Personalmente rispetto gli eremiti perchè, con il loro più o meno estremo e coerente stile di vita, mi fanno riflettere su quanto io ingigastica i miei problemi e su quanti dei miei bisogni siano reali anche se non ho (diciamo che non ho più) nessuna intenzione di vivere da eremita.
Però un limite (bello grosso) che vedo in praticamente tutti gli eremiti, volendo includere anche personaggi come Norman Winther, è che non hanno figli, per cui le loro esperienze (per me che ne ho tre) rimangono un bel sogno, un'ispirazione a migliorare ma poche nozioni pratiche sul come modificare lo stile di vita della mia famiglia.
Senza figli (lo so che sembra la solita scusa che tirano fuori tutti quelli che si lamentano ma non fanno un passo per cambiare) puoi fare qualsiasi scelta sapendo che se va male sono solo fatti tuoi: puoi patire la fame, il freddo, la solitudine, le malattie finchè campi, tanto non hai responsabilità verso nessun altro o per lo meno verso nessun altro bambino che dipende TOTALMENTE da te.
D'altrocanto però, i figli sono un grossissimo incentivo a cambiare uno stile di vita che non lascerebbe a loro (o ai loro figli) la possibilità di vivere un futuro.
Ho apprezzato molto il racconto condiviso da AndreDB (anche se ammetto di non averlo finito, sono rimasto che si trovano ancora senza lavoro) e condivido pienamente il fatto che il cambiamento deve nascere dentro di noi, come scritto sulla tomba di un vescovo di Westminsteer:
Quando ero giovane e libero e la mia immaginazione non aveva limiti,sognavo di cambiare il mondo.
Come divenni più grande e più saggio, scoprii che il mondo non avrebbe potuto essere cambiato, così ridussi la mia visione e decisi di cambiare solo il mio paese, ma anche questo sembrava essere inamovibile.
Come crebbi, al crepuscolo della mia vita, in un ultimo disperato tentativo, decisi di cambiare solo la mia famiglia, quelli più vicino a me. Ma anche questi non volevano niente di tutto ciò.
E ora, che sono legato al mio letto di morte, capisco che se solo avessi cambiato per primo me stesso, forse, con l'esempio, avrei potuto cambiare la mia famiglia.
Dalla loro ispirazione e con il loro incoraggiamento avrei quindi potuto cambiare in meglio il mio paese. E chi lo sa, avrei potuto forse cambiare il mondo.
( dalla tomba di un Vescovo dell'Abbazia di Westminster)
... e aggiungo che il cambiamento non basta che sia considerato giusto e necessario, bisogna che sia "assorbito", "assimilato", "fatto proprio", direi che deve diventare "meccanico", "spontaneo" .... e per far questo ritengo necessario che il cambiamento sia graduale (almeno parlando per la mia persona): non posso (e ci ho provato) cambiare quasi 40 anni di uno stile di vita in un altro quasi opposto solo in un anno. Sarebbe tutto approssimativo, una brutta esperienza per la prole e facilmente un fiasco totale con un ritorno repentino alla vita precedente giustificato con il: "quella vita non si può fare".
Mi piace usare un esempio "avventuroso" per spiegare la mia visione:
Una comitiva va in montagna, diretta verso una cima di cui si vede la vetta ma non il percorso per raggiungerla, senza cartine nè segnaletica.
La via inizia piuttosto tortuosa, in una fredda e umida gola ed è faticosa, ma un bivio permette di lasciare il fondo della valle e di risalire in un zona più comoda e agevole.
Ad un certo punto, dopo qualche ora di cammino, appare chiaro che la via è sbagliata, il fondo è comodo e il versante è soleggiato ma in lontananza si vede un grosso ostacolo che non si può superare, mentre sull'altro versante (quello in ombra) la via appare più scomoda e lunga ma perlo meno percorribile.
La comitiva inizia a discutere: c'è chi vuole continuare ostinatamente a seguire quella via (quando arriveremo all'ostacolo ci penseremo); c'è chi vorrebbe fare un "grosso balzo" e arrivare sull'altro versante nel quale (ammesso che riesca nel balzo) si troverebbe a dover affrontare delle condizioni a cui il suo corpo non è più abituato; e c'è chi sceglie di ripercorrere il percorso fatto fin lì a ritroso fino al bivio e quindi (adeguatamente acclimatato) affrontare l'altro sentiero.
Ecco, io faccio parte (o almeno mi ci impegno) della terza categoria