Devo obiettivamente e sinceramente dire che non mi sarei aspettato che il thread prendesse questa piega, trasformandosi da subito (e questo in particolare grazie a Giulio (
@GiulioSherpa) anche in una riflessione sugli scout a 360°.
Spesso il prototipo della condivisione via web oggi è improntata alla dittatura della velocità, della concisione, della telegraficità dei messaggi che spesso li rende privi di sostanza: qui, invece, la prima cosa che risalta sono le moltissime risposte lunghe, articolate, meditate, ragionate, anche accorate. Cosa di per sè rara in un forum, e ancor più rara constatarle così concentrate in un unico thread, a poca distanza l'una dall'altra. Già solo questo aspetto così controcorrente, secondo me, dimostra proprio lo "spirito scout": e come esso aleggiasse in pieno sulla discussione che li riguardava, nonostante tutto.
Il confronto ha visto la demarcazione tra i fronti di chi è stato scout e chi (io tra questi) no: mentre per i primi la propria esperienza - più o meno recente o antica - è stato terreno fertile per una testimonianza "da dentro" (basata spesso su aneddotica, ricordi, su frequentazioni passate o anche ancora attuali), i secondi hanno potuto esprimere tutti i vantaggi dell'osservazione esterna, scevra quindi da preconcetti di appartenenza, ma allo stesso tempo supportata da un tangibile interesse ed attrazione per quel mondo.
La mia impressione è che alla fine tutti o quasi ne abbiano preso le difese, molti persino inconsciamente, lasciandolo trasparire dalle righe. Eloquente, in tal senso, chi ha affermato di aver intenzione di far entrare negli scout i propri figli pur non essendolo mai stato lui.
Questa forma di simpatia di fondo è emersa nonostante l'increscioso episodio che sembrava invece confezionato apposta per discreditarne l'immagine e la sostanza; anche in coloro che hanno sottolineato l'equivoco di fondo degli scout (credersi capaci e competenti in qualcosa dove non lo sono e che può rivelarsi pericoloso) tutto sommato il tono di fondo è stato bonario e non di palese censura.
Sembra quasi avvertito che gli scout siano depositari di qualcosa che va al di là del perimetro delle loro mere attività materiali (hiking, route, campi e quant'altro), e che oggi andrebbe tutelato come non mai, perchè manca.
Dico la mia.
A mio avviso l'elemento centrale è una doppia intuizione di Baden Powell.
La prima è che la Natura sia di fatto una metafora della Vita, in tutte le sue sfaccettature. Una metafora estremamente concentrata nel tempo e nello spazio, e dunque il perfetto terreno di gioco in grado di rappresentarla. Andare in natura è, in un certo senso, come andare ad affrontare la vita: perchè essa è in grado di dispensare - in varie combinazioni e in modo imprevedibile - tutti i sentimenti che un essere umano, prima o poi, e più volte, incontrerà nella vita: la gioia, la curiosità, la scoperta, la commozione, la soddisfazione, la fatica, l'imprevisto, la difficoltà, l'indecisione, i dubbi, la paura. O per meglio dire, tutti i sentimenti "costruttivi": perchè quelli distruttivi - la noia, la rabbia, l'apatia, la delusione - è pressochè impossibile che ne facciano parte.
Per di più, questi sentimenti, situazioni e stati d'animo vengono rappresentati con una concentrazione e frequenza estremamente maggiori rispetto a quanto potrebbe accadere dentro la quotidianità piatta e stereotipata di una vita condotta fuori da essa, negli ambienti artificiali a cui la modernità ci costringe: andare in natura è come vedere un film con una moviola accelerata. "
In ogni passeggiata nella natura si trova molto più di ciò che si cerca" (John Muir).
Ad esempio, proprio un episodio come questo dimostra come il pericolo (ma attenzione: con esso anche la necessità di saperlo affrontare) sia dietro l'angolo, cosa che nella quotidianità accadrebbe una volta ogni morte di papa. In sostanza, anche facendo un viaggio in macchina saremmo esposti al pericolo o all'imprevisto, ma in misura statisticamente molto minore rispetto a quanto potrebbe avvenire in un'escursione.
