'intero trittico ?
Lo conosci quel famoso detto secondo cui da giovani si hanno salute e tempo ma non i soldi; alla mezza età la salute e i soldi ma non il tempo ; e da vecchi i soldi e il tempo, ma non la salute.
E questo è già il caso normale. Non parliamo poi di quando, anzichè una alla volta, mancano due cose insieme; oppure quando mancano a un'altra persona che può contare solo su di te.

Quindi "tempo, salute e soldi" è un insieme fortunatissimo, che tra l'altro fatico a capire come possa realizzarsi (se uno ha il tempo, come fa ad avere pure i soldi ?: a meno di chiederli, ma è proprio per questo che io non sopporto chi lo fa, i soldi si danno a chi ne necessita davvero, non per far divertire a scrocco qualcuno che già dispone di quella gran fortuna che è la salute, oltre che del tempo).

solo a me capita che vedo posti su internet, li studio su maps e street view, e mi viene voglia di andarci??? e che, grazie alla mia add, mentre ci sto arrivando di solito manco mi ricordo perche' ci sto andando??? o, spesso, cambio proprio itinerario in corsa e finisco altrove o faccio altre cose

tempo salute soldi... e familiari e parenti che non rompano le balle, anche.
 
Lasciando perdere la salute - nella quale entrano in gran parte la genetica, il caso e anche l’amor proprio - l’esperienza di tanti anni (purtroppo) mi ha insegnato che tempo è denaro sono vasi comunicanti e per i comuni mortali quando cresce uno, diminuisce l’altro.

Ma qui vale quanto scriveva Ezra Pound: “Io so, non per teoria ma per esperienza, che si può vivere infinitamente meglio con pochissimi soldi e un sacco di tempo libero, che non con più soldi e meno tempo. Il tempo non è moneta, ma è quasi tutto il resto”.

Bisogna anche dire che i viaggi qui citati si sono svolti con pochissimi soldi in tasca. Facevo lavoretti durante l’inverno e poi per gli Interrail siamo intorno al milione di lire della metà degli anni ottanta (1.200 degli attuali rivalutati euro) per un mese di viaggio (e 285.000 erano il biglietto del treno) e per il Greyhound 2.300.000 lire o 2.800 rivalutati euro (e 900.000 lire erano il volo JAT Roma-Belgrado New York).

La riduzione del numero dei viaggi (arrivavo a farne 4 in un anno) non è imputabile solo a una questione economica (anche se ora ogni spesa va moltiplicata per 3, escluso il cane) ma anche a un affastellamento d’impegni, al lavoro, ai genitori che invecchiano, ai figli che crescono. E le escursioni per me divengono una soddisfazione vissuta spesso proprio come un viaggio.
 
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