Nelle ultime settimane noi del forum abbiamo avuto alcune sugose discussioni sul tema "Sicurezza in montagna".
Mi riferisco alla storia della ragazza ungherese sulla Majella, e ad altri due thread (questo e quest'altro) che hanno affrontato il problema.
Ho avuto l'occasione di dire chiaramente la mia in tali discussioni. Secondo me l'illusione del controllo della nostra società ipersecuritaria mette a rischio la libertà delle montagne e di noi "avventurosi". Una illusione ipersecuritaria che, spesso, nasconde anche forti interessi economici.
Il tema è antico. Potrei segnalarvi uno splendido articolo di Massimo Mila: "In montagna il rischio è ineliminabile", pubblicato su L'Unità del 3 gennaio 1954 (!) e ora raccolto nel volume "Scritti di montagna" (ed. Einaudi). Purtroppo sul web non si trova e non ho il tempo di trascriverlo, altrimenti farei volentieri conoscere a chi non l'ha mai letto la sua sorprendente attualità.
Ultimamente, tuttavia, è tornato di grande attualità. Ne parlano molto - e secondo me molto bene - soprattutto in Francia.
Questa primavera i francesi hanno tenuto un congresso interessantissimo per affrontare la questione. Il "manifesto" del congresso lo trovate a questo link.
Purtroppo il testo non sarà accessibile a chi non conosce il francese.
Si parla di "alpinismo minacciato" e io concordo pienamente con l'analisi che fanno i francesi. Traduco solo un passaggio, che trovo molto ben scritto:
"la vita in società ha certamente bisogno di sicurezza. Ma le pratiche di montagna non possono accontentarsi della sola frequentazione di ciò che è organizzato, attrezzato, codificato e messo in sicurezza. La sicurezza non è la soppressione sistematica del rischio, ma l'apprendimento della capacità di farsi carico ragionevolmente del rischio".
Quest'ultima frase è essenziale. La sicurezza non è la soppressione sistematica del rischio. Che peraltro è impossibile, è un'utopia. Bisogna imparare ad afrontare ragionevolmente il rischio. Con libertà e responsabilità.
Su questo vorrei aprire il dibattito.
Mi riferisco alla storia della ragazza ungherese sulla Majella, e ad altri due thread (questo e quest'altro) che hanno affrontato il problema.
Ho avuto l'occasione di dire chiaramente la mia in tali discussioni. Secondo me l'illusione del controllo della nostra società ipersecuritaria mette a rischio la libertà delle montagne e di noi "avventurosi". Una illusione ipersecuritaria che, spesso, nasconde anche forti interessi economici.
Il tema è antico. Potrei segnalarvi uno splendido articolo di Massimo Mila: "In montagna il rischio è ineliminabile", pubblicato su L'Unità del 3 gennaio 1954 (!) e ora raccolto nel volume "Scritti di montagna" (ed. Einaudi). Purtroppo sul web non si trova e non ho il tempo di trascriverlo, altrimenti farei volentieri conoscere a chi non l'ha mai letto la sua sorprendente attualità.
Ultimamente, tuttavia, è tornato di grande attualità. Ne parlano molto - e secondo me molto bene - soprattutto in Francia.
Questa primavera i francesi hanno tenuto un congresso interessantissimo per affrontare la questione. Il "manifesto" del congresso lo trovate a questo link.
Purtroppo il testo non sarà accessibile a chi non conosce il francese.
Si parla di "alpinismo minacciato" e io concordo pienamente con l'analisi che fanno i francesi. Traduco solo un passaggio, che trovo molto ben scritto:
"la vita in società ha certamente bisogno di sicurezza. Ma le pratiche di montagna non possono accontentarsi della sola frequentazione di ciò che è organizzato, attrezzato, codificato e messo in sicurezza. La sicurezza non è la soppressione sistematica del rischio, ma l'apprendimento della capacità di farsi carico ragionevolmente del rischio".
Quest'ultima frase è essenziale. La sicurezza non è la soppressione sistematica del rischio. Che peraltro è impossibile, è un'utopia. Bisogna imparare ad afrontare ragionevolmente il rischio. Con libertà e responsabilità.
Su questo vorrei aprire il dibattito.