Eppure il pericolo insito nella Natura - quantunque maggiore dal punto di vista probabilistico-quantitativo rispetto a quello degli ambienti artificiali imperniati sulla sicurezza spinta, è un tipo di pericolo "qualitativamente" diverso: obbliga a intuirlo in anticipo, a prendere le opportune precauzioni, a saperlo affrontare, obbliga soprattutto a pensare e a dover prendere decisioni. Qualcosa dunque di abissalmente diverso rispetto al pericolo dell'ambiente artificiale, ad esempio l'incidente stradale che è una pura sequenza meccanica totalmente "subìta" e non "vissuta", che si risolve in un attimo con un esito meramente binario: morendo o sopravvivendo.
In parole povere, troviamo rappresentati due forme antitetiche di pericolo: quello fecondo, istruttivo, valutabile, affrontabile; e quello sterile, fine a se stesso, puramente fatalistico.
In questo senso faccio mie le parole di
@rubendan - di cui riporto uno stralcio - se non nella parte in cui parla di "il bello e
il brutto della natura", visto che - per questo detto - siamo forse abituati a considerare in modo un po' superficiale il "brutto", mettendolo qualitativamente sullo stesso piano, confondendo il brutto costruttivo e quello sterile o addirittura distruttivo.
Dato questo mio background trovo veramente difficile puntare il dito verso qualcuno che a proprie spese, usando il proprio tempo e energie cerca di togliere dei ragazzi dagli smartphone e di dargli un'idea di cosa sia veramente la vita.
Se fai parte di un gruppo che va in montagna. o in qualsiasi altra parte che non sia un residence o un villaggio turistico devi per forza mettere in conto qualche imprevisto.
Se sei un genitore non puoi pensare di lasciare tuo figlio lontano dai rischi fino a che tu te ne andrai, è meglio che ne incontri qualcuno e ci faccia fronte, in modo che poi quando sarà da solo sarà preparato.
E' più dannoso un genitore che lascia il figlio full time immerso nei "social media" a scambiare foto e filmati o a giocare con gli "sparatutto"o uno che fa apprezzare il bello e il brutto della Natura?
Facile accusare di leggerezza i capi che hanno portato i ragazzi al freddo ma nessuno invece accusa di leggerezza i genitori che lasciano i figli a ciondolare su tik tok fino a diventare delle amebe.
Il discorso appena fatto ne esce poi rafforzato considerando che, per di più, anche sul piano puramente statistico, i contesti, i sentimenti e le situazioni positive si rivelano regolarmente essere - in proporzione - molto più frequenti. In poche parole, andando in Natura c'è un forte possibilità di star meglio; e una probabilità estremamente più piccola di star peggio: e comunque, anche in questo caso sfortunato, il "peggio" costituirà in ogni un'occasione di crescita personale.
La Natura, pertanto, è come se offrisse una rappresentazione della vita molto più intensa, dai colori molto più saturi, e nel far questo
rende molto più vivi, scuote dal torpore. Se solo pensiamo al caso estremo, quello degli alpinisti che affrontano consapevolmente persino il rischio della morte - calcolato ma allo stesso tempo ineliminabile - forse si può intuire questo concetto, del resto efficacemente riassunto dal noto aforisma di Paulo Coelho: "
se pensi che l'abitudine sia pericolosa, prova la routine: è letale" che, a pensarci bene, potrebbe rappresentare un vero e proprio movente di fondo della filosofia scout. Dunque, già solo su questo, l'idea fondante scout è che con la Natura ci si possa solo guadagnare, mai perdere.
Accanto all'idea di aver individuato il campo di gioco, Baden Powell affianca quella dell'aver individuato il "modo per giocare" e il "quando giocare", ossia a quale età.
Il modo di giocare è riassunto nel concetto (teorico e pratico) dello "stile di vita", che descrive in tutto e per tutto l'individuo sociale. Il problem solving, il saper far squadra, la ripartizione dei compiti, lo spirito di servizio, la gratuità, l'essenzialità. In poche parole, tutto è centrato sull'idea di prossimo e di mondo (inteso come ambiente naturale e ambiente umano, società) , contrapposta ed antitetica a quella dominante dell'individualismo, dell'azione e del vantaggio personale. Fateci caso: provate solo a intuire, immaginare, come sarebbe il mondo se ognuno aderisse in cuor proprio a questo stile, mettendoci tutto il cuore, la mente e l'impegno necessario. Produrrebbe una trasformazione gigantesca. E invece sono proprio i valori più negletti, più trascurati, più avversati.
per cui è anche vero che mai Baden Powell ha voluto puntare sulla sopravvivenza in senso stretto nel suo programma educativo, espresso nel libro Scoutismo per ragazzi, che invito tutti a leggere, dove si chiarisce molto bene che si parte dalla semplice vita all'aria aperta per trarne utili insegnamenti atti a trasformare un ragazzo in bravo cittadino.
Non esperto di sopravvivenza o soldato di ventura.
Semmai i punti focali dello scoutismo mondiale (per l'età dagli 11 ai 16 anni) oggi sono il trapperismo e camperismo, come nel libro del buon Mercanti, e la parola d'ordine è AVVENTURA..
E' vero che possiamo affidarci ad uno scout perchè sappiamo che può meritare fiducia, per la sua formazione ed il suo percorso, però non possiamo pretendere che sia un soggetto addestrato e competente in tutto. Sappiamo solo che in ogni cosa che farà ci metterà sempre il "proprio meglio" e cercherà di lasciare il mondo "migliore di come lo ha trovato", con le proprie competenze e le proprie capacità.
Questo è il principio educativo degli scout, il resto - purtroppo - è frutto di luoghi comuni dettati dall'ignoranza (nel senso di non conoscere il mondo scout).
Ma a rendere ancora più rivoluzionario il "modo di giocare" è l'altro aspetto dell'intuizione di Baden Powell, l'età a cui lo si gioca. Si comincia da bambini, si fa la solenne "promessa" appena si giunge all'età della ragione e si continua fino a quando si è giovanissimi adulti, per poi a quel punto inoltrarsi nel mare della vita, che si sarà pronti ad affrontare come "la più grande delle avventure". Non è un caso: quella è l'unica età umana in cui si può battere il ferro perchè è ancora caldo, ossia si può veramente restare plasmati da quello stile di vita, fino a far sì che diventi un abito destinato a non togliersi mai più, anche quando si cesserà la divisa esteriore:
semel scout, semper scout il motto che riassume nel migliore dei modi questo concetto. Non a caso testimoniato da
@GiulioSherpa, che usa un aggettivo eloquente : "impressionante". Come lo sono tutte le cose pressochè uniche.
Vi devo dire una cosa, in termini di spirito scout e di formazione, e di quanto sia impressionante quello che rimane dopo essere stato scout.
Ho viaggiato (e tutt'ora viaggio) molto e con gruppi, dovunque nel mondo: quando arrivo all'areoporto e incontro i miei nuovi compagni di viaggio, se ci sono ex scout sono molto pù rilassato e consapevole che avrò un aiuto in più, per qualunque cosa, anche solo morale, per effetto dello "spirito di corpo" che ci segue anche dopo aver terminato il cammino. E questo regolarmente succede.
E' una cosa che non ho mai trovato da nessuna altra parte, sodalizio o associazione che sia.
La mescolanza di queste idee o intuizioni si trasforma allora in un vero progetto educativo.
Che non a caso risulta fortemente attrattivo anche (e forse ancor di più) in chi scout non lo è o cui addirittura gli scout non stanno neppure troppo simpatici , potendo quindi percepire da fuori tutte quelle differenze - di sostanza e non epidermiche baste sul felling - a cui magari da dentro ci si è invece abituati:
Non sono mai stato scout ma ho conosciuto il mondo scout sin da bambino e mi ci sono confrontato e tutt'ora episodicamente ho a che fare con loro, proprio per qualche lezione di formazione che facciamo ai loro più anziani.
Gli scout sono un gruppo che educa ad una vita all'aria aperta (proponendo passeggiate e campi in tenda), allo spirito di adattamento, al volontariato, alla correttezza, all'altruismo ed allo spirito civico, il tutto in una cornice cristiana, almeno nel caso dell'Agesci, che è l'associazione scout assolutamente maggioritaria.
Nell'ambito di questo, mi hanno sempre detto, si spiega anche l'uso dei pantaloni corti in pieno inverno: si abituano i ragazzini a sopportare un po' di disagio, ad uscire dalle comodità della vita domestica.
Quella degli scout è quindi una bellissima attività educativa!
Non sono mai stato un fan degli scout, in generale. Io facevo le stesse cose senza bisogno di essere negli scout, certo sono stato fortunato che la mia famiglia avesse la casa in montagna e avesse la possibilità di stare per 3 mesi ogni anno lì a vivere in maniera molto "semplice".
Detto ciò quando conobbi quella che ora è mia moglie, entrai in contatto diretto con il mondo scout. Quasi tutta la sua famiglia (i giovani non i genitori) erano stati o erano scout. Devo ammettere che (a parte alcune piccole cose) era un ambiente decisamente positivo. Lo scopo degli scout, cosa che io pensavo a causa di ragionamenti miei, non è quello di formare i ragazzi ad andare "in montagna" ma la montagna è solo uno dei luoghi in cui vanno a fare le loro attività. Vanno anche al mare, vanno in viaggio, vanno a camminare, vanno in bici. Nessuno è un esperto ciclista per cui magari i ragazzi tornano da 3 giorni in bici devastati... beh alla fine gli fa bene. Perché al giorno d'oggi è davvero difficile trovare dei "passatempi" che siano formativi ad avere a che fare con difficoltà e situazioni in cui sei si uno ma sei anche un gruppo con le sue dinamiche.
Una cosa l'ho notata, conoscendo praticamente tutto il gruppo compresi i capi. Sono persone come tutti, ma ci mettono davvero molto impegno e, tranne davvero rarissimi casi (chebpoi vengono anche gestiti internamente) sono responsabili e hanno sempre la capacità di prendere decisioni in maniera responsabile che vi assicuro, ad oggi è davvero una rarità.
Anche la dichiarazione postata da paiolo dimostra che la situazione (imprevista perché dava pioggia e non neve,grandine e vento a 100kmh) è stata gestita bene chiamando i soccorsi quando ci si è resi conto che la situazione era non più gestibile da loro.
Per me, e lo dico da padre che no ha mai amato gli scout, penso che ci manderò mio figlio.
E questa vi assicuro è un'affermazione forte per uno come me.
E allora qui c'è lo snodo decisivo che porta a mio avviso a giustificare ampiamente agli scout - o comunque a trattare in modo comprensivo e bonario - quegli stessi comportamenti che invece ci si trova spesso a criticare senza se e senza ma in chi non lo è.
Perchè sì, è vero, sembrerebbe quasi che a parità di colpe o di "delitto di superficialità", si adottino due pesi e due misure.
Gli scout sono animati da grande passione ed vivono in un clima di amicizia e divertimento che è bellissimo, trasmette sicuramente entusiasmo; hanno molta voglia di fare e quindi sono anche tendenzialmente pieni di spirito di iniziativa.
Tuttavia, mediamente, non hanno esperienza di montagna e, quando ce l'hanno, si tratta di escursionismo estivo semplice.
Questa carenza di formazione a volte li porta a sbagliare, ma l'immagine di "persone che giocano all'avventura" rende un po' grotteschi gli incidenti che creano.
In realtà, anche questo punto sottile è stato colto nella discussione (a dimostrazione della sua qualità).
Un progetto educativo, per essere tale ed anzi per non smentire se stesso nelle fondamenta, deve essere necessariamente inclusivo. Al riguardo riporto qui questo passaggio di
@Herr :
Per questo, di fatto, il grosso dell'attività degli scout è sognare la natura e l'avventura, raccontarsela e imparare un paio di nodi col cordino; per il resto però, oltre a fare semplici passeggiate ogni tanto, la dominante attività è invece molto sano volontariato, vita sociale ed attività di gruppo. Inoltre, gli scout vogliono essere inclusivi anche da un punto di vista fisico: non sono selettivi come può esserlo uno sport agonistico, non se ne fa una questione di prestanza fisica, quindi includono tutti e non è un problema se uno è cicciottello, goffo e imbranato, magro sfinito, etc. Ci sono anche capi così.
E va bene, sia chiaro! Perchè non stiamo parlando di HitlerJugend, Marines, Berretti Verdi o simili, nè di un gruppo di atletica del Coni, nè infine di un gruppo di alpinismo giovanile del CAI.
Come dice Giulio (v. passaggio successivo), si accettano anche i disabili. E questo rappresenta a mio avviso un bene, persino un'evoluzione positiva rispetto all'impostazione originaria di Baden Powell che, per quanto lungimirante e moderna, è stata pur sempre formulata in tutt'altra epoca. Oggi esistono strumenti come la Joelette (carrozzine per consentire di far andare in montagna anche i disabili) ed esistono associazioni di volontariato che le conducono, qualcosa di impensabile fino a neppure qualche anno fa, quando una persona in carrozzella era concepita con la massima naturalezza come "condannata" a non poter vivere la Natura.
L'inclusività è un pilastro di un progetto educativo, non può esistere un'educazione "selettiva", sarebbe un controsenso, un ossimoro.
Oggi la Natura è vista, di volta in volta, come una palestra, o come un luogo di mero svago, dando luogo a impostazioni di tipo puramente prestazionale, ludico, salutistico, e chi più ne ha più ne metta: tutte sideralmente distanti da un'impostazione integralmente e-du-ca-ti-va come quella scout. Sta qui la differenza sostanziale. E' chiaro che un gruppo al soldo di una guida escursionistica mai e poi mai si sarebbe trovato nelle condizioni di quei ragazzi, ma quello è il mero acquisto di un servizio ricreativo, cosa c'entra con l'educazione ?
Se gli scout vanno "controcorrente" rispetto ai dettami generali, è anche comprensibile che la loro stessa capacità di resistere e non subire "brecce" di fronte a un'onda d'urto opposta sempre più potente possa rivelarsi sempre più difficoltosa. Nessuna educazione è taumaturgica.
Ed ha ragione ancora @Herr quando dice che non si può essere selettivi: non esiste un "concorso" o una selezione psicofisica e attitudinale per entrare negli scout, si prendono tutti. Anche i disabili. E' un segno del cambiamento, e BP non poteva immaginarlo, ovviamente.
Lui aveva creato gli scout per ragazzi sani e robusti, in un certo senso è stato molto più discriminatorio che noi oggi.
Eppure quando qualcuno di noi propone loro attività outdoor, anche spinte (come il nostro "bushcraft" oppure arrampicata o escursionismo "serio") ci stanno e ci danno carta bianca. e i ragazzi partecipano con piacere, perchè, come sapete meglio di me, la natura ce l'abbiamo comunque dentro e per fortuna a volte viene fuori e ci fa piacere ritornarci, anche perchè nella natura non ci sono scappatoie ed ognuno deve tirare fuori il meglio di sè (un pò come il mito del buon selvaggio di Rousseau).
Quindi non nascondiamo le nostre competenze e magari mettiamole al servizio di chi ne ha bisogno, che è esattamente il messaggio scout più importante.
Ed allora è chiaro che episodi come quello accaduto possono diventare un inevitabile effetto collaterale. Ma allora anche qui vale il discorso fatto a proposito del pericolo: un conto è la superficialità fine a se stessa dovuta al fatto che certe esperienze (come l'approccio alla montagna) diventano "di massa" nell'accezione più bieca e retriva dell'espressione, per le quali vediamo i cacciatori di selfie che vanno sui laghi ghiacciati in piena primavera o con gli infradito sui ghiacciai; altro è la superficialità che si deve saper accettare come "effetto collaterale" statisticamente inevitabile di un progetto educativo che consapevolmente vuol portare tutti - o perlomeno non escludere nessuno - a considerare la Natura come un terreno e un mezzo di crescita personale. Nel primo caso a fronte di un episodio finito male ci sarà stata nulla più che la soddisfazione di altre mille persone alle quali saranno riusciti altrettanti selfie (idioti) magari solo da esibire sui social ; nel secondo caso, a fronte di un episodio spiacevole - comunque vissuto in modo educativo - ci saranno stati altri mille scout che avranno vissuti esperienze di vita positive e costruttive. Ecco perchè quell'apparente uso di due pesi e due misure in realtà è solo apparente.
Qui mi sento invece di dissentire un po' da Giulio allorchè nella sua prima risposta (quella che ha dirottato appunto il discorso sugli scout) quando denuncia un approccio esterno verso gli scout - per giunta annoso - simile allo sparare sulla Croce Rossa. Mi sento molto in difficoltà a confutare quanto sostiene, forse dipenderà da mie disattenzioni verso la questione, ma io tutto questo "accanimento" e chirurgico discredito verso il mondo scout ho fatto fatica a riscontrarlo: quantomeno, si è trattata di un approccio non dissimile a quello adottato in generale. Quindi criticabile quanto si vuole, ma non per il fatto di essere "ad personam" (o "ad scout").
La pubblicistica degli ultimi trent'anni è un fiorire di articoli sull'inefficienza degli scout e sulla loro sprovvedutezza.
E non c'è mai stato un articolo che ha chiesto agli scout il perchè, oppure un articolista "coraggioso" che abbia avuto la decenza di sentire l'altra campana.
Chiudo con una considerazione che in un certo senso chiama in causa proprio questo sito.
E' ovvio che non bisogna cadere nell'errore di credere che un progetto educativo - quale che sia - per ciò stesso sia destinato automaticamente ad avere successo, ossia a "formare" una persona al di là del suo dna. A maggior ragione volendo essere inclusivo, è ovvio che tantissime persone conserveranno poco o nulla dell'esperienza scout pur essendolo state, così come - all'opposto - tante altre sono di fatto scout nell'animo senza aver mai indossato la divisa nè pronunciato la promessa. Oppure, ancora, si può essere stati scout e continuare ad esserlo come individui, a prescindere dal concetto di organizzazione.
"Avventurosamente", a mio avviso, è figlio dei "concetti scout" di una persona che lo è stato, ma che li aveva nel dna personale, e dunque credo li avrebbe messi in pratica anche "a prescindere" dall'esperienza scoutistica. In casi come questo l'esperienza scout - più che "educativa" - è in un certo senso solo "confermativa" di ciò che già si è. "Educazione" (dal latino "e-ducere") significa etimologicamente "tirar fuori", "estrarre" ciò che si è dentro; ma certe volte ciò che si è dentro sarebbe venuto fuori anche da solo.
La mia esperienza di scoutismo (dagli 8 ai 20 anni) posso dire che non è stata determinante nella mia vita: probabilmente quello che sono lo sarei stato anche senza scoutismo (ma chi può dirlo con certezza?).
Nonostante ciò mi piaceva al punto da proseguirlo fino alla partenza (conclusione del cammino scout).
Il discorso della gerarchia, della "Legge del Branco", dei pantaloncini corti, della divisa, come già scritto da altri sono componenti a supporto del metodo scout ma sono forse solo la punta dell'iceberg: si vedono subito ma non permettono di comprendere quello che c'è sotto, un percorso che accompagna il bambino nella scoperta, il ragazzo nell'esperienza e nella consapevolezza di se, degli altri e del mondo, offrendo dei possibili strumenti per "guidare da se la propria canoa".
Poi ognuno fa le proprie scelte di appartenere o meno a un gruppo con la consapevolezza che la scelta presuppone trovare qualcosa ma anche lasciare qualcosa.
Diverso è il discorso sulla fierezza che è una caratteristica dipendente dalla persona non tanto dal metodo. Personalmente non ho mai avuto un senso di appartenenza allo scoutismo come presa di posizione perché fondamentalmente non mi identifico negli stereotipi ma vivo la mia vita come essere umano unico, come in fondo lo siamo tutti. Vivo le esperienze in gruppi organizzati come se fossi in un certo senso estraneo ad essi pur avendo scelto di farne parte, donando tutto quello che posso offrire di me stesso e prendendo tutto ciò che nutre il mio desiderio di conoscenza e relazione.
Chiudo con ciò che a me (da esterno) ha sempre attratto degli scout, al punto da farmi "sentire" tale pur non essendolo mai stato, riassunto nel testamento spirituale di Baden Powell e in particolare in quel passaggio per il quale "l'unico modo di essere felici è di procurare la felicità agli altri". Che a mio avviso ricomprende alla fine tutto il resto, anche quello di lasciare migliore il mondo. Lo lascio introdurre a un messaggio di ormai diversi anni fa dello stesso AndreaDB; anche perchè, come lui accenna, è proprio nel solco di quell'insegnamento - ancora appeso se non ricordo male alla porta della sua vecchia camera da ragazzo

- che si inserisce la mission del sito.
Per tutto quanto detto credo quindi che -inquadrata tutta la questione scout in questa prospettiva così ampia e completa - episodi come quello dell'altro giorno appaiano come inevitabili e umanissimi peccati veniali, nulla di più.
W gli scout.
Attualmente non faccio parte di nessun gruppo, però mi sento ugualmente, anzi forse ancora più di prima fortemente legato agli insegnamenti di Baden Powell e penso di poter dire che la cosa più bella che ho ricevuto dallo scoutismo sono proprio questi insegnamenti riassunti nel
testamento spirituale che BP ci ha lasciato e che, in altra forma, sono presenti nella mission di questo sito